Queste distinzioni non sono puramente accademiche: appartenere all’una o all’altra di queste figure giuridiche comporta una serie di conseguenze rilevanti sul piano amministrativo, fiscale, previdenziale e creditizio.
Per non fare confusione: imprenditore commerciale e commerciante
Attenzione a non confondere «imprenditore commerciale» con «commerciante». Per il codice civile il termine «commerciale» non indica l’appartenenza a un particolare settore economico (quello del commercio), ma identifica un determinato «status giuridico»: sono quindi «imprenditori commerciali» tutti coloro che esercitano attività produttive, di intermediazione (i commercianti in senso stretto) e di servizi, con le caratteristiche sopra indicate.2
1 Il nostro ordinamento giuridico classifica l'imprenditore e la sua attività in un modo poco lineare: ciò è dovuto soprattutto a ragioni storiche, che non è il caso di approfondire in questa sede.2 Esercizio di attività economica diretta alla produzione e allo scambio di beni e servizi; organizzazione; professionalità.
Sebbene il codice distingua tra imprenditore commerciale, imprenditore agricolo e piccolo imprenditore, la figura più importante, che produce cioè le conseguenze giuridiche di maggior rilievo (per esempio la possibilità di fallire) è quella di imprenditore commerciale. Per opinione corrente il concetto di imprenditore commerciale si ottiene per esclusione, sottraendo dalla nozione generale di «imprenditore» la figura dell’«imprenditore agricolo» e (quando ricorre) del «piccolo imprenditore»: in parole povere, sono imprenditori «commerciali» tutti gli imprenditori che non sono né «agricoli» né «piccoli».
Come sopra accennato, rientrare in questo quadro giuridico produce una conseguenza molto importante:
l'imprenditore commerciale è assoggettato al fallimento
Il fallimento può avere conseguenze molto pesanti sul piano patrimoniale, ma anche personale, dell’imprenditore.1 Data la complessità della materia, rimandiamo per maggiori dettagli a pubblicazioni specializzate.
1 Come recita la legge fallimentare (R.D. 267/42 –art. 5) «L’imprenditore che si trova in stato d’insolvenza è dichiarato fallito. Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni». La procedura di fallimento ha come scopo quello di soddisfare i creditori dell’impresa. Di conseguenza, il fallito è chiamato a rispondere dei debiti con tutto il suo patrimonio, anche per la parte non investita direttamente nell’azienda.
È imprenditore agricolo (art. 2135 c.c. e come modificato dal d.lgs. 228/2001) chi esercita una o più delle seguenti attività: • coltivazione del fondo; • selvicoltura; • allevamento di animali; • attività connesse (es. produzione e vendita diretta di olio, vino, miele, funghi, formaggi, ecc.).
Per la precisione si intendono «connesse» le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto: • prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali; • attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell'azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità.
Secondo il codice civile (art. 2083 c.c.) sono piccoli imprenditori:
• i coltivatori diretti del fondo; • gli artigiani; • i piccoli commercianti; • coloro che esercitano un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei componenti della famiglia.
Questa figura, pur richiamata espressamente dal codice aveva perso via via d’importanza per la sostanziale indeterminatezza della legislazione al riguardo, che rendeva – e rende tuttora – difficile identificare con precisione quando un imprenditore è «piccolo». Dal ‘93 ha ripreso tuttavia maggior significato con l’istituzione del Registro delle Imprese presso le Camere di commercio, che prevede una Sezione Speciale per l’iscrizione dei piccoli imprenditori.
Tale figura si connota per due caratteristiche:
• riunisce sia l’ambito di attività dell’imprenditore commerciale (relativamente ai commercianti in senso stretto) che quello dell’imprenditore agricolo; • si caratterizza per le limitate dimensioni dell’impresa, dove comunque il lavoro del titolare e dei familiari deve essere prevalente sia sul lavoro dei terzi che sul capitale investito nell’azienda.
La conseguenza più importante che deriva da questo status giuridico è che generalmente, a differenza dell’imprenditore commerciale, Il piccolo imprenditore non può fallire.
Attenzione però: il fatto di essere iscritti alla Camera di commercio come piccoli imprenditori non mette del tutto al riparo dal rischio di fallimento. Infatti in caso di insolvenza il piccolo imprenditore non viene automaticamente riconosciuto come tale: è il giudice fallimentare che decide di volta in volta, secondo vari criteri dettati dalla legge fallimentare1 e dalla giurisprudenza in merito. 1 R.d. 16 marzo 1942, n. 267, riformato dal d.lgs. 12 settembre 2007, n. 169. In base alla riforma, il legislatore fornisce ora una nuova nozione quantitativa di piccolo imprenditore (ammontare di attivo patrimoniale, di ricavi, ecc.) che prescinde dal criterio qualitativo stabilito dall’art. 2083 c.c. Ma le nuove norme non fugano i dubbi interpretativi. In ogni caso il ruolo del giudice fallimentare e della giurisprudenza di merito si conferma fondamentale per applicare la normativa ai singoli casi concreti.
Come si è visto, a proposito del piccolo imprenditore il codice richiama esplicitamente alcune figure (coltivatore diretto, artigiano, piccolo commerciante). Queste figure sono state oggetto di disciplina speciale a vari fini (previdenziali, creditizi, ecc.). Vedremo ora in particolare, per la sua importanza, la disciplina dell’artigianato (con una avvertenza: le definizioni di artigiano per il codice e per la disciplina speciale – pur sovrapponendosi in larga parte – non coincidono esattamente).1
L’attività artigiana, per l’importanza economica che tradizionalmente riveste nel nostro Paese, è regolata a livello nazionale da una Legge speciale sull’Artigianato (legge 443/85 e successive modifiche e integrazioni).2 Tale legge precisa le caratteristiche sia dell’imprenditore artigiano che dell’impresa artigiana. Esistono inoltre diverse leggi regionali che regolano la materia a livello locale.
È considerato imprenditore artigiano chi:• esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare l’impresa artigiana; • assume la piena responsabilità dell’impresa, con tutti gli oneri e i rischi inerenti alla sua direzione e gestione; • svolge prevalentemente in prima persona l’attività, intervenendo, anche manualmente, nel processo produttivo.L’imprenditore artigiano può essere titolare di una sola impresa artigiana.
Si considera impresa artigiana quella che: • assume esclusivamente una delle forme giuridiche consentite dalla Legge Speciale (Impresa individuale, Società in nome collettivo, Società in accomandita semplice, Società a responsabilità limitata, Cooperativa, Consorzio); • ha un numero di dipendenti non superiore a determinati limiti, che variano da 8 a 40 secondo il tipo di contratto (apprendisti o non apprendisti), di lavorazione (in serie o non in serie) e di settore (edilizia, trasporti, abbigliamento, ecc.); 3 • è rivolta alla produzione di beni (anche semilavorati) e di servizi, ad esclusione delle seguenti attività: - attività agricola; - attività di intermediazione commerciale (somministrazione al pubblico di alimenti e bevande, commercio all’ingrosso, al dettaglio, ecc.); - attività ausiliarie di queste ultime (agente, mediatore, ecc.).
Naturalmente l’artigiano potrà svolgere le attività di cui sopra in quanto «strumentali ed accessorie» all’esercizio dell’impresa: ad esempio una pasticceria artigiana può vendere i propri prodotti anche direttamente al pubblico (purché tali prodotti siano consumati immediatamente nei locali di produzione), in quanto tale commercio è puramente accessorio – cioè secondario – rispetto all’attività principale (quella produttiva).
Più in generale l’artigiano può vendere liberamente prodotti propri e di terzi, però con alcune limitazioni: • nel caso in cui venda prodotti propri al di fuori dei locali di produzione dovrà attenersi agli obblighi previsti per i commercianti, ma ciò non gli farà perdere la qualifica di artigiano; • nel caso in cui venda prodotti non realizzati da lui, non solo dovrà attenersi agli obblighi previsti per i commercianti, ma (se il reddito che gli deriva dal commercio è maggiore di quello che proviene dall’attività produttiva) potrà perdere la qualifica di artigiano ed acquisire quella di commerciante.
È bene ricordare ancora che la figura dell’artigiano, come definita dalla legge speciale, non coincide esattamente con quella prevista dal codice civile; ai fini pratici, tuttavia, ciò che conta sapere è che ogni imprenditore che abbia le caratteristiche previste dalla legge speciale sull’artigianato è tenuto a presentare domanda di iscrizione all’Albo provinciale delle imprese artigiane, che di regola ha sede presso la Camera di commercio.4 Dall’iscrizione all’Albo derivano importanti conseguenze: • l’obbligo del pagamento dei contributi INPS per la previdenza e l’assistenza sanitaria previste a carico degli artigiani; • il diritto ad usufruire di sgravi fiscali non indifferenti, di finanziamenti agevolati (erogati soprattutto dall’Artigiancassa, l’ente finanziario di categoria) e di altri benefici («abbattimenti» contributivi per i dipendenti, ecc.).
L’artigiano ieri e oggi: dal calzolaio all’esperto di siti web Al giorno d’oggi artigiano non è più solo il calzolaio, il fabbro ferraio o l’impagliatore di sedie. Può rientrare in questa figura giuridica, se ne ha i requisiti, anche chi offre prodotti o servizi innovativi: ad esempio fotografia industriale, pubblicità e comunicazione d’impresa, computergrafica, desktop publishing, realizzazione di siti internet, ecc.
1Alcuni esempi: il caso dell’artigiano iscritto all’Albo apposito ma non piccolo imprenditore (es. Srl unipersonale artigiana) e viceversa quello del piccolo imprenditore artigiano ma non iscritto all’Albo (es. titolare di impresa familiare artigiana non partecipante all’attività produttiva).2 Modificata dalla legge 20 maggio 1997, n° 133 «Modifiche all’articolo 3 della legge 8 agosto 1985 in materia di impresa artigiana costituita in forma di società a responsabilità limitata con unico socio o di società in accomandita semplice».3Ad es. un'impresa di trasporto, per essere considerata artigiana, deve avere non più di 8 dipendenti; un'impresa che opera nei settori delle lavorazioni artistiche, tradizionali e dell'abbigliamento su misura, per essere considerata artigiana deve avere un massimo di 32 dipendenti, compresi gli apprendisti in numero non superiore a 16: il numero massimo dei dipendenti può essere elevato fino a 40 a condizione che le unità aggiuntive siano apprendisti; ecc. Per maggiori informazioni si può consultare la banca dati «Filo d'Arianna» presso le Camere di commercio o Aziende speciali convenzionate con Retecamere.4 In alcune regioni, come ad esempio in Toscana, le Commissioni provinciali per l’artigianato (C.P.A.) sono state abolite e le relative funzioni vengono svolte direttamente dalle Camere di commercio.