2.2 - Le diverse forme di cooperazione commerciale con partner stranieri


2.2 Le diverse forme di cooperazione commerciale con partner stranieri

La collaborazione commerciale e produttiva con un partner straniero può strutturarsi con modalità molto diverse, che dipendono dalle dimensioni delle imprese, dal settore merceologico, dal Paese straniero e naturalmente alle opportunità e alle scelte. Le possibili soluzioni sono spesso tra loro connesse e suscettibili di evoluzione nel tempo.

In concreto accade spesso che le imprese italiane inizino a vendere i loro prodotti ad alcuni clienti stranieri con cui sono entrate in rapporti in maniera sostanzialmente casuale, magari tramite un procacciatore d’affari, per poi acquisire un certo interesse per determinati mercati stranieri e quindi nominare uno o più agenti commerciali che promuovano stabilmente affari in quei Paesi. A volte invece può accadere che l’impresa inizi nominando un distributore all’estero, per poi decidere di voler essere presente direttamente in quel Paese con una propria società commerciale o addirittura produttiva. Può infatti succedere che un cliente straniero proponga all’impresa italiana di realizzare all’estero una joint venture produttiva o distributiva.

Il contratto di vendita, di cruciale importanza per la sua grande diffusione, è oggetto dei successivi capitoli 4 e 5. Dato il grande impatto che, negli ultimi anni, eventi imprevisti quali la pandemia di COVID-19 e la guerra in Ucraina hanno avuto sui contratti, specie internazionali, si è ritenuto d’interesse dedicare un approfondimento alle norme che regolano queste situazioni e alle clausole che possono risolvere i problemi connessi. Per questo approfondimento si rimanda al capitolo 4 della presente guida.

Più oltre in questo capitolo si esporranno gli aspetti essenziali dei contratti di agenzia, distribuzione e procacciamento d’affari oltre a qualche cenno su alcune altre forme di cooperazione commerciale e produttiva che prevedono una maggiore integrazione tra imprese.

I principali legami contrattuali tra imprese, che realizzano forme di decentramento produttivo

Il concetto di lavorazione per conto, con cui si intende in generale la committenza di fasi di lavorazione del prodotto, normalmente per mezzo di tecnologia propria dell’impresa incaricata, si differenzia dal concetto di subfornitura, che indica i rapporti con i quali il committente affida a un’altra impresa lavorazioni su semilavorati o su materie prime da esso fornite oppure la produzione, in base alla tecnologia del committente, di prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o utilizzati nell’ambito dell’attività del committente (in Italia oggetto della legge 192/1998). Con OEM (Original Equipment Manufacturer) si intende invece la fabbricazione di prodotti standard con il marchio del committente.

Si parla di contratti di trasferimento di tecnologia per indicare rapporti di cooperazione anche complessi, nei quali, in vario modo, si trasferiscono al partner straniero conoscenze che rendono possibili nuove attività o nuove metodologie di lavoro (ad esempio tramite licenze di know how, di brevetti, vendita di macchinari o di servizi di consulenza e di assistenza).

Nell’arricchirsi della complessità dei rapporti tra imprese, si utilizza il generico termine di joint venture contrattuale per indicare contratti di collaborazione senza contenuti predeterminati. Si definisce joint venture societaria quel progetto di cooperazione che prevede la costituzione, all’estero, di una società tra il/i partner italiano e quello/i straniero/i per la produzione o la vendita di beni o per la prestazione di servizi o per la realizzazione di altre attività. La società così formata potrà essere legata da contratti di vario tipo con le società partner (ad esempio, acquisto macchinari, vendita semilavorati, licenze marchio, di brevetto, di know-how, contratti di distribuzione).
Nell’intraprendere iniziative produttive o commerciali all’estero si consiglia comunque, salvo brevi fasi esplorative, la costituzione di una società di diritto locale di forma corrispondente alla nostra società a responsabilità limitata, che consente, con costi contenuti, di evitare rischi di imputazione diretta, sotto profili legali e fiscali, delle attività svolte in loco dall’impresa italiana.

In generale, si consiglia comunque all’impresa italiana di formalizzare gli accordi esistenti tra le parti, non solo al fine di dare prova della loro esistenza e di regolamentare adeguatamente i relativi contenuti, ma anche al fine di evitare pericolose riqualificazioni dei rapporti da parte del giudice in caso di eventuali contenziosi. Infatti il Giudice, nella sua attività di ricostruzione delle fattispecie, potrebbe accertare l’esistenza di un rapporto diverso da quello voluto dalle parti.

Esempio pratico per illustrare la problematica

Nel nostro ordinamento possono essere costituite società di persone anche per fatti concludenti ossia in assenza di un atto costitutivo per iscritto: è il fenomeno delle cosiddette società di fatto. Quindi, se tra due o più soggetti (addirittura società di capitali, secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza), si venissero a creare dei legami commerciali piuttosto stretti nei quali ci sia addirittura una compartecipazione ai guadagni o, magari, al rischio di impresa, una condivisione di strumenti o altri elementi tali da connotare una particolare “integrazione” tra le parti, vi è il rischio di una riqualificazione del rapporto in società di fatto, con la conseguenza che dei debiti di tale società di fatto risponderebbero illimitatamente tutti coloro che, secondo il giudice, siano da considerarsi soci. Pertanto la corretta formalizzazione dei rapporti, oltre all’impiego di un adeguato linguaggio e di un adeguato assetto organizzativo, possono dare certezza ai rapporti giuridici ed evitare di ritrovarsi in scenari imprevisti e rischiosi.

 

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05/09/2023 - 11:58

Aggiornato il: 05/09/2023 - 11:58

2.2.1 - L’agente di commercio


2.2.1 L’agente di commercio

L’agenzia è il contratto in base al quale un soggetto indipendente (l’agente) viene incaricato stabilmente da un altro soggetto (il preponente), di promuovere la conclusione di contratti in una zona determinata.

Si tratta quindi di un rapporto tra l’impresa italiana e un intermediario, che non ne acquista i prodotti, ma si limita a promuoverne le vendite, i servizi, o altri affari in cambio di un corrispettivo generalmente rappresentato da una percentuale sugli affari conclusi.

Tale contratto è oggetto, nell’Unione europea, della Direttiva 86/653/CEE, recepita, negli anni successivi, dai Paesi comunitari, che possiedono oggi leggi nazionali in materia di agenzia. Tali leggi differiscono, almeno in parte, tra loro, sia per le alternative consentite dalla Direttiva 86/653/CEE, sia per gli aspetti da essa non regolati (riportiamo qui di seguito alcuni esempi tratti dalle legislazioni di alcuni Paesi comunitari con i quali vi è un importante interscambio con l’Italia). Anche al di fuori dell’UE, varie legislazioni disciplinano il rapporto di agenzia e, anche in questo caso, riportiamo alcuni esempi d’interesse per le imprese italiane.

I principali aspetti che è utile considerare in un rapporto internazionale di agenzia commerciale sono i seguenti:
• zona dell’incarico: con cui si intende il territorio (ad esempio uno o più Stati o porzioni di Stato, quali regioni o province: a tal fine si consiglia di utilizzare esclusivamente riferimenti amministrativi e non geografici, possibile fonte di incertezze interpretative) e, eventualmente, specifici settori di clientela affidati all’agente, nonché i
• prodotti cui si riferisce l’incarico: tutti i prodotti dell’impresa o soltanto alcune linee di prodotto
carattere esclusivo o non esclusivo dell’incarico: si ricorda che la legge italiana (articolo 1743 del codice civile) stabilisce che, in assenza di diverse precisazioni, l’incarico si intenda esclusivo, quindi, qualora il contratto sia sottoposto alla legislazione italiana e non si voglia attribuire all’agente l’esclusiva, il contratto deve pronunciarsi sul punto, il che sarà opportuno anche se il contratto è sottoposto a legislazioni straniere, nel dubbio in merito a ciò che esse prevedono, tenuto però conto che alcune legislazioni, ad esempio in alcuni Paesi del Medio Oriente, potrebbero non consentire deroghe contrattuali all’esclusiva in favore dell’agente locale
• divieto di concorrenza dell’agente: anche il divieto di promuovere, nella stessa zona e per gli stessi prodotti, affari di imprese concorrenti è previsto dalla legge italiana, salvo deroghe contrattuali che devono quindi essere espresse (articolo 1743 del codice civile); qualora il contratto sia sottoposto ad una legislazione straniera (che non si conosce) e si desideri vincolare l’agente a non svolgere attività concorrenziale, è bene regolare prevedere espressamente questo aspetto, in quanto potrebbe mancare una norma come quella del codice civile italiano, sebbene talvolta all’estero la giurisprudenza faccia rientrare questo dovere nel generale obbligo di buona fede dell’agente
• obbligo di promozione: molti contratti prevedono l’obbligo dell’agente di promuovere affari, in un certo periodo (ad esempio, un anno) per un certo fatturato minimo nonché le conseguenze del mancato raggiungimento del minimo, quali generalmente la facoltà del preponente di risolvere il contratto, di ridurre la zona (territorio, clientela e/o linee di prodotto), di revocare l’esclusiva. Questa obbligazione dovrebbe essere la conseguenza della trattativa precontrattuale, la contrattualizzazione di una delle variabili in base alle quali l’agente è stato scelto, magari rispetto ad altri: qualora il contratto non dia i frutti attesi, potrà essere risolto o ‘ridimensionato’, a seconda di quello che è stato pattuito. Quanto alle modalità di svolgimento dell’incarico promozionale, la legge italiana stabilisce che l’agente debba attenersi alle istruzioni del preponente (da impartire sempre ricordando che l’agente è un soggetto indipendente), tipicamente relative alle condizioni di vendita che deve presentare alla clientela. Un ulteriore aspetto che potrebbe essere utile disciplinare è la sorte dei campionari e della documentazione contrattuale alla fine del contratto
• poteri di rappresentanza, secondo la legge italiana (articolo 1745 del codice civile), in assenza di diverse precisazioni, l’agente si intende privo di poteri di rappresentanza (essendo quindi lasciato al preponente il diritto di concludere, o eventualmente di non concludere, l’affare): in caso di applicazione di legge straniera al contratto e comunque, a fini di chiarezza, è consigliabile che questo punto venga chiarito contrattualmente
• doveri di informazione dell’agente sull’attività promozionale, sulla solvibilità dei clienti e sul mercato, incluse leggi e altre norme applicabili ai prodotti, sulle attività dei concorrenti e sulle eventuali contraffazioni del marchio e di eventuali brevetti o altre violazioni, attuali o potenziali, dei diritti di proprietà industriale del preponente; l’obbligo di informativa dell’agente, previsto inderogabilmente dalla legge italiana, così come il generale obbligo di tutelare gli interessi del preponente, agendo con lealtà e buona fede, è utile venga declinato nel contratto, specialmente se sottoposto a legislazioni straniere
• provvigioni: in genere vengono calcolate in forma percentuale sugli affari conclusi dal preponente con i clienti procurati dall’agente. È consigliabile, per il preponente, prevedere espressamente che la provvigione sia condizionata al buon fine dell’affare, per evitare di doverla corrispondere all’agente anche nel caso in cui il cliente non paghi, come prevede, in assenza di deroghe contrattuali, la legge italiana, che stabilisce, come momento di maturazione del diritto alla provvigione, quello di conclusione del contratto con il cliente (articolo 1748 codice civile)
• rimborsi spese: nonostante l’agente commerciale sia un soggetto indipendente, accade a volte che egli chieda il rimborso di spese sostenute per l’esercizio dell’attività promozionale (si consideri comunque che la legge italiana non prevede che l’agente abbia un tale diritto, che quindi si configurerà solo  salvo che le parti si accordino diversamente)
• durata del contratto: può essere determinata o indeterminata. Nel primo caso il contratto non può essere risolto anticipatamente, se non per giusta causa, nel secondo può essere risolto anche immotivatamente, in qualunque momento, salvo l’obbligo di rispetto del preavviso minimo stabilito in modo non uniforme dalle diverse leggi nazionali
• indennità di fine rapporto: la sua corresponsione, se ricorrono determinate condizioni, è un obbligo del preponente previsto inderogabilmente dalle leggi dei Paesi dell’Unione europea (in recepimento della Direttiva 86/653/CEE).
Secondo la legge italiana essa può ammontare al massimo ad un’annualità di provvigioni sulla media degli ultimi cinque anni o minor periodo di durata del rapporto (articolo 1751 del codice civile), ma altre leggi nazionali dispongono diversamente. Ad esempio in Francia l’indennità di fine rapporto, data la previsione legislativa priva di un tetto (L. 134-12 del Code du Commerce) e la relativa applicazione giurisprudenziale, giunge in genere a due annualità.
Al fine di non incorrere in oneri imprevisti è bene accertarsi della legge applicabile al contratto e del giudice competente per risolvere le eventuali controversie. Si consideri infine che in vari Paesi extra-UE, non vige alcun obbligo di corrispondere un’indennità di fine rapporto all’agente, quindi, nei rapporti con agenti di quei Paesi, si potrà opportunamente evitare l’applicazione della legge italiana
• divieti di concorrenza post-contrattuale e assunzione di garanzie per il buon fine di specifici affari: sono soggetti a vincoli specifici, quanto all’UE si ricordi che la Direttiva 86/653/CEE (articolo 20), cui le legislazioni dei Paesi membri si sono uniformate, stabilisce che il patto di non concorrenza post contrattuale sia valido solo se a) sia stipulato per iscritto; e b) riguardi il settore geografico o il gruppo di persone e il settore geografico affidati all'agente, nonché i prodotti oggetto del contratto. La Direttiva stabilisce inoltre che detto patto sia valido solo per un periodo massimo di due anni dopo l'estinzione del contratto. In aggiunta la legge italiana prevede l’obbligo di remunerare tale obbligo alla cessazione del rapporto (articolo 1751 bis codice civile)
• legge applicabile e foro competente (o arbitrato): possono essere liberamente scelti dalle parti nel contratto; la scelta è strategica perché, come detto, le leggi dei vari Paesi, anche comunitari, differiscono tra loro. Inoltre, per quanto attiene ai contratti con agenti extra-europei occorre prendere in considerazione la possibilità di svincolare le variabili della legge applicabile e del foro competente dal nostro ordinamento nazionale.

N.B. :
Si ricorda comunque che la formulazione delle clausole contrattuali non può prescindere dalla conoscenza della legge applicabile al contratto e, se diversa, anche della legge del paese dell’agente, per valutarne l’eventuale interferenza col contratto.

Una panoramica delle singole normative nazionali in materia di agenzia commerciale di alcuni paesi Ue ed Extra-Ue è contenuta nella presente scheda  
 

Servizio Ricerca agenti in paesi Ue

Contatti utili per approfondimenti sulla normativa del singolo Stato  e per la ricerca di agenti sono le associazioni di categoria, presenti in quasi tutti i Paesi UE.
Di particolare interesse è anche il sito dell’Associazione IUCAB – International United Commercial Agents and Brokers – Associazione che raggruppa alcune delle principali associazionali nazionali  nei paesi Ue e non solo: https://iucab.com/  Dal sito di Iucab, selezionando Members, è possibile accedere ai contatti delle associazioni nazionali di agenti che aderiscono alla rete IUCAB.
Ad esempio per Francia e Germania il contatto nazionale IUCAB è rispettivamente:

Francia, Federation Nationale des agents commerciaux - FNAC: http://www.comagent.com
Germania, National Federation of German Commercial Agencies and Distribution: http://www.cdh.de  

Tra i membri per l’Italia di IUCAB c’è anche APARC USARCI, Associazione Piemontese degli agenti e rappresentanti di commercio.
Le imprese interessate a verificare i servizi di ricerca agenti di APARC USARCI possono inviare un’email all’indirizzo info@aparc.it

  • Ricerca partner commerciali tramite il canale delle Camere di commercio italiane all’estero

    Si tratta di strutture private, che hanno un riconoscimento da parte del Ministero degli Affari esteri, e che offrono tali servizi in regime di mercato. Il costo varia in base al grado di assistenza personalizzata (dalla lista all’incontro b2b). Sono presenti in paesi Ue ed extra Ue, i contatti sono disponibili sul sito dedicato: www.assocamerestero.it
     
  • Rete Enterprise Europe Network

    Nell’ambito della rete comunitaria Enterprise Europe Network, è possibile ricercare un agente anche tramite l’inserimento della propria richiesta nella banca dati della Commissione europea (Partnering Opportunity Database - Pod) e/o tramite la partecipazione a possibili eventi B2B commerciali. Per ulteriori informazioni sul servizio di Ricerca partner commerciali tramite la rete Enterprise Europe Network si rimanda al successivo paragrafo 2.3.1.
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20/09/2023 - 11:16

Aggiornato il: 20/09/2023 - 11:16

2.2.2 - Il procacciatore d’affari


2.2.2 Il procacciatore d’affari

Il procacciatore d’affari è un soggetto che, a differenza dell’agente, non assume l’incarico di promuovere stabilmente gli affari dell’impresa italiana ma si limita a segnalare all’impresa una o più occasioni di affari, verso pagamento di una provvigione al buon fine degli stessi, nei termini concordati tra le parti.

Di solito il procacciatore è un soggetto che svolge principalmente attività di altro genere, nell’ambito delle quali può avere occasione di venire a conoscenza di affari da segnalare all’impresa, ma senza assumere l’obbligo di svolgere stabilmente attività promozionale in suo favore, tipica, invece, del contratto di agenzia.

Non applicandosi, a questa figura, la normativa in tema di agenzia, al procacciatore non sono riconosciute le tutele di cui gode, per legge, l’agente, quindi, ad esempio significativo, non gli è dovuta alcuna indennità alla fine del rapporto. Si segnala, tuttavia, che la qualificazione del rapporto (come agenzia o procacciamento d’affari) non dipende da quanto scritto nel contratto, ma da come esso verrà effettivamente eseguito dalle parti, quindi, solo se il rapporto che si instaura sarà occasionale, sarà consigliabile stipulare un contratto di procacciamento d’affari, in quanto, se il contratto così concluso venisse poi eseguito come agenzia, cioè con lo svolgimento di stabile attività promozionale, il presunto promotore, in realtà agente, potrebbe invocare giudizialmente le tutele cui ha diritto per legge nei confronti dell’impresa, la quale avrebbe perduto l’occasione di spostare contrattualmente, per quanto possibile, l’equilibrio del rapporto in suo favore.

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19/07/2023 - 10:28

Aggiornato il: 19/07/2023 - 10:28

2.2.3 - Il distributore


2.2.3 Il distributore

Il contratto di distribuzione è l’accordo tra due imprese per il quale uno dei contraenti (concedente o fabbricante) concede all’altro (concessionario o distributore) il diritto di commercializzare i prodotti del concedente in nome e per conto del concessionario, in un determinato territorio. In questo, dunque, il contratto di distribuzione differisce dal contratto di agenzia, al quale è invece accomunato per l’attività promozionale svolta dal concessionario.

Le normative dei Paesi comunitari, compresa l’Italia, non disciplinano questo contratto (ad eccezione della legge belga del 1961), tuttavia la giurisprudenza tutela alcuni diritti del distributore. Nell’UE, i contratti di distribuzione sono, altresì, soggetti alla normativa anti-trust comunitaria.  Per approfondimenti sulla normativa anti-trust comunitaria si rimanda al focus dedicato.

I principali aspetti che è utile considerare in un rapporto internazionale di distribuzione sono i seguenti:
• zona della distribuzione: con ciò si intende il territorio (ad esempio uno Stato o più Stati o porzioni di Stato, quali regioni o province, a tal fine si raccomanda di utilizzare esclusivamente riferimenti amministrativi e non geografici, possibile fonte di incertezze interpretative) e, eventualmente, specifici settori di clientela affidati al distributore; 
• prodotti cui si riferisce l’incarico: tutti i prodotti dell’impresa o soltanto alcune linee di prodotto;
• carattere esclusivo o non esclusivo del rapporto: in genere il distributore richiederà l’esclusiva per assicurarsi il ‘ritorno’ dei suoi investimenti; si segnala inoltre che in alcuni Paesi islamici, tra i quali Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti (per cui si veda quanto detto sopra a proposito del contratto di agenzia, dato che legislazione locale non distingue tra i due tipi di contratto), Indonesia, Libano e Pakistan, vigono norme che tutelano il distributore locale;
• divieto di concorrenza del distributore: divieto di distribuire, produrre e comunque trattare prodotti concorrenti, per la cui validità dovrà tenersi conto dei limiti della normativa anti-trust comunitaria sopracitata;
• poteri di rappresentanza: all’estero, in particolare nei Paesi anglosassoni e mediorientali, è consigliabile precisare contrattualmente che il distributore non ha poteri di rappresentanza in quanto in vari casi viene presunto;
• obbligo di promozione: molti contratti prevedono l’obbligo del distributore di acquistare prodotti, in un certo periodo (ad esempio, un anno) nonché le conseguenze del mancato raggiungimento del minimo, quali generalmente la facoltà del concedente di risolvere il contratto, di ridurre il territorio (e/o la fascia di clientela e/o le linee di prodotto), di revocare l’esclusiva. Questa obbligazione dovrebbe essere la conseguenza della trattativa precontrattuale, la contrattualizzazione di una delle variabili in base alle quali il distributore è stato scelto, magari rispetto ad altri: qualora il contratto non dia i frutti attesi, potrà essere risolto o ‘ridimensionato’, a seconda di quello che è stato pattuito. Quanto alle modalità di promozione, spesso vengono pattuite norme relative alla pubblicità, alla partecipazione a fiere nel territorio nonché alla produzione della documentazione commerciale e tecnica relativa ai prodotti nella lingua del territorio, stabilendo regole relative alla parte cui spettano tali iniziative e le relative spese. Opportuno è anche regolamentare l’uso e la tutela del marchio ed egli altri diritti di proprietà industriale dell’impresa italiana concedente, considerato che è da evitare che il distributore li registri a proprio nome nel territorio, mentre è opportuno che il distributore segnali al concedente eventuali contraffazioni della proprietà industriale del concedente sul territorio o, al contrario, eventuali diritti di terzi preesistenti che i prodotti del concedente potrebbero violare;
• acquisti del distributore: è opportuno concordare una procedura di invio degli ordini e relativa conferma e le altre condizioni di vendita, specialmente stabilendo come debba essere gestita la consegna (oneri, costi e rischi) e la garanzia sui prodotti che il concedente riconosce al distributore (posto che quest’ultimo è libero, anche se non gli conviene) di concedere più ampi diritti ai suoi clienti) e anche al fine di tutelarsi dal rischio finanziario (a tal fine si consiglia la pattuizione di eventuali garanzie del pagamento, diritto di sospendere le consegne, limiti massimi di esposizione); 
• obbligo di assistenza tecnica: qualora i prodotti lo richiedano ed il distributore sia strutturato e competente per farlo, è opportuno, almeno per motivi logistici, che gli interventi tecnici siano effettuati dal distributore in loco, in garanzia (a spese del concedente, se il difetto è oggetto della garanzia da quest’ultimo riconosciuta al distributore, o a spese del distributore, se il difetto è oggetto dei più ampi diritti che lo stesso ha concesso alla sua clientela) o fuori dalla garanzia (a spese del cliente), nei casi in cui il termine della garanzia sia decorso o il difetto non sia oggetto di garanzia. Il contratto può prevedere, a tal fine, la formazione e l’aggiornamento del personale del distributore da parte del concedente;
• informazioni del distributore sul mercato: è opportuno che il distributore sia onerato dell’obbligo di informare il concedente sulle variabili del territorio, incluse leggi e altre norme applicabili ai prodotti (attenzione ai Paesi in cui siano previsti particolari adempimenti per la commercializzazione di alcuni prodotti: conviene stabilire quale parte si occuperà delle relative pratiche e costi), attività dei concorrenti e, come sopra detto, eventuali contraffazioni del marchio o altre violazioni dei diritti di proprietà industriale del concedente; si noti che alcuni obblighi informativi potrebbero essere contrari alle norme antitrust comunitarie (per cui vedasi approfondimento di cui sopra) e che, in particolare, l’obbligo di informazione sui nominativi dei clienti del distributore potrebbe comportare, in alcuni casi e Paesi (es. Germania), il diritto del distributore a percepire un indennizzo alla fine del rapporto;
• durata del contratto determinata o indeterminata: nel primo caso il contratto non potrà essere risolto anticipatamente se non per giusta causa, nel secondo potrà essere risolto anche immotivatamente, in qualunque momento, salvo obbligo di rispetto del preavviso concordato in contratto o di un preavviso che, secondo la legge italiana, deve essere “congruo” (articolo 1569 del codice civile);
• legge applicabile e foro competente (o arbitrato): possono essere liberamente scelti dalle parti nel contratto, la scelta è strategica in quanto, in alcuni Paesi ed in determinati casi, la giurisprudenza riconosce al distributore un indennizzo alla fine del rapporto, ed anche in ottica di recupero crediti (si veda il paragrafo 5.2).

Come si vede dunque la scelta dell’intermediario e la negoziazione del relativo rapporto presentano profili di complessità, soprattutto per evitare di dover sopportare la perdita di opportunità commerciali derivante di un rapporto di distribuzione senza ritorni particolarmente interessanti oppure di denaro, vendendo ad un distributore in difficoltà finanziarie.

 

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20/09/2023 - 11:17

Aggiornato il: 20/09/2023 - 11:17

2.2.4 - Consorzi, società consortili e G.E.I.E.


2.2.4 Forme di aggregazione tra imprese: consorzi, società consortili e G.E.I.E.

Varie sono le forme giuridiche, contrattuali e societarie, che l’impresa italiana può scegliere per aggregarsi con altre imprese al fine di svolgere, tramite un’organizzazione determinate fasi delle rispettive imprese, quali ad esempio l’internazionalizzazione:

Il Consorzio
Il consorzio è contratto con cui più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese (articolo 2602 e ss. codice civile), il consorzio cioè non mira a produrre guadagni da distribuire tra i consorziati ma a mantenere e ad aumentare il reddito dell’attività dei singoli consorziati ed è aperto all’adesione successiva di altre imprese.
Il contratto di consorzio deve essere fatto per iscritto a pena di nullità e deve indicare: l'oggetto e la durata del consorzio, la sede dell'ufficio eventualmente costituito, gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati, le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in giudizio, le condizioni di ammissione di nuovi consorziati, i casi di recesso e di esclusione dei consorziati, le sanzioni per l'inadempimento degli obblighi dei consorziati. La durata del consorzio, se non prevista dal contratto, è di dieci anni.
Per quanto riguarda le decisioni, se il contratto non dispone diversamente, i consorziati deliberano a maggioranza e le decisioni prese in violazione della predetta norma o della diversa regola contrattuale possono essere impugnate innanzi all'autorità giudiziaria entro trenta giorni. Le modifiche del contratto di consorzio, che devono farsi per iscritto, sono da deliberarsi all’unanimità, se non diversamente convenuto. La responsabilità verso i consorziati di coloro che sono preposti al consorzio è regolata dalle norme sul mandato.
Le cause di scioglimento del consorzio sono: il decorso del termine di durata; il conseguimento dell'oggetto o l’impossibilità di conseguirlo; la volontà unanime dei consorziati; la deliberazione della maggioranza dei consorziati, se sussiste giusta causa; il provvedimento dell'autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge ed altre cause eventualmente previste nel contratto.
Per i consorzi con attività esterna, ossia i consorzi il cui contratto prevede l'istituzione di un ufficio destinato a svolgere attività con i terzi, gli amministratori devono, entro trenta giorni dalla stipulazione del contratto, depositare un estratto del contratto per l'iscrizione presso il registro delle imprese del luogo dove l'ufficio ha sede che indichi la denominazione e l'oggetto del consorzio e la sede dell'ufficio; il cognome e il nome dei consorziati; la durata del consorzio; le persone a cui vengono attribuite la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio ed i rispettivi poteri; il modo di formazione del fondo consortile e le norme relative alla liquidazione. Devono poi essere iscritte nel registro delle imprese le eventuali modificazioni del contratto concernenti gli elementi sopra indicati.
Il fondo consortile è costituito dai contributi dei consorziati e dai beni acquistati con tali contributi; per tutta la durata del consorzio, i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo ed i creditori particolari dei consorziati non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo. Per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dai suoi rappresentanti, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile; per le obbligazioni assunte dagli organi consortili per conto dei singoli consorziati rispondono questi ultimi solidalmente col fondo consortile (in caso di insolvenza il debito dell'insolvente si ripartisce tra tutti i consorziati in proporzione delle rispettive quote). Quanto agli obblighi contabili, si ricorda la redazione di situazione patrimoniale con osservanza delle norme per bilancio di esercizio delle S.p.A. e relativo deposito presso registro imprese.

Le società consortili
Le società consortili, ovvero società aventi come oggetto quello del consorzio di cui all’articolo 2602 codice civile) possono assumere una delle varie forme previste per le società (di capitali o di persone, escluse le società semplici), con applicazione della relativa disciplina, oltre che di quella consortile, in quanto compatibile (articolo 2615 ter codice civile). L’atto costitutivo può prevedere l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro. Consorziandosi, quindi, le imprese possono, unendo le loro forze, anche solo temporaneamente o per specifici progetti, raggiungere obiettivi che da sole non potrebbero raggiungere, tra i quali senz’altro quello dell’internazionalizzazione.

A proposito si ricorda che la l. 83/1989, prima, e poi il D.l. 83/2012 (convertito con l. 134/2012) hanno disciplinato i consorzi per l’internazionalizzazione. Ai sensi del comma 3 dell’articolo 42 del predetto decreto legge, tali consorzi “hanno per oggetto la diffusione internazionale dei prodotti e dei servizi delle piccole e medie imprese nonché il supporto alla loro presenza nei mercati esteri anche attraverso la collaborazione e il partenariato con imprese estere.” Pertanto, oltre a promuovere all’estero prodotti e servizi delle imprese consorziate, i consorzi per l’internazionalizzazione possono occuparsi dell'importazione di materie prime e di prodotti semilavorati, della formazione specialistica per l'internazionalizzazione, della qualità, della tutela e dell'innovazione dei prodotti e dei servizi commercializzati nei mercati esteri, anche attraverso marchi in contitolarità o collettivi. Possono essere considerati tali solo le piccole e medie imprese artigiane, turistiche, di servizi, agroalimentari, agricole e ittiche aventi sede in Italia costituite ai sensi degli articoli 2602 e 2612 e seguenti del codice civile o in forma di società consortile o cooperativa.

La legge prevede altresì la possibile partecipazione di enti pubblici e privati, di banche e di imprese di grandi dimensioni, purché non fruiscano dei contributi previsti dal comma 6 dell’articolo 42 del medesimo decreto legge (cioè contributi per la copertura di non più del 50 per cento delle spese da essi sostenute per l'esecuzione di progetti per l'internazionalizzazione – di durata pluriennale, con ripartizione delle spese per singole annualità -, da realizzare anche attraverso contratti di rete con piccole e medie imprese non consorziate; è previsto, che con decreto di natura non regolamentare, il ministro dello sviluppo economico, stabilisca i requisiti soggettivi, i criteri e le modalità per la concessione dei contributi in questione: si vedano il D.M. 22 novembre 2012, il D.M. 28 gennaio 2013 , il D.M. 26 aprile 2013 e il D.M. 24 aprile 2014).

Poiché l’obiettivo è quello di incentivare, anche attraverso appositi contributi, l’internazionalizzazione di piccole e medie imprese, la legge prevede che la nomina della maggioranza degli amministratori dei consorzi per l'internazionalizzazione spetti, in ogni caso, alle piccole e medie imprese consorziate, a favore delle quali i consorzi svolgono in via prevalente la loro attività.

Il decreto, al comma 7 dell’articolo 42, oltre a prevedere alcune disposizioni fiscali e contabili, richiama l’articolo 13, commi 34, 35, 36 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), che detta alcune regole in tema di pubblicità delle modifiche del contratto di consorzio, di redazione, approvazione e pubblicità del bilancio nonché di tenuta dei libri sociali (prevedendo l’obbligatorietà, oltre ai libri contabili, del libro dei consorziati, delle adunanze e delle deliberazioni dell'assemblea, delle adunanze e delle deliberazioni dell'organo amministrativo collegiale, se questo esiste; delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale, se questo esiste) e stabilendo i diritti di consorziati e creditori circa la loro consultazione.

Il G.E.I.E.
Il G.E.I.E. (Gruppo Europeo di Interesse Economico) è uno strumento di cooperazione tra soggetti che operano in Stati diversi dell’Unione Europea ed è disciplinato dal Regolamento UE 21375/1985 e dal D.lgs. 240/1991. Obiettivo principale del G.E.I.E. è quello di agevolare o sviluppare l’attività economica dei suoi membri, di migliorarne o aumentarne i risultati e, pertanto, ha una funzione meramente ausiliaria, tanto che gli è vietato realizzare utili per se stesso. Possono farvi parte le società o altri enti giuridici di diritto pubblico o privato e le persone fisiche che esercitano un’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, nonché una libera professione. Si costituisce mediante contratto scritto (a pena di nullità) da parte di almeno due soggetti che hanno l’amministrazione centrale (in caso di società) o che esercitano la loro attività in Stati membri diversi. Il contratto per produrre effetti, deve essere iscritto nel registro delle imprese.
E’ un centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici e ha pure capacità processuale ma non ha autonomia patrimoniale, tant’è che i suoi membri assumono la responsabilità solidale e illimitata per le obbligazioni assunte dal soggetto che ne ha la rappresentanza.
L’organizzazione del G.E.I.E. è rimessa all’autonomia privata ma dal Regolamento europeo pare doversi ritenere che debbano esistere almeno due organi: l’assemblea, composta dai membri del G.E.I.E. e l’organo amministrativo. Si decide a maggioranza, salvo per alcune materie (come ad esempio la modifica dell’oggetto), per le quali è richiesta l’unanimità.
Deve tenere i libri contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti codice civile e i suoi amministratori redigono lo stato patrimoniale ed il conto economico e lo sottopongono all’approvazione dei membri.
Il G.E.I.E. che svolge attività commerciale si scioglie in caso di fallimento. Ad esso si applicano inoltre alcune norme in tema di nullità simili a quelle previste per le società di capitali.

Considerati gli obiettivi di questa pubblicazione, è opportuno fare un cenno ad alcuni tipi societari aventi specificamente vocazione transnazionale:
- la Società europea (SE), disciplinata dal Regolamento (CE) n. 2157/2001 relativo allo statuto della società europea e dalla Direttiva 2001/86/CE, che completa lo statuto per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori nella società europea. Il regolamento consente a una società di costituirsi sul territorio dell'UE sotto forma di società per azioni con capitale di almeno € 120.000, secondo la denominazione “societas europaea” (SE). Requisito essenziale è che si tratti imprese di almeno due Stati membri diversi che intendono costituire una SE. La SE è una società di capitali per azioni;
- la Società cooperativa europea, disciplinata dal regolamento (CE) n. 1435/2003 e dalla Direttiva 2003/72/CE, che completa lo statuto per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori nella società cooperativa europea. Esso prevede che persone fisiche o persone giuridiche rispettivamente residenti o aventi sede in Stati membri diversi possano costituire una SCE con un capitale minimo di € 30.000. E’ anche prevista la possibilità, per le cooperative di Stati membri diversi, di fondersi per costituire una SCE. Inoltre una cooperativa nazionale con attività in uno Stato membro diverso da quello in cui ha la propria sede sociale può essere trasformata in una cooperativa europea senza passare attraverso la procedura di scioglimento;
- la Società a responsabilità limitata unipersonale oggetto della Direttiva 2009/102/CE

 

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19/07/2023 - 10:45

Aggiornato il: 19/07/2023 - 10:45

2.2.5 - Reti di imprese


2.2.5 Reti di imprese

Un altro strumento con il quale le imprese italiane possono perseguire un progetto di internazionalizzazione è il contratto di rete tramite il quale più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e, a tal fine, si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese o a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica o ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa (D.l. n. 5/2009, articolo 3 e successive modifiche).

La rete di imprese può essere solo un contratto oppure essere dotata di personalità giuridica, in entrambi i casi può essere istituito un fondo patrimoniale comune e nominato un organo comune, incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. È un contratto aperto all’adesione successiva di altre imprese. Il contratto di rete deve essere iscritto nel registro imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e, se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi presso il registro imprese competente per la sua sede e così la rete acquista soggettività giuridica (con contratto stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata o atto firmato digitalmente ai sensi del d.lgs. 82/2005 che prevede autenticazione notarile della firma digitale).

Qualora la rete di imprese abbia acquisito la soggettività giuridica, entro due mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale, l'organo comune redige una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l'ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha sede.

Quanto ai contenuti del contratto di rete, devono risultare:
•    il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale dei partecipanti nonché la denominazione e la sede della rete (qualora previsto fondo patrimoniale comune);
•    l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l'avanzamento verso tali obiettivi;
•    la definizione del programma di rete, dei diritti e obblighi di ciascun partecipante, delle modalità di realizzazione dello scopo comune e, se previsto un fondo patrimoniale comune, le relative regole di gestione, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi nonché le regole di gestione del fondo;
•    la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause e condizioni di recesso (salva comunque la disciplina legale dello scioglimento dei contratti plurilaterali con comunione di scopo);
•    se presente, nome, ditta, ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto quale organo comune, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto;
•    le regole per le decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo.
 

Quanto alla responsabilità verso terzi, l’organo comune agisce in rappresentanza della rete, quando essa acquista soggettività giuridica o, in difetto, degli imprenditori partecipanti, salvo che sia diversamente previsto nel contratto, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l'accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall'ordinamento, nonché all'utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza. Al fondo patrimoniale comune, se costituito, si applicano, per quanto compatibili, gli articoli 2614 e 2615 codice civile in materia di fondo consortile (per le obbligazioni assunte in nome della rete dai suoi rappresentanti, i terzi possono rivalersi esclusivamente sul fondo patrimoniale). Quanto agli obblighi contabili, la rete dotata di personalità giuridica deve depositare il bilancio di esercizio presso il registro imprese.

 

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19/07/2023 - 10:47

Aggiornato il: 19/07/2023 - 10:47

2.2.6 - La presenza diretta sui mercati stranieri


2.2.6 La presenza diretta sui mercati stranieri

Passando al vaglio le forme di presenza diretta dell’impresa italiana sui mercati stranieri, partiamo dalla più semplice: l’ufficio di rappresentanza.
L'ufficio di rappresentanza delle imprese straniere ha una disciplina sostanzialmente simile nei vari Paesi (normative nazionali alle quali si rinvia quanto all’iter amministrativo per la registrazione dell’ufficio di rappresentanza), in Italia la prassi interpretativa rinvia, infatti, ai modelli O.C.S.E.. L'ufficio di rappresentanza è privo di autonomia giuridica e fiscale rispetto all’impresa cui fa capo, quindi l’attività da esso posta in essere viene imputata a quest’ultima (ad esempio dichiarazioni rilasciate da chi opera per l’ufficio di rappresentanza verrebbero attribuite all’impresa cui l’ufficio fa capo).

N. B:  L'ufficio di rappresentanza deve dunque avere una funzione meramente preparatoria o ausiliaria della penetrazione dell'impresa sul mercato estero, non potendo svolgere attività produttive o commerciali in senso proprio né comunque produrre utili, non può importare beni, se non per esigenze proprie, né essere intestatario di immobili, potendo infatti unicamente svolgere attività di rappresentanza, di raccolta di informazioni, di ricerca scientifica, di marketing, attività pubblicitaria, promozionale e di negoziazione di contratti.

È quindi essenziale che si ponga massima attenzione alle attività svolte dall'ufficio di rappresentanza, onde evitare il rischio di riqualificazione di un ufficio di rappresentanza in stabile organizzazione all'estero dell'impresa italiana, con la conseguente tassazione nel Paese estero dei redditi ivi prodotti.

Qualora invece per l’impresa italiana non sia sufficiente un veicolo meramente ausiliario o promozionale, ma abbia esigenze produttive e/o commerciali, le quali potrebbero proprio conseguire ad un primo approccio al mercato straniero realizzato dall’impresa italiana tramite ufficio di rappresentanza oppure una prima fase distributiva nel mercato estero tramite agente o distributore, si renderà necessaria la costituzione di una società di diritto locale straniero, il cui capitale sociale, a seconda delle esigenze e del Paese, potrà essere interamente detenuto dalla società italiana oppure, in parte, da un socio locale.

In caso di pianificazione di un’iniziativa imprenditoriale tramite costituzione di società a capitale misto, è consigliabile stipulare con il partner straniero un contratto internazionale di joint venture per regolare l’operazione da realizzare nel suo complesso, inclusi gli obblighi di ciascun partner, le tempistiche, la suddivisione delle spese, gli assetti della società costituenda (principalmente: tipo societario, sua capitalizzazione, suddivisione tra i partner delle quote o azioni, numero e nomina amministratori e relativi poteri e quant’altro rilevi nel caso di specie). Il contratto di joint venture potrà anche opportunamente regolare i rapporti strategici della nuova società, anche con l’impresa italiana, quali, ad esempio, i contratti di fornitura di macchinari, attrezzature, componenti o semilavorati, di assistenza o consulenza, di trasferimento di tecnologia o di licenza di marchio o di brevetto, di distribuzione ecc.).

È anche importante che il contratto di joint venture appronti degli strumenti utili per l’“uscita” dell’impresa italiana dall’operazione, nel caso in cui i risultati siano inferiori a quelli pianificati o comunque sorgano problemi nei rapporti con il partner o di altro genere, tenuto conto che i cosiddetti patti parasociali, ossia gli accordi tra i soci esterni allo statuto e destinati ad avere influenza sulle dinamiche societarie (es. esclusione di un socio), sono efficaci solo tra le parti dell’accordo stesso e possono subire limitazioni ad opera del diritto societario del Paese ove ha sede la società, quindi i rimedi per il caso di loro mancato rispetto devono essere attentamente studiati. Si ricorda che, a differenza della società straniera, necessariamente regolata dalla legge dove il Paese ha sede, il contratto di joint venture può, come un qualsiasi contratto commerciale, essere sottoposto ad un’altra legislazione, dunque anche quella italiana, così come libera è la determinazione del meccanismo (giurisdizione statale o arbitrato) per la risoluzione delle controversie, scelte queste, come quelle sopra accennate, da operare alla luce delle molte variabili del caso specifico.

Senz’altro più semplice, dal punto di vista giuridico, è la costituzione all’estero di una società con capitale interamente detenuto dall’impresa italiana, il che consente di evitare di dover regolare i rapporti col socio straniero. In questo caso rileva unicamente la conoscenza del diritto, specie societario e fallimentare, del Paese straniero in questione, che, come detto, necessariamente si applica alla società straniera.

In ogni caso occorre scegliere il tipo di società più adatto anzitutto al fine di limitare la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, potendo normalmente scegliere tra una società da capitalizzare meno e con minori vincoli gestionali, corrispondente alla nostra Srl, ed una, al contrario, da capitalizzare maggiormente e con maggiori vincoli gestionali, sostanzialmente corrispondete alla Spa di diritto italiano.
Occorrerà quindi valutare se sia previsto un capitale minimo e di quale entità, se siano ammessi conferimenti in natura e, se del caso, se sia ammesso il conferimento di beni immateriali (es. diritti di proprietà industriale) ed eventualmente a quali condizioni (es. carattere innovativo della tecnologia e/o valutazione da parte di soggetti accreditati).
Quanto al numero dei soci, occorrerà valutare, anche in base al tipo societario, se la legislazione del Paese in questione ammetta che vi sia un unico socio. Anche rispetto all’organo amministrativo occorre valutare se vi possa essere un amministratore unico e, sia per i soci sia per gli amministratori, è necessario verificare che non siano previsti requisiti di nazionalità o residenza. Inoltre occorrerà conoscere le regole che, in quel Paese, governano la responsabilità degli amministratori, onde essere consapevoli degli illeciti civili, amministrativi o penali che possono essere commessi nell’esercizio dell’attività gestoria. Tra l’altro, andranno anche valutati gli adempimenti fiscali e contabili cui assolvere, tra cui l’eventuale obbligo di certificazione del bilancio.

Le predette operazioni si possono naturalmente anche realizzare tramite acquisizione totale o parziale, a seconda dei casi, delle quote di società straniere già esistenti, con il vantaggio di avvalersi di soggetti già ‘avviati’ sul mercato locale sotto vari profili, commerciale, produttivo ecc., ma anche con lo svantaggio di ‘portarsi dietro’ passività e rischi, che possono tuttavia essere limitati o esclusi con un attento contratto di acquisizione e con debite garanzie da parte del cedente.



Gruppi di società

È importante considerare che, in caso di costituzione (o acquisto) di una società estera e di suo eventuale “controllo”, potrebbe determinarsi l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento su di essa, situazione distinta dal controllo ed oggetto di specifica normativa in materia di gruppi di società a tutela dei creditori e dei soci di minoranza della società eterodiretta. Come detto, controllo e direzione e coordinamento non sono la medesima situazione: il controllo normalmente si ha quando si possiede la maggioranza dei voti per deliberare sulle decisioni più importanti di una società (quali, innanzitutto, la nomina degli amministratori), oppure quando si dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante o, ancora, quando tale influenza dominante può essere esercitata in conseguenza di un contratto (si pensi, in quest’ultimo caso, a tutti quei rapporti in cui una parte è talmente importante per un’altra – come nei casi di franchising o di imprese “mono-clienti”) di modo da poter, nella sostanza, controllare tale società. Controllo, tuttavia, non significa già “eterodirezione”, in quanto l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento consiste specificamente nella capacità di una società di dirigere, determinare e dettare le linee strategiche di un’altra, cioè, in sostanza, di influire in maniera decisiva sulle scelte amministrative di questa, pur conservando, quest’ultima, la sua autonomia giuridica. In altre parole, in presenza di un gruppo si ha una pluralità di soggetti giuridici a fronte di un disegno economico unitario. Si noti che, nell’ordinamento italiano, l’esercizio di attività e di direzione e coordinamento è presunto nei rapporti di controllo.
Tra le utilità della creazione di un gruppo, rispetto all’istituzione di un semplice stabilimento (o ramo d’azienda), vi è la limitazione della responsabilità: nel caso, ad esempio, di insolvenza del ramo d’azienda, la responsabilità si estenderebbe direttamente alla società cui appartiene, in quanto trattasi del medesimo soggetto giuridico. Diversamente, nel caso in cui lo stabilimento avesse una sua autonomia giuridica, in quanto, ad esempio, conferito in una società controllata, la sua insolvenza non si ripercuoterebbe sulla holding, salve, normalmente, le regole in materie di abuso di attività di direzione e coordinamento. Nel nostro ordinamento, ad esempio, è espressamente prevista la responsabilità della holding ai sensi dell’articolo 2497 codice civile, secondo il quale le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. Risponde inoltre in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
Normalmente gli aspetti che vengono disciplinati in caso di gruppi sono:
- responsabilità della holding, della società controllata, dei loro organi e di coloro che possano beneficiare di eventuali abusi;
- obblighi pubblicitari;
- obblighi in materia contabile;
- obblighi in materia di finanziamenti;
- obblighi di trasparenza e di motivazione delle decisioni influenzate dalla holding;
- fonti dell’attività di direzione e coordinamento e limiti all’ingerenza da parte della holding nella controllata.
A titolo esemplificativo, si consideri come in Italia si tende ad escludere che una società eterodiretta debba rinunciare completamente alla propria autonomia, non essendo tendenzialmente ammessi contratti di dominio eccessivamente forti. Diversamente, in Germania, può essere stipulato un c.d. Beherrschungsvertrag (contratto di dominio “forte”) che, tuttavia, deve essere approvato dal 75% dei soci che rappresentano il capitale sociale di entrambe le società, previa relazione da parte dell’organo amministrativo (Vorstand) e previo controllo da parte di “esperti controllori” (Vertragsprüfer).
Quanto alla fonte e alla responsabilità, sebbene sia tuttora discutibile quale diritto debba applicarsi quando holding e società dominata appartengano a due Stati diversi, occorre considerare come, se la holding fosse italiana, potrebbe sostenersi l’applicazione delle norme relative alla sua responsabilità e ciò in virtù dell’articolo 25 l. 218/1995 che, anche alla luce di una interpretazione conforme a quella comunitaria circa l’applicazione del diritto del luogo ove la società ha la sede, prevede che si applichi tale legge anche alla responsabilità per le obbligazioni dell'ente nonché alle conseguenze delle violazioni della legge o dell’atto costitutivo.
In ogni caso, occorre considerare che la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha applicato dei principi non molto diversi da quelli dell’ordinamento italiano, stabilendo, ad esempio, che nel caso in cui una società controllante detenga il cento per cento del capitale della sua controllata che si sia resa responsabile di un comportamento illecito, esiste una presunzione semplice che tale società controllante eserciti un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata (cfr. sentenza della Corte 10 settembre 2009, n. 97/08; sentenza della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione). 
 

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05/09/2023 - 14:14

Aggiornato il: 05/09/2023 - 14:14