Non sempre è chiaro il significato di espressioni quali «mettersi in proprio», «avviare un’attività autonoma» o «diventare imprenditore». «Mettersi in proprio» è un’espressione generica che si riferisce a tutte le attività di lavoro non dipendente: si può dire, quindi, che chiunque avvia un’attività lavorativa in forma non subordinata «si mette in proprio». Più difficile è distinguere l’«attività di lavoro autonomo» dall’«attività imprenditoriale»: in genere, tuttavia, si attribuiscono al lavoro autonomo delle caratteristiche diverse da quelle dell’impresa.
Tutte le attività di lavoro indipendente si possono perciò classificare, secondo le norme civilistiche e fiscali 1, in due categorie principali: • attività di impresa; • attività di lavoro autonomo.
Secondo un altro punto di vista, a partire dall’istituzione del Registro delle imprese presso le Camere di commercio, tutte le attività di lavoro indipendente possono essere «rilette» secondo la seguente ripartizione:
• Impresa commerciale e Impresa agricola; • Piccola impresa; • Lavoro autonomo.
Tale ripartizione tiene meno conto della differenza tra «attività economica di impresa» e «attività economica non di impresa», ed è legata piuttosto alla dimensione e tipologia dell’«azienda» (cioè – come vedremo più avanti – la combinazione di capitale e lavoro utilizzata dall’imprenditore nell’esercizio della propria attività):
• quando l’azienda è grande si ha l’imprenditore in senso stretto, che può essere commerciale (da non confondersi con il «commerciante» – v. più avanti) o agricolo a seconda dell’ambito in cui l’azienda opera; • quando l’azienda è piccola si ha il piccolo imprenditore, figura ibrida in cui confluiscono alcuni piccoli imprenditori commerciali (i piccoli commercianti), i piccoli imprenditori agricoli, gli artigiani e tutti coloro che svolgono attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei familiari); • quando l’azienda non esiste si ha il lavoro autonomo.
Naturalmente esistono infiniti dibattiti in dottrina e giurisprudenza per chiarire i confini tra questi istituti, ma è chiaro che la soluzione di questi problemi non rientra nei compiti della nostra pubblicazione. In ogni caso, ciò che conta per chi legge è che rientrare in uno piuttosto che in un altro di questi quattro tipi di attività, è rilevante a diversi fini: fallimento, tenuta dei libri contabili, regime della pubblicità verso terzi degli atti costitutivi e dei bilanci, regime previdenziale e fiscale ed accesso al credito.
1 Quando si parla di normativa civilistica, si fa riferimento soprattutto al codice civile (c.c.); quando si parla di normativa fiscale si fa riferimento ad alcune leggi fondamentali, tra cui il Testo Unico Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), le leggi IVA, ecc.