3.6 - Vendita tramite magazzini di consegna nel Paese estero


Impresa di e-commerce italiana decide di vendere i propri prodotti nei confronti dei consumatori finali francesi, utilizzando un deposito ubicato in Francia e applicando l’Iva francese a mezzo di una-  posizione Iva aperta in Francia. 

Ai fini delle imposte sui redditi, secondo l'art. 5 del Modello OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) di convenzione contro la doppia imposizione, un magazzino di semplice consegna di beni che vengono venduti direttamente da parte dell'impresa italiana mediante il proprio ufficio vendite italiano non costituisce stabile organizzazione dell'impresa italiana nel Paese di localizzazione del magazzino.
Al riguardo occorre tuttavia tenere conto che, in virtù del piano BEPS - Base Erosion and Profit Shifting, il magazzino di consegna per non realizzare la fattispecie della stabile organizzazione deve avere un carattere preparatorio e ausiliario rispetto all'attività svolta dall'impresa italiana.
L’OCSE con il Piano BEPS ha individuato 15 Azioni finalizzate ad attribuire i redditi ai Paesi nei quali essi sono stati effettivamente prodotti.
L’Azione n. 7 – Preventing the Artificial Avoidance of Permanent Establishment Status ha individuato alcune modifiche da apportare al Modello OCSE e al suo Commentario, riguardo al concetto di stabile organizzazione.
Ad esempio, in tale ambito, il Commentatario del Modello OCSE, rivisto in base a tale Piano, in riferimento all’articolo 5 del Modello OCSE (Stabile organizzazione), nel punto 22, afferma che:
“Whether the activity carried on at such a place of business has a preparatory  or auxiliary character will have to be determined in the light of factors that include the overall business activity of the enterprise. Where, for example, an enterprise of State R maintains in State S a very large warehouse in which a significant number of employees work for the main purpose of storing and delivering goods owned by the enterprise that the enterprise sells online to customers in State S, paragraph 4 will not apply to that warehouse since the storage and delivery activities that are performed through that warehouse, which represents an important asset and requires a number of employees, constitute an essential part of the enterprise’s sale/distribution business and do not have, therefore, a preparatory and auxiliary character”.
Secondo l’art. 5 del Modello ONU di convenzione contro la doppia imposizione, invece, anche un magazzino di semplice consegna può costituire stabile organizzazione dell’impresa italiana nel Paese estero.

Mentre il Modello OCSE trova applicazione nei rapporti con Paesi sviluppati, il Modello ONU trova invece applicazione nei rapporti con Paesi in via di sviluppo.

Sul piano pratico, prima di allestire un magazzino di consegna in un Paese estero occorre verificare se lo stesso, in base alla normativa e alla prassi interna del Paese considerato e all’eventuale accordo contro la doppia imposizione esistente tra l’Italia e il Paese estero, possa o meno realizzare la fattispecie della stabile organizzazione dell’impresa italiana nel Paese estero.
Al riguardo si ricorda che le norme contenute in un accordo contro la doppia imposizione non creano la fattispecie impositiva, ma si limitano a delimitarla al fine di evitare la doppia imposizione internazionale del reddito.
In pratica, se per la normativa interna del Paese estero considerato il magazzino di consegna NON realizza l’ipotesi della stabile organizzazione, l’eventuale previsione positiva contenuta nell’accordo contro la doppia imposizione, non obbliga tale Paese a considerare realizzata la fattispecie della stabile organizzazione. 
 
Ai fini dell’Iva, nel caso in cui il magazzino di consegna sia ubicato in un altro Paese UE, è necessario aprire una posizione Iva in tale Paese al fine gestire le operazioni di ricevimento dei prodotti e di cessione degli stessi.  

Sempre sotto il profilo dell’Iva, occorre previamente verificare se, ai fini dell’Iva,  tale magazzino possa realizzare l’ipotesi della stabile organizzazione IVA dell’impresa italiana nel Paese di insediamento dello stesso.
Al riguardo si ricorda che, in base all’articolo 11 del Regolamento (UE) n. 282/2011, la  "stabile organizzazione" ai fini dell’Iva designa qualsiasi organizzazione, diversa dalla sede dell’attività economica dell’impresa, caratterizzata da un grado sufficiente di permanenza e una struttura idonea in termini di mezzi umani e tecnici atti sia a consentirle di ricevere e di utilizzare i servizi che le sono forniti per le esigenze proprie di detta organizzazione, sia a consentirle di fornire i servizi di cui assicura la prestazione.
Secondo la Presidenza del Consiglio dell’Unione europea (documento n. 7988/10 del 26 marzo 2010) tale definizione, pur essendo incentrata sulle prestazioni di servizi,  deve essere estesa ad ogni situazione governata dalla direttiva 2006/112/CE e non limitata alle prestazioni di servizi. Quindi la stessa vale anche nel caso di operazioni concernenti i beni.
Si ricorda che nel caso di presenza di un’impresa in un determinato Paese Ue mediante una stabile organizzazione Iva, tale impresa sulle cessioni interne a tale Paese deve applicare l’Iva e non può quindi utilizzare la procedura del reverse charge esterno, che alcuni Paesi Ue prevedono per i soggetti non stabiliti in tale Paese.
E' da ritenere che, in caso di utilizzo da parte dell’impresa italiana di un magazzino di consegna in altro Paese Ue:
• venga realizzata la fattispecie della stabile organizzazione Iva dell’impresa italiana in tale Paese, nel caso in cui tale magazzino di consegna viene gestito dall’impresa italiana stessa, mediante, ad esempio, personale alle proprie dipendenze;
• NON venga invece realizzata tale fattispecie nel caso in cui l’impresa italiana si avvalga di un operatore logistico locale indipendente dall’impresa italiana, ad esempio, mediante un contratto di deposito.
Sul tema sono molto utili le osservazioni contenute nel documento di lavoro del VALUE ADDED TAX COMMITTEE, n. 968 del 15 maggio 2019, paragrafo 3. 

Esempio deposito in Francia

Impresa di e-commerce italiana decide di vendere i propri prodotti nei confronti dei consumatori finali francesi, utilizzando un deposito ubicato in Francia e applicando l’Iva francese a mezzo di una-  posizione Iva aperta in Francia. 

Flusso operativo:
• l’impresa italiana trasferisce un congruo quantitativo di prodotti in Francia, presso il deposito francese, con emissione di fattura, al costo, dalla posizione Iva italiana a quella francese, per operazione non imponibile articolo 41/2/c del Dl n. 331/1993 e con presentazione del modello Intra 1-bis; in Francia viene svolta la procedura acquisti intracomunitari
• i consumatori finali francesi accedono al sito internet italiano, acquistano la merce e pagano il prezzo Iva francese 20% compresa
• viene generata la fattura di vendita interna alla Francia, assoggettata all’Iva francese del 20%; tale fattura viene emessa in 3 esemplari:
-1 per la contabilità generale italiana
-1 per il consulente francese incaricato di gestire la posizione Iva francese dell’impresa italiana
- 1 per il cliente finale francese
• il consulente francese annota la fattura nella contabilità Iva francese, presenta la dichiarazione Iva periodica e liquida l’Iva
• l’impresa italiana direttamente dall’Italia o tramite conto corrente bancario intrattenuto presso banca francese esegue il pagamento del saldo Iva.
Nel caso in cui i prodotti inviati in Francia fossero prodotti sottoposti ad accisa, occorrerebbe espletare anche la procedura accise, sia ai fini italiani che ai fini francesi.
A tale fine è necessario che il deposito logistico francese sia in possesso dell’autorizzazione a funzionare come deposito fiscale o come destinatario registrato. 
L’accisa francese concorre a formare la base imponibile della cessione effettuata in Francia. 

 

Nel caso in cui il magazzino di consegna sia invece ubicato in un Paese extra-UE, occorre distinguere tra due diverse tipologie di magazzini: il deposito doganale oppure il deposito ordinario.

Nel caso di deposito doganale, i prodotti vengono spediti dall'Italia al Paese del magazzino, dichiarandoli all’esportazione sulla base di fattura pro-forma. All'atto del loro arrivo nel Paese del deposito i prodotti vengono dichiarati per l'introduzione nel deposito doganale o in zona franca, dove restano allo "stato estero" sino all'atto della cessione degli stessi ai clienti finali.
Nel momento della cessione a consumatori del Paese del deposito, i prodotti vengono estratti dal deposito e sdoganati a nome del cliente finale, con pagamento dell'eventuale dazio e dei relativi diritti e vengono spediti al cliente finale; in tale evenienza i dazi e i diritti vengono riscossi dal consumatore finale ad opera del corriere espresso.

Nel caso di deposito ordinario, i prodotti, giunti nel Paese di destinazione, vengono sdoganati a nome dell'impresa italiana, con pagamento dell'eventuale dazio e dei relativi diritti; specie nei Paesi nei quali esiste un'imposta del tipo Iva, può rendersi necessaria l'identificazione dell’impresa italiana ai fini dell’Iva locale e lo svolgimento degli ulteriori adempimenti di carattere fiscale.

Sull’argomento si segnala la risposta interpello Agenzia Entrate 3.8.2020 n. 238, apprezzabile in ragione dello sforzo compiuto dall’Agenzia delle Entrate al fine di venire incontro alle esigenze dell’operatore interessato. Essa contiene tuttavia alcune affermazioni che lasciano perplessi, considerato che le stesse si pongono in contrasto con i principi generali che governano l’imposta e con precedenti posizione della stessa:

• NON sembra corretto richiamare quanto l’Agenzia aveva affermato in tema di contratto di call off stock (denominato «consignment stock» da parte dell’Agenzia), la cui caratteristica fondamentale consiste nel fatto che al momento della spedizioni dei beni dall’Italia nel Paese estero il cliente è già perfettamente individuato; è solo incerto il momento del prelievo; nel caso della vendita a mezzo di deposito all’estero, invece i clienti vengono man  mano individuati solo all’atto della  successiva cessione; in tale ambito si è maggiormente vicini al caso del magazzino di consegna; riguardo alla fatturazione della merce venduta con partenza dal magazzino di consegna l’Agenzia delle Entrate nella Risoluzione n. 58/E del 5 maggio 2005 aveva correttamente sostenuto la tesi dell’articolo 7-bis del Dpr n. 633/1972; tale si ritiene debba essere anche il trattamento dei beni venduti con spedizione dal deposito estero;
• Riguardo alle successive cessioni viene sostenuto che torna applicabile l’articolo 22 del Dpr n. 633/1972, con conseguente esonero dall’obbligo di emissione della fattura di cessione, salvo che la stessa venga richiesta dal cliente non oltre il momento di effettuazione dell’operazione; si è invece dell’avviso che l’articolo 22 del Dpr n. 633/1972 valga solo per le vendite nazionali e che quindi nel caso considerato debba essere emessa fattura. La stessa è peraltro essenziale al fine di compiere le dovute operazioni doganali (in partenza dal deposito estero e in arrivo nel Paese del consumatore finale).
 

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24/02/2022 - 22:02

Aggiornato il: 24/02/2022 - 22:02