Promossa dalla Camera di commercio di Torino in collaborazione con Avviso Pubblico è nata a Torino il progetto “Consulta della Legalità”
Nasce a Torino il progetto “Consulta per la Legalità” promosso dalla Camera di commercio di Torino in collaborazione con l’associazione Avviso Pubblico.
Obiettivo della Consulta per la legalità è quello di formare gli imprenditori per prevenire e contrastare le infiltrazioni mafiose sul territorio torinese.
Tra le principali finalità del progetto:
Obiettivo, inoltre, anche il rafforzamento del rapporto tra la Camera di commercio di Torino, i comuni e le associazioni della provincia di Torino, finalizzato alla creazione di eventi specifici di formazione e sensibilizzazione sul territorio.
Tra le prime azioni in programma, la costituzione di gruppi di lavoro tematici, lo svolgimento di un percorso formativo con quattro seminari dedicati alla conoscenza del fenomeno mafiosi nei vari comparti dell’economia (agricoltura, carburanti, edilizia, logistica, trasporti, turismo e rifiuti) e un convegno finale, infine la realizzazione di un vademecum online con indicazione dei soggetti a cui segnalare eventuali situazioni sospette e le modalità per farlo.
Le mafie italiane
Le mafie italiane hanno diversi nomi, declinati in base alla provenienza geografica. Le principali mafie italiane sono: Cosa nostra (Sicilia), ‘Ndrangheta (Calabria), Camorra (Campania), Sacra corona unita (Puglia). Si tratta di organizzazioni diverse per struttura, evoluzione, capacità di penetrazione in territori diversi da quelli di origine e nell’economia legale.
Altre mafie presenti in Italia sono: la Società foggiana in Puglia, i Basilischi in Lucania, la Stidda in Sicilia. In tempi relativamente recenti organizzazioni criminali di tipo mafioso si sono sviluppate nel Lazio. In Veneto, dalla metà degli anni ‘70 alla metà degli anni ‘90 del XX secolo ha operato un’organizzazione mafiosa denominata “Mafia del Brenta”, capeggiata da Felice Maniero.
Le mafie straniere
Dagli anni Novanta del secolo scorso, anche a causa dei cambiamenti geopolitici generati dalla caduta del muro di Berlino, in Italia hanno iniziato ad operare organizzazioni mafiose di origine straniera, provenienti dal Sud America, dalla regione balcanica e dal continente asiatico e africano. I gruppi criminali stranieri sono attivi soprattutto nel traffico di droga e nel traffico e sfruttamento di persone, in particolare a fini sessuali (prostituzione) e di lavoro forzato. I rapporti tra mafie italiane e straniere si registrano, soprattutto, nel settore del traffico di droga e della contraffazione di prodotti.
Gli obiettivi delle mafie
Il fine delle mafie è quello di acquisire ricchezza e potere, rapidamente e impunemente, attraverso l’esercizio della corruzione, dell’intimidazione e della violenza. A differenza di altre forme di criminalità organizzata, per raggiungere il loro scopo, le mafie si caratterizzano per la loro capacità di instaurare rapporti con persone che appartengono a cerchie sociali esterne al mondo criminale - la cosiddetta “area grigia” - come ad esempio esponenti politici, imprenditori, liberi professionisti, operatori delle forze dell’ordine e della magistratura, o del mondo finanziario.
La prova dell’esistenza di questi rapporti si evince non solo dalle inchieste giudiziarie ma anche, ad esempio, dal numero dei Comuni sciolti per infiltrazione mafiosa, delle interdittive antimafia emesse dalle prefetture, dalle operazioni finanziarie sospette segnalate dall’Unità di informazione finanziaria della Banca d’Italia, dal numero di beni e aziende confiscate segnalato dall’Agenzia nazionale istituita per gestire i patrimoni sottratti definitivamente ai mafiosi.
Il fenomeno mafioso non può essere considerato esclusivamente un problema di ordine pubblico, risolvibile impiegando le forze di polizia e la magistratura, che riguarda le regioni del Sud d’Italia. Esso è una questione nazionale ed internazionale e costituisce una attuale e concreta minaccia per la democrazia, l’economia e la sicurezza dei cittadini.
Per affrontare e sconfiggere le mafie occorre un forte impegno corale sul versante della prevenzione che veda impegnate le istituzioni, la politica, la scuola e l’università, il mondo economico-produttivo e finanziario e la cittadinanza.
I mercati delle mafie
Le mafie detengono ingenti capitali frutto del compimento di una serie di reati, tra cui spicca senza dubbio il mercato degli stupefacenti che produce decine di miliardi di euro ogni anno.
La notevole capacità finanziaria ha fatto sì che le mafie siano in grado di agire anche come imprese e come banche, capaci di operare contemporaneamente sia nei mercati illeciti - si pensi all’usura o al traffico di rifiuti - che in quelli leciti, tra cui i settori dell’edilizia, dei trasporti, del turismo, il gioco d’azzardo, ecc. I capitali sporchi vengono inseriti nell’economia legale attraverso l’usura e il riciclaggio.
La pandemia ha messo in evidenza anche la capacità delle mafie di inserirsi nel mercato della compravendita dei dispositivi di protezione individuale, di materiale medico-sanitario, nonché nel mercato della sanificazione e delle onoranze funebri.
I reati spia
Vi sono fatti, accadimenti, delitti non immediatamente riconducibili alla presenza di organizzazioni criminali sul territorio, ma che vengono identificati dalle forze di polizia come “reati-spia” di una possibile attività criminale. Tra questi:
Le intimidazioni: incendi, lettere minatorie, aggressioni, danneggiamenti, ad amministratori locali, ad imprenditori, a giornalisti e attivisti presenti sul territorio;Estorsioni e usura: sono i due metodi più utilizzati dalle organizzazioni criminali per far sentire la propria presenza e ampliare la capacità di controllo sul territorio;Incendi di rifiuti, di discariche abusive e impianti di trattamento: le fiamme possono servire a smaltire rifiuti stoccati illegalmente, oppure ad intimidire aziende che operano nel settore legale; L’aumento di consumo di stupefacenti, dimostrato anche dai dati sui sequestri, le denunce e gli arresti effettuati dalle forze di polizia;Il numero di segnalazioni di operazioni finanziarie sospette alla Banca d’Italia da istituti di credito, professionisti ed altri operatori a cui vengono richieste movimentazioni di denaro. Operazioni che potrebbero nascondere forme di riciclaggio di denaro frutto di attività illecite.
Sin dalla loro nascita, a partire dalla seconda metà del diciannovesimo secolo, le mafie – ‘ndrangheta, cosa nostra, camorre - dimostrano di essere capaci di espandersi sui territori limitrofi, sconfinando oltre le regioni di nascita, colonizzando anche diversi Paesi europei ed extraeuropei. Il loro interesse non si limita alla gestione di attività criminali. Gli obiettivi sono a più lungo termine ed ambiziosi: condizionare le scelte politiche, il funzionamento delle Istituzioni, diventare un soggetto economico del territorio. Se necessario sono violente o ne minacciano l’uso. Costruiscono legami con il territorio, corrompono, intessono relazioni, gestiscono consenso e vengono “accettate” anche da chi mafioso non è.Le mafie vivono sul territorio, tra il mondo legale e quello illegale. Offrono servizi, protezione, investimenti. Finiscono per condizionare pesantemente la società in cui si insediano. Sono organizzate, strutturate al loro interno, ciascuna seguendo le proprie caratteristiche distintive. Il loro potere è ancorato ad un profondo senso di appartenenza, seguono antichi riti di affiliazione. Al contempo sono moderne, in grado di utilizzare le nuove tecnologie per i loro scopi, e aggiornate, fiutando sempre nuovi affari. Per decenni la narrazione dominante riteneva impensabile che le mafie potessero riprodurre le dinamiche messe in atto nei territori di origine. Questa narrazione andava di pari passo con la presunta presenza di naturali “anticorpi” nei territori diversi dal Mezzogiorno. Quando questa tesi viene smentita dai fatti si è passati ad un’altra narrazione: le mafie come cancro, come patologia che aggrediva l’economia e la società di territori altrimenti sani. Da alcuni anni l’analisi dell’agire mafioso sui territori diversi da quelli di origine si è fatta più complessa, prendendo in considerazione altri elementi e ritenendo che vi siano fattori di contesto che favoriscono e, per certi versi, invitano le mafie a coltivare un terreno già fertile. Oltre a fattori intenzionali (decisione di uno o più clan di sfruttare mercati illegali su nuovi territori) e non intenzionali (faide e guerre di mafia che spingono i perdenti al di fuori dei territori di origine, il fenomeno del soggiorno obbligato), vi sono stati e vi sono tuttora fattori di contesto che spingono le mafie verso un territorio.
Fattori di contesto che attirano e agevolano le mafie
Richieste di servizi illegali: false fatturazioni, smaltimento di rifiuti, recupero crediti, intimidazioni dei concorrenti.Pratiche corruttive: creazione di un’area grigia in cui mafia e una politica già abituata alla corruzione intessono rapporti, scambiano reciproci favori.Collocazione geografica: territori strategici per la gestione ad esempio del traffico di stupefacenti, presenza di porti, confini con altri Paesi.Dimensione demografica: il dato degli Enti locali sciolti per mafia, nonché la mappatura della presenza mafiosa – soprattutto ‘ndranghetista – nel Nord Italia dimostra come vi sia una preferenza verso i Comuni di piccole e medie dimensioni).Crescita o crisi economica: entrambe le situazioni attirano i capitali mafiosi sottoforma di investimento a scopo di riciclaggio. Una crescita importante, ad esempio, del settore turistico vede le mafie mimetizzare i propri capitali attraverso l’apertura di attività nel settore ristorazione o alberghiero. Una crisi d’altro conto spinge le mafie a presentarsi come investitori/usurai in grado di aiutare le attività economiche locali in crisi. Cultura e società: il grado di attenzione e la capacità di risposta della società civile in termini di mobilitazione di fronte alle prime “avvisaglie” di presenza mafiosa (violenza, intimidazioni, etc.) e un tessuto sociale coeso, capace di dialogare in maniera costruttiva con le Istituzioni locali, con le forze dell’ordine e la magistratura, è molto meno aggredibile dall’agire mafioso..
Quattro modelli di insediamentoSecondo le ricerche condotte dal professor Rocco Sciarrone, docente di Sociologia delle mafie e processi di regolazione e reti criminali presso il Dipartimento di Culture, Politica e Società dell’Università di Torino, si possono individuare quattro diversi modelli di insediamento delle mafie nelle aree non tradizionali.
“È importante capire che non è più tempo di girarsi dall’altra parte ma è ora di stare vicino a chi denuncia. Se non tutti hanno il coraggio di denunciare, tutti hanno il dovere di non abbandonare chi denuncia... Continueremo a contrastare chi non accetta le regole democratiche e i fenomeni delittuosi legati alla Pubblica amministrazione, che a volte sono legati a propria volta alla criminalità organizzata di stampo mafioso. Garantire i diritti di tutti i cittadini costituirà la priorità di questa Procura senza generalizzare, ma perseguendo le singole condotte...”(dal discorso di insediamento del Procuratore della Repubblica di Torino, Giovanni Bombardieri - 17 settembre 2024)
“La capacità di adattamento delle organizzazioni criminali ai mutamenti degli scenari economici e l’attitudine a sfruttare le opportunità che questi offrono continua a destare la costante attenzione da parte delle autorità prefettizie, della magistratura e delle forze dell’ordine anche e soprattutto in relazione alle immissioni di finanziamenti pubblici dei prossimi anni. Ciò, in particolare, con riferimento a regioni quali il Piemonte, il cui tessuto socio-economico è da tempo rientrato tra le mire criminali delle mafie tradizionali ed in particolare della ‘ndrangheta che qui si è affermata grazie alla sua spiccata vocazione imprenditoriale ed all’abilità di agire in maniera silente” (dall’ultima Relazione semestrale della Direzione Investigativa Antimafia)
Per Locale di ‘ndrangheta si intende una struttura di coordinamento delle ‘ndrine. La DIA ne individua 46 nel Nord Italia, di cui 25 in Lombardia, 16 in Piemonte (10 dei quali in provincia di Torino), 3 in Liguria, 1 in Veneto, 1 in Valle d’Aosta ed 1 in Trentino Alto Adige.
Nel comune di Torino è emersa l’operatività de:
Nella provincia di Torino è emersa l’operatività de:
Nelle altre province è emersa l’operatività de:
In merito alle attività delle ‘ndrine in Piemonte, scrive la Direzione Investigativa Antimafia: “Pur seriamente colpita con numerosi arresti e condanne, la criminalità calabrese continua a mantenere significativo il proprio potere, dimostrando grande dinamismo e assoluta capacità di rigenerarsi permettendo così l’affermazione di leader di nuova generazione.
Gli ambiti criminali in cui opera la ‘ndrangheta in Piemonte e in Valle d’Aosta afferiscono al traffico di sostanze stupefacenti, alle estorsioni e all’usura, nonché alle truffe. Si inserisce inoltre nei settori finanziari leciti allo scopo di effettuare operazioni di riciclaggio di capitali illecitamente acquisiti e nel campo dell’edilizia sia pubblica, sia privata, con particolare interesse alla partecipazione nell’appalto di grandi opere. Sempre più spesso emergono collegamenti con esponenti della criminalità locale ed, in particolare, con soggetti di etnia sinti che, in talune circostanze, hanno svolto una funzione sussidiaria specie nel reperimento di armi da fuoco.
Dagli esiti di alcune evidenze giudiziarie è emersa la sua capacità di condizionamento della vita sociale, economica e politica locale, avvalendosi del metodo mafioso in grado di generare un assoggettamento sia nei confronti dei sodali, sia di estranei al sodalizio. In ultimo, dispone di un elevato quantitativo di armi da fuoco, munizioni ed esplosivo.
Tutte le indagini eseguite nei confronti di formazioni ‘ndranghetiste operanti in Piemonte e nella vicina Valle d’Aosta hanno evidenziato il coinvolgimento di rappresentanti politici, accertando come i candidati alle competizioni elettorali, consci del potere acquisito da soggetti affiliati o contigui ai sodalizi mafiosi nei confronti di parte della popolazione (specialmente se corregionali), cerchino apertamente il loro appoggio per il risultato elettivo. È stata osservata anche la commistione tra esponenti della criminalità calabrese e rappresentanti dell’imprenditoria locale”.
Relativamente alle altre “mafie tradizionali”, si registrano presenze meno estese e strutturate della criminalità organizzata siciliana e campana (Relazione semestrale al Parlamento sulle attività della Direzione Investigativa Antimafia resa pubblica nel mese di aprile 2023, pp. 212-214).
Cosa Nostra, che sino alla fine degli anni Ottanta vantava una posizione di supremazia nel “controllo del territorio” a Torino e provincia, dagli anni ‘90 ormai indebolita avrebbe ceduto il passo alle organizzazioni mafiose di matrice ‘ndranghetista, rimanendo in posizione più defilata.
In merito alle organizzazioni di matrice camorristica non si rilevano segnali tali da farle ritenere una grave minaccia per i territori in argomento. Tuttavia è confermata la presenza di soggetti che costituiscono espressione diretta o di contiguità con i clan di matrice campana. In alcuni casi sono stati riscontrati rapporti tra questi ed esponenti della ‘ndrangheta attivi in Piemonte.
La criminalità organizzata pugliese non ha mai avuto in questo territorio significativa visibilità. Negli esiti delle diverse indagini concluse a carico di organizzazioni ‘ndranghetiste sono talvolta emersi contatti tra gli esponenti mafiosi calabresi con taluni soggetti pugliesi e lucani operanti in Piemonte.
È invece confermata la costante operatività di gruppi stranieri e, in particolare, quelli albanesi, romeni ed africani, dediti principalmente al traffico ed allo spaccio di sostanze stupefacenti, allo sfruttamento della prostituzione ed ai reati predatori tra cui spiccano i furti in abitazione e le rapine “da strada” spesso consumate da baby gang composte principalmente da giovani di origini magrebine.
Le organizzazioni criminali albanesi, inserite nei circuiti del narcotraffico internazionale, occupano invece sempre più spesso un ruolo comprimario con gli esponenti di sodalizi di matrice ‘ndranghetista.
Anche la presenza di consorterie africane è già da tempo giudiziariamente accertata, nella duplice composizione in semplici gruppi e in organizzazioni complesse, con strutturazione spesso tipicamente mafiosa. Fra queste, la criminalità maghrebina è da tempo massicciamente presente ed opera principalmente nel traffico e nello spaccio di sostanze stupefacenti, in prevalenza di hashish ed ecstasy. Per quanto concerne invece le associazioni di matrice nigeriana, esse ripropongono le caratteristiche delle analoghe realtà criminali nate nella madrepatria, definite cult, che agiscono in modo simile alle mafie nostrane e che evidenziano caratteristiche tipiche: strettissimo legame tra gli associati; metodo intimidatorio; segretezza ed omertà; autofinanziamento; assoggettamento interno ed esterno anche mediante l’uso della violenza; presenza di riti di affiliazione; sanzione degli adepti in caso di trasgressione delle regole sociali. Si occupano prevalentemente del traffico degli stupefacenti, dello sfruttamento della prostituzione e delle truffe informatiche.
La criminalità romena si manifesta nel territorio sotto due distinte forme: gruppi poco strutturati i cui aderenti si occupano, di norma, dei reati predatori in genere dando vita a sacche di microcriminalità che allarmano la popolazione; sodalizi più complessi ed articolati che, nel tempo, hanno evidenziato vere e proprie associazioni, simili alle organizzazioni mafiose autoctone.
La criminalità cinese continua la propria silente attività che non dà luogo, se non raramente e per episodi circoscritti, a manifestazioni clamorose. Tra le principali attività criminali di interesse per gli appartenenti a questa etnia si richiama la lucrosa gestione dei centri massaggi, quale tradizionale attività di copertura per mascherare l’attività di prostituzione che viene svolta all’interno. La contraffazione dei marchi e il favoreggiamento dell’immigrazione costituiscono gli ulteriori campi d’intervento dei gruppi criminali cinesi.
Anni Sessanta
In Piemonte, come in altre regioni settentrionali, la presenza mafiosa è stata favorita dal cosiddetto soggiorno obbligato, provvedimento consistente nell'obbligo di soggiornare in una località specifica, stabilita dal tribunale, per un certo periodo di tempo sotto la vigilanza delle forze di polizia. Nel corso degli anni Sessanta in Piemonte sono giunti quasi 300 soggetti “in odore di mafia”. Tra questi un certo Rocco Lo Presti, che diventerà il “padrino di Bardonecchia”. Apre un negozio di abbigliamento, per poi allargare il suo raggio d’azione nell’edilizia, negli autotrasporti, nella ristorazione e nel gioco d’azzardo. Lo Presti è organico al clan Mazzaferro, “attenzionati” per aver ottenuto appalti negli anni Settanta per la costruzione del traforo del Frejus.
Anni Settanta
Sono gli anni dei sequestri di persona, soprattutto nelle regioni del Nord. Anche in Piemonte se ne contano oltre trenta in un decennio. Nel 1975 viene sequestrato e ucciso dalla ‘ndrangheta Mario Ceretto, imprenditore di Cuorgnè. Ceretto era candidato sindaco in opposizione a Giovanni Iaria, originario di Condofuri, provincia di Reggio Calabria. Vengono condannati gli esecutori materiali, ma non i mandanti. Mario Ceretto è la prima vittima innocente di mafia in Piemonte, mentre tra il 1970 ed il 1983 la Procura della Repubblica di Torino registra oltre 40 omicidi di mafia. In quegli anni la presenza ‘ndranghetista in Piemonte è palese, anche per le Istituzioni. La violenza, le intimidazioni, lo sfruttamento di manodopera attirano l’attenzione della neonata Commissione Parlamentare Antimafia, che invia una delegazione guidata da Pio La Torre. Il questore di Torino redige un importante dossier sull’infiltrazione mafiosa di origine calabrese, che individua in Rocco Lo Presti una figura chiave nel settore dell’edilizia, in collegamento con varie famiglie legate a Cosa nostra, mafia ancora dominante in tutto il Settentrione e in Piemonte. Rocco Lo Presti sarà di lì a poco condannato a tre anni sull’isola dell’Asinara. La richiesta era firmata dal magistrato Bruno Caccia.
Anni Ottanta
Dai sequestri di persona al traffico di stupefacenti: le mafie cambiano strategia e si concentrano sull’affare che le farà ricche, ma non disdegnano estorsioni e gioco d’azzardo. E’ il 1983 quando viene applicato per la prima volta in Piemonte il nuovo reato di associazione mafiosa (416-bis), la cosiddetta legge Rognoni – La Torre, dai nomi dei firmatari del provvedimento, tra cui quel Pio La Torre che un anno prima era stato trucidato da cosa nostra: nove soggetti vengono accusati di aver estorto denaro, con metodo mafioso, a decine di commercianti di frutta e verdura dei mercati generali di Torino.
Il 26 giugno 1983, Bruno Caccia, nel frattempo diventato Procuratore della Repubblica di Torino, mentre portava da solo a passeggio il proprio cane, venne affiancato da una macchina con due uomini a bordo. Questi, senza scendere dall'auto, spararono 14 colpi e, per essere certi della morte del magistrato, lo finirono con tre colpi di grazia. Mandante dell’omicidio fu Domenico Belfiore, a capo dell’omonima ‘ndrina originaria di Gioiosa Jonica.
Un’inchiesta del 1984 svela gli interessi della ‘ndrangheta negli appalti pubblici nell’Alta Val di Susa. Nella seconda metà del decennio la magistratura colpisce duramente il clan dei Cursoti, originari del catanese, fin lì dominante a Torino. Nel 1988 si conclude un processo che vedrà comminati 25 ergastoli. Il vuoto di potere in città viene colmato dalla ‘ndrangheta, in particolare dai Belfiore.
Anni Novanta
Mentre lo Stato è sotto l’attacco di Cosa nostra, le ‘ndrine attive in Piemonte – che secondo i collaboratori di giustizia possiedono già una specifica struttura organizzativa, gerarchizzata al suo interno e articolata sul piano territoriale – puntano ad un ulteriore salto di qualità e mettono nel mirino gli Enti locali, dalla Val di Susa al Canavese.
Il “padrino di Bardonecchia”, Rocco Lo Presti, è il protagonista dello scioglimento per infiltrazioni mafiose del Comune, il primo provvedimento di questo tipo che investe un Ente locale non situato nelle quattro regioni a tradizionale presenza mafiosa (Calabria, Sicilia, Campania e Puglia). Il decreto viene emanato il 2 maggio del 1995. Si legge nella Relazione del Ministro dell’Interno: ”Dagli accertamenti svolti dalle autorità competenti, nonché da un'inchiesta avviata dalla Direzione distrettuale antimafia di Torino, sono emersi tentativi di infiltrazione mafiosa in appalti per lavori edili. Nel quadro delle risultanze cui le predette indagini sono pervenute, è stato sottoposto alle misure della sorveglianza speciale di P.S. e del sequestro dei beni il noto pluripregiudicato Rocco Lo Presti, - elemento rappresentativo della cosca calabrese facente capo alla famiglia Mazzaferro - che aveva avuto un ruolo primario nella vicenda della costruzione di un complesso immobiliare denominato Campo Smith. Dalle motivazioni del predetto provvedimento del tribunale di Torino si evince che l'intera operazione Campo Smith ha visto all'opera una associazione mafiosa facente capo a Rocco Lo Presti, effettivo dominus della società che, dell'intera operazione immobiliare, risultava beneficiaria. Lo specifico interesse del predetto pregiudicato nella costruzione del complesso edilizia si è spinto, come comprovato dagli atti processuali, al ricorso a mezzi intimidatori… E’, inoltre, emerso che in occasione delle consultazioni elettorali il Lo Presti è penetrato nella vita politica locale grazie al collegamento con il sindaco, che si sarebbe direttamente attivato per l'approvazione della convenzione edilizia, rivolgendosi anche ad esponenti dell'opposizione consiliare, con la promessa di incarichi, per acquisirne i favori”.
Dagli anni Duemila ad oggi
Nell’imminenza dei Giochi Olimpici invernali di Torino 2006, si susseguono le intimidazioni e i tentativi di infiltrazione da parte delle ‘ndrine. Proiettili vengono inviati ai dirigenti dell’agenzia Torino 2006 nonché a chi segue i lavori del tratto dell’A32 che collega il capoluogo a Bardonecchia. In quegli anni, nell’ambito di un’indagine sull’usura, vengono arrestati Rocco Lo Presti e alcuni familiari. Nel 2009 balza agli onori delle cronache il reggente del clan Trimboli di Natile di Careri, attivo fra Torino e Alessandria, essendo il gestore di un immenso traffico di stupefacenti dalla Colombia, che coinvolge la Spagna, e smercia cocaina in mezza Italia.
Il 2011 è l’anno delle grandi inchieste denominate Minotauro e Albachiara che conferma e in parte ricostruisce la geografia criminale del Piemonte: sebbene ogni "locale" abbia un referente in Calabria, l’intera zona del Torinese farebbe riferimento a Giuseppe Catalano, che si suiciderà nel 2012. La novità dell’indagine Minotauro risiede nella certificazione di una “sostanziale autonomia” delle locali piemontesi rispetto alle ‘ndrine collocate nelle zone di origine. Non solo: dimostra l’esistenza della cd. “area grigia”, in cui la ‘ndrangheta incontra la politica e l’economia legale, in un rapporto di riconoscimento reciproco e scambio di favori.
A seguito dell’inchiesta, nel 2012 vengono sciolti per mafia altri due Enti locali: Leinì e Rivarolo Canavese, in provincia di Torino, posti a 20 chilometri l’uno dall’altro. Dalle relazioni allegate ai decreti viene fuori come la ‘ndrangheta si cibi di clientelismo, laddove già presente, e punti soprattutto ad estendere l’area grigia che le consente di penetrare l’economia formalmente legale. Negli anni successivi numerose altre inchieste – citiamo San Michele, Big Bang, Barbarossa, Carminius – consentiranno di completare la mappatura della presenza criminale delle locali di ‘ndrangheta precedentemente elencate, nonché gli interessi a riciclare denaro nell’economia legale e tessere rapporti con la politica locale. Una delle ultime operazioni di un certo peso è del maggio 2021, denominata Platinum Dia: colpisce soggetti attivi nel "locale" di Volpiano, considerati terminale economico della famiglia Agresta di Platì (Reggio Calabria), nonché nei confronti di esponenti della famiglia Giorgi, detti "Boviciani", di San Luca, ritenuti responsabili di narcotraffico internazionale ed attivi in Piemonte, Calabria, Sardegna e, in Germania.
Scarica la scheda con gli indicatori
Le mafie si possono sconfiggere a condizione che insieme all’attività repressiva svolta dalle forze di polizia e dalla magistratura si attui, contemporaneamente, un’attività preventiva che veda come protagonisti il mondo delle imprese, delle libere professioni, del sindacato, delle associazioni, delle banche, delle istituzioni, della politica, della scuola e dell’università.
Un tessuto economico e sociale sano, che rispetta le regole, opera con trasparenza e in cui non vi è richiesta di servizi illegali è un ambiente difficilmente permeabile dalle mafie. Al contrario, laddove questi servizi vengono richiesti, le organizzazioni di stampo mafioso si insediano, mettono radici e influenzano, peggiorandole, le dinamiche socio-economiche del territorio.
Da parte degli imprenditori e di tutte le categorie componenti la Camera di Commercio, è importante comprendere che rivolgersi alle mafie pensando di ottenere dei vantaggi è una pessima idea. I mafiosi, infatti, non risolvono problemi, li creano. Essi mirano ad impossessarsi delle imprese e delle attività commerciali. Pertanto è importante:
Chi denuncia lo può fare in modo protetto e sicuro alle autorità competenti.
Chi denuncia protegge se stesso e la comunità in cui vive e il mercato in cui lavora.
Scarica la scheda sull'anticorruzione
Scarica la scheda sull'antiriciclaggio
Scarica la scheda sui beni confiscati
Scarica la scheda sul caporalato
Scarica la scheda sugli ecoreati
Scarica la scheda sulle leggi regionali in materia
Scarica la scheda sull'usura e l'estorsione
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