2.2.6 - La presenza diretta sui mercati stranieri


2.2.6 La presenza diretta sui mercati stranieri

Passando al vaglio le forme di presenza diretta dell’impresa italiana sui mercati stranieri, partiamo dalla più semplice: l’ufficio di rappresentanza.
L'ufficio di rappresentanza delle imprese straniere ha una disciplina sostanzialmente simile nei vari Paesi (normative nazionali alle quali si rinvia quanto all’iter amministrativo per la registrazione dell’ufficio di rappresentanza), in Italia la prassi interpretativa rinvia, infatti, ai modelli O.C.S.E.. L'ufficio di rappresentanza è privo di autonomia giuridica e fiscale rispetto all’impresa cui fa capo, quindi l’attività da esso posta in essere viene imputata a quest’ultima (ad esempio dichiarazioni rilasciate da chi opera per l’ufficio di rappresentanza verrebbero attribuite all’impresa cui l’ufficio fa capo).

N. B:  L'ufficio di rappresentanza deve dunque avere una funzione meramente preparatoria o ausiliaria della penetrazione dell'impresa sul mercato estero, non potendo svolgere attività produttive o commerciali in senso proprio né comunque produrre utili, non può importare beni, se non per esigenze proprie, né essere intestatario di immobili, potendo infatti unicamente svolgere attività di rappresentanza, di raccolta di informazioni, di ricerca scientifica, di marketing, attività pubblicitaria, promozionale e di negoziazione di contratti.

È quindi essenziale che si ponga massima attenzione alle attività svolte dall'ufficio di rappresentanza, onde evitare il rischio di riqualificazione di un ufficio di rappresentanza in stabile organizzazione all'estero dell'impresa italiana, con la conseguente tassazione nel Paese estero dei redditi ivi prodotti.

Qualora invece per l’impresa italiana non sia sufficiente un veicolo meramente ausiliario o promozionale, ma abbia esigenze produttive e/o commerciali, le quali potrebbero proprio conseguire ad un primo approccio al mercato straniero realizzato dall’impresa italiana tramite ufficio di rappresentanza oppure una prima fase distributiva nel mercato estero tramite agente o distributore, si renderà necessaria la costituzione di una società di diritto locale straniero, il cui capitale sociale, a seconda delle esigenze e del Paese, potrà essere interamente detenuto dalla società italiana oppure, in parte, da un socio locale.

In caso di pianificazione di un’iniziativa imprenditoriale tramite costituzione di società a capitale misto, è consigliabile stipulare con il partner straniero un contratto internazionale di joint venture per regolare l’operazione da realizzare nel suo complesso, inclusi gli obblighi di ciascun partner, le tempistiche, la suddivisione delle spese, gli assetti della società costituenda (principalmente: tipo societario, sua capitalizzazione, suddivisione tra i partner delle quote o azioni, numero e nomina amministratori e relativi poteri e quant’altro rilevi nel caso di specie). Il contratto di joint venture potrà anche opportunamente regolare i rapporti strategici della nuova società, anche con l’impresa italiana, quali, ad esempio, i contratti di fornitura di macchinari, attrezzature, componenti o semilavorati, di assistenza o consulenza, di trasferimento di tecnologia o di licenza di marchio o di brevetto, di distribuzione ecc.).

È anche importante che il contratto di joint venture appronti degli strumenti utili per l’“uscita” dell’impresa italiana dall’operazione, nel caso in cui i risultati siano inferiori a quelli pianificati o comunque sorgano problemi nei rapporti con il partner o di altro genere, tenuto conto che i cosiddetti patti parasociali, ossia gli accordi tra i soci esterni allo statuto e destinati ad avere influenza sulle dinamiche societarie (es. esclusione di un socio), sono efficaci solo tra le parti dell’accordo stesso e possono subire limitazioni ad opera del diritto societario del Paese ove ha sede la società, quindi i rimedi per il caso di loro mancato rispetto devono essere attentamente studiati. Si ricorda che, a differenza della società straniera, necessariamente regolata dalla legge dove il Paese ha sede, il contratto di joint venture può, come un qualsiasi contratto commerciale, essere sottoposto ad un’altra legislazione, dunque anche quella italiana, così come libera è la determinazione del meccanismo (giurisdizione statale o arbitrato) per la risoluzione delle controversie, scelte queste, come quelle sopra accennate, da operare alla luce delle molte variabili del caso specifico.

Senz’altro più semplice, dal punto di vista giuridico, è la costituzione all’estero di una società con capitale interamente detenuto dall’impresa italiana, il che consente di evitare di dover regolare i rapporti col socio straniero. In questo caso rileva unicamente la conoscenza del diritto, specie societario e fallimentare, del Paese straniero in questione, che, come detto, necessariamente si applica alla società straniera.

In ogni caso occorre scegliere il tipo di società più adatto anzitutto al fine di limitare la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, potendo normalmente scegliere tra una società da capitalizzare meno e con minori vincoli gestionali, corrispondente alla nostra Srl, ed una, al contrario, da capitalizzare maggiormente e con maggiori vincoli gestionali, sostanzialmente corrispondete alla Spa di diritto italiano.
Occorrerà quindi valutare se sia previsto un capitale minimo e di quale entità, se siano ammessi conferimenti in natura e, se del caso, se sia ammesso il conferimento di beni immateriali (es. diritti di proprietà industriale) ed eventualmente a quali condizioni (es. carattere innovativo della tecnologia e/o valutazione da parte di soggetti accreditati).
Quanto al numero dei soci, occorrerà valutare, anche in base al tipo societario, se la legislazione del Paese in questione ammetta che vi sia un unico socio. Anche rispetto all’organo amministrativo occorre valutare se vi possa essere un amministratore unico e, sia per i soci sia per gli amministratori, è necessario verificare che non siano previsti requisiti di nazionalità o residenza. Inoltre occorrerà conoscere le regole che, in quel Paese, governano la responsabilità degli amministratori, onde essere consapevoli degli illeciti civili, amministrativi o penali che possono essere commessi nell’esercizio dell’attività gestoria. Tra l’altro, andranno anche valutati gli adempimenti fiscali e contabili cui assolvere, tra cui l’eventuale obbligo di certificazione del bilancio.

Le predette operazioni si possono naturalmente anche realizzare tramite acquisizione totale o parziale, a seconda dei casi, delle quote di società straniere già esistenti, con il vantaggio di avvalersi di soggetti già ‘avviati’ sul mercato locale sotto vari profili, commerciale, produttivo ecc., ma anche con lo svantaggio di ‘portarsi dietro’ passività e rischi, che possono tuttavia essere limitati o esclusi con un attento contratto di acquisizione e con debite garanzie da parte del cedente.



Gruppi di società

È importante considerare che, in caso di costituzione (o acquisto) di una società estera e di suo eventuale “controllo”, potrebbe determinarsi l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento su di essa, situazione distinta dal controllo ed oggetto di specifica normativa in materia di gruppi di società a tutela dei creditori e dei soci di minoranza della società eterodiretta. Come detto, controllo e direzione e coordinamento non sono la medesima situazione: il controllo normalmente si ha quando si possiede la maggioranza dei voti per deliberare sulle decisioni più importanti di una società (quali, innanzitutto, la nomina degli amministratori), oppure quando si dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante o, ancora, quando tale influenza dominante può essere esercitata in conseguenza di un contratto (si pensi, in quest’ultimo caso, a tutti quei rapporti in cui una parte è talmente importante per un’altra – come nei casi di franchising o di imprese “mono-clienti”) di modo da poter, nella sostanza, controllare tale società. Controllo, tuttavia, non significa già “eterodirezione”, in quanto l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento consiste specificamente nella capacità di una società di dirigere, determinare e dettare le linee strategiche di un’altra, cioè, in sostanza, di influire in maniera decisiva sulle scelte amministrative di questa, pur conservando, quest’ultima, la sua autonomia giuridica. In altre parole, in presenza di un gruppo si ha una pluralità di soggetti giuridici a fronte di un disegno economico unitario. Si noti che, nell’ordinamento italiano, l’esercizio di attività e di direzione e coordinamento è presunto nei rapporti di controllo.
Tra le utilità della creazione di un gruppo, rispetto all’istituzione di un semplice stabilimento (o ramo d’azienda), vi è la limitazione della responsabilità: nel caso, ad esempio, di insolvenza del ramo d’azienda, la responsabilità si estenderebbe direttamente alla società cui appartiene, in quanto trattasi del medesimo soggetto giuridico. Diversamente, nel caso in cui lo stabilimento avesse una sua autonomia giuridica, in quanto, ad esempio, conferito in una società controllata, la sua insolvenza non si ripercuoterebbe sulla holding, salve, normalmente, le regole in materie di abuso di attività di direzione e coordinamento. Nel nostro ordinamento, ad esempio, è espressamente prevista la responsabilità della holding ai sensi dell’articolo 2497 codice civile, secondo il quale le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. Risponde inoltre in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
Normalmente gli aspetti che vengono disciplinati in caso di gruppi sono:
- responsabilità della holding, della società controllata, dei loro organi e di coloro che possano beneficiare di eventuali abusi;
- obblighi pubblicitari;
- obblighi in materia contabile;
- obblighi in materia di finanziamenti;
- obblighi di trasparenza e di motivazione delle decisioni influenzate dalla holding;
- fonti dell’attività di direzione e coordinamento e limiti all’ingerenza da parte della holding nella controllata.
A titolo esemplificativo, si consideri come in Italia si tende ad escludere che una società eterodiretta debba rinunciare completamente alla propria autonomia, non essendo tendenzialmente ammessi contratti di dominio eccessivamente forti. Diversamente, in Germania, può essere stipulato un c.d. Beherrschungsvertrag (contratto di dominio “forte”) che, tuttavia, deve essere approvato dal 75% dei soci che rappresentano il capitale sociale di entrambe le società, previa relazione da parte dell’organo amministrativo (Vorstand) e previo controllo da parte di “esperti controllori” (Vertragsprüfer).
Quanto alla fonte e alla responsabilità, sebbene sia tuttora discutibile quale diritto debba applicarsi quando holding e società dominata appartengano a due Stati diversi, occorre considerare come, se la holding fosse italiana, potrebbe sostenersi l’applicazione delle norme relative alla sua responsabilità e ciò in virtù dell’articolo 25 l. 218/1995 che, anche alla luce di una interpretazione conforme a quella comunitaria circa l’applicazione del diritto del luogo ove la società ha la sede, prevede che si applichi tale legge anche alla responsabilità per le obbligazioni dell'ente nonché alle conseguenze delle violazioni della legge o dell’atto costitutivo.
In ogni caso, occorre considerare che la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha applicato dei principi non molto diversi da quelli dell’ordinamento italiano, stabilendo, ad esempio, che nel caso in cui una società controllante detenga il cento per cento del capitale della sua controllata che si sia resa responsabile di un comportamento illecito, esiste una presunzione semplice che tale società controllante eserciti un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata (cfr. sentenza della Corte 10 settembre 2009, n. 97/08; sentenza della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione). 
 

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05/09/2023 - 14:14

Aggiornato il: 05/09/2023 - 14:14