Guida - ABC dell'import export


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Come avviare un'attività di import-export. Guida realizzata con il contributo degli Esperti in commercio internazionale del Centro Estero per l’Internazionalizzazione del Piemonte

Per ulteriori informazioni sulla guida contattare: ALPS ENTERPRISE EUROPE NETWORK

Imprese della provincia di Torino: Camera di commercio di Torino, Tel 011 571 6342/1, email alps-europa@to.camcom.it
Imprese delle altre province piemontesi: Sportello Europa Unioncamere Piemonte, Tel 011 5716191, email alps-europa@pie.camcom.it

La presente guida è stata realizzata nel 2017  ed aggiornata nel 2021 e nel 2023, con il contributo degli Esperti in commercio internazionale del Centro Estero per l’Internazionalizzazione del Piemonte – Ceipiemonte per le seguenti parti della guida:
Marina Motta, tematiche legali
Stefano Garelli, tematiche fiscali
Massimiliano Mercurio, tematiche doganali

Per ulteriori approfondimenti sul SUPPORTO CONSULENZIALE offerto da Ceipiemonte: http://www.centroestero.org/it/sviluppo-business-all-estero/i-nostri-servizi/servizi-consulenza.html

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02/08/2023 - 20:41

Aggiornato il: 02/08/2023 - 20:41

1 - Avviare un’attività di import-export


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20/07/2018 - 15:25

Aggiornato il: 20/07/2018 - 15:25

1.1 - Formalità amministrative


Per avviare un’attività di import-export occorre espletare le tradizionali formalità relative alla creazione di un’impresa.
Il Registro delle imprese rappresenta e costituisce nell’ambito del nostro ordinamento giuridico “l’anagrafe generale delle imprese” nella quale sono iscritti tutti gli imprenditori, pubblici e privati, singoli o collettivi, commerciali o artigiani, piccoli o grandi, indipendentemente dall’attività esercitata, tutti gli altri soggetti previsti dalla legge, oltre che tutti gli atti e i fatti che agli stessi si riferiscono.
Il Registro delle imprese è un “registro pubblico” quindi aperto e accessibile da qualunque interessato e non solo dai soggetti iscritti nello stesso. 

In base al D.lgs. 59/2010, dal 1° aprile 2010 è diventato obbligatorio l’utilizzo della Comunicazione Unica per tutte le tipologie di impresa. La Comunicazione Unica è una procedura che consente di eseguire contemporaneamente e attraverso un’unica modalità di presentazione, tutti i principali adempimenti amministrativi necessari per l’avvio dell’impresa ai fini fiscali, previdenziali, assicurativi e ai fini della pubblicità legale.
Deve essere presentata telematicamente o su supporto informatico alla Camera di commercio competente territorialmente (ufficio del Registro Imprese) che provvede immediatamente a darne comunicazione alle amministrazioni interessate: albo imprese artigiane, INPS, INAIL, Agenzia delle Entrate.
Una volta ricevuta la documentazione, ogni ente si occupa della parte di propria competenza.
L’ufficio del Registro imprese, contestualmente alla consegna della Comunicazione Unica, rilascia una ricevuta (che ai sensi dell’art. 9 comma 3 costituisce “titolo per l’immediato avvio dell’attività imprenditoriale, ove sussistano i presupposti di legge”). Le amministrazioni competenti comunicano immediatamente all’interessato e al Registro Imprese, per via telematica, il codice fiscale e la partita Iva; entro i successivi 7 giorni comunicano anche gli ulteriori dati relativi alle posizioni registrate.

Tutti i file della Comunicazione Unica sono adottati in formato elettronico e devono essere firmati digitalmente dal o dai soggetti legittimati.
La presentazione di una Comunicazione Unica presuppone pertanto che l’impresa abbia un proprio indirizzo di posta elettronica certificata. Presso tale indirizzo l’impresa riceverà tutti gli atti, i documenti e le comunicazioni provenienti dalle amministrazioni interessate e relative alle pratiche Comunicazione Unica presentate.
La Comunicazione Unica è diventata l’unica modalità di trasmissione delle informazioni con il vantaggio di:

• evitare sia ad imprese individuali che a società di doversi rivolgere a una pluralità di amministrazioni o di doversi recare fisicamente presso di loro
• consentire, attraverso una sola procedura, l’adempimento di formalità spesso molto diverse fra loro.

La stessa procedura si applica anche alle successive domande, denunce e dichiarazioni di modifica e di cessazione per le quali le Camere di commercio assicurano gratuitamente, previa intesa con le associazioni imprenditoriali, il necessario supporto tecnico ai soggetti privati interessati.

Per ulteriori informazioni e per scaricare gratuitamente tutti i programmi informatici necessari è possibile consultare i siti del Registro Imprese e delle Camere di commercio territorialmente competenti: 
Registro Imprese:  http://www.registroimprese.it

In generale, per le attività di import-export, bisogna considerare in che forma queste verranno esercitate, distinguendo tra:
• attività di produzione e relativo commercio, generalmente libere (sussistono però adempimenti specifici per alcuni tipi di prodotti)
• attività di commercio all’ingrosso
• attività di commercio al dettaglio, per le quali sarà necessario rivolgersi, in via preventiva, al Comune ove si intende aprire il negozio.

Qualora si possieda già un’impresa e si voglia raccogliere informazioni in merito alla propria posizione, è sufficiente rivolgersi al Registro Imprese.
Tutte le informazioni necessarie per l’apertura di una società nella regione Piemonte sono disponibili presso gli uffici Registro Imprese delle singole Camere di commercio.

Tra le attività che sono spesso oggetto di import-export vi è il settore del commercio alimentare. Oltre a determinati requisiti di sicurezza prodotto e aspetti doganali illustrati nei successivi capitoli, occorre tenere presente che chi intenda svolgere un’attività commerciale nel settore alimentare deve verificare di essere in possesso di requisiti morali e/o professionali previsti dalla normativa vigente.

Apertura di un’attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti alimentari

Dal 14 settembre 2012 aboliti i requisiti professionali per il commercio all'ingrosso di alimenti.

Con l'entrata in vigore dell'articolo 9 del D.Lgs.147/2012 l'esercizio dell'attività di commercio all'ingrosso del settore alimentare è subordinato esclusivamente al possesso dei requisiti di onorabilità di cui all'articolo 71, comma 1, del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59.

Dal 14 febbraio 2013 inoltre è necessario allegare alle pratiche di denuncia di attività di commercio all'ingrosso il modello di autocertificazione antimafia compilato dai seguenti soggetti:

Titolare di impresa individuale 
Legale rappresentante e agli eventuali altri componenti l’organo di amministrazione delle società di capitale
Socio di maggioranza in caso di società di capitali con un numero di soci pari o inferiore a quattro, ovvero al socio in caso di società con socio unico
I soggetti membri del collegio sindacale, revisori, sindaco
Tutti i soci di società in nome collettivo
Soci accomandatari di società in accomandita semplice
Soggetti che rappresentano stabilmente le società estere con sedi secondarie in Italia.

Con l’art. 8 comma 2 lettera c decreto legislativo 147/2012 è stato eliminato il divieto di esercizio congiunto del commercio all’ingrosso e del commercio al dettaglio.  Per le attività di commercio all'ingrosso, dal 1 maggio 2018 sono entrati in vigore, con accordo del 22 febbraio 2018, i nuovi moduli SCIA (Segnalazione Certificata di inizio attività) unificati e standardizzati.

La nuova modulistica può essere presentata: 

  • alla Camera di Commercio (nel caso di Scia semplice di inizio attività) 
  • al Suap (nel caso di Scia semplice di inizio attività), alternativamente rispetto alla presentazione diretta alla Camera di Commercio
  • esclusivamente al SUAP (nel caso di Scia unica o Condizionata, laddove sia necessario presentare contestualmente segnalazioni, comunicazioni o richieste di autorizzazioni ad altri enti.

Per approfondire:
https://www.to.camcom.it/commercio-allingrosso-0
http://www.italiasemplice.gov.it/modulistica/archivio-modulistica-unificata/

Per l’attività di commercio al dettaglio di prodotti alimentari

L’esercizio dell’attività è subordinato al possesso dei requisiti morali di cui all’articolo 71, commi 1, 3, 4 del D. lgs 26 marzo 2010, n. 59 e   professionali previsti dall’articolo 71, comma 6, dello stesso Decreto.
Per maggiori informazioni sui requisiti morali e professionali occorrerà pertanto rivolgersi al SUAP (Sportello Unico Attività Produttive) del Comune competente per territorio.
I soggetti che non sono in possesso dei requisiti indicati dal D.lgs. 59/2010 dovranno seguire corsi di formazione professionale appositamente istituiti presso uno degli Enti convenzionati con la Regione Piemonte il cui elenco è disponibile alla pagina internet: http://www.regione.piemonte.it/commercio/compartAliment.htm
Al
termine del corso, il partecipante dovrà sostenere un esame di idoneità presso la Camera di commercio che lo abiliterà sia all’esercizio dell’attività di somministrazione di alimenti e bevande, sia all’esercizio del commercio di prodotti alimentari.
L’impresa può avviare legittimamente l’esercizio dell’attività presentando, al SUAP competente, sia la SCIA amministrativa sia la SCIA sanitaria con le quali rispettivamente dichiara di iniziare l’attività presso la sede dell’impresa o l’unità locale indicata, in quanto in possesso di tutti i requisiti prescritti dalla legge per l’esercizio della stessa, e di essere in regola anche dal punto di vista sanitario rispetto a quanto richiesto al riguardo ad ogni operatore del settore alimentare (Regolamento (CE) n. 852/2004)  Questo consente all’impresa di avviare legittimamente l’attività a decorrere dallo stesso giorno della presentazione di entrambe le SCIA al SUAP.

Ai sensi del Regolamento (CE) n. 852/2004 gli operatori del settore alimentare (OSA) hanno l’obbligo di notificare, ai fini della registrazione, ogni stabilimento alimentare posto sotto il proprio controllo, che esegua una qualsiasi delle fasi della produzione, trasformazione e distribuzione di alimenti (compresa la vendita/somministrazione), per consentire all’autorità competente di conoscere la  localizzazione e la tipologia di attività.

SCIA sanitaria:
La notifica di inizio attività, ai fini della registrazione, ai sensi dell’articolo 6 del  Regolamento  (CE)  852/2004 ricade nell’istituto giuridico della segnalazione certificata di inizio attività (SCIA) di cui all’articolo 19 della Legge 7 agosto 1990, n.241.
Modalità di trasmissione della SCIA sanitaria:
Gli operatori del settore alimentare trasmettono la SCIA sanitaria al SUAP del Comune competente per territorio che, valutata la completezza formale della segnalazione e dei relativi allegati, provvede a trasmetterla per la registrazione: 
1.all’ASL nella quale si trova la sede operativa dello stabilimento per le attività svolte in sede fissa;
2.all’ASL dove ha sede legale l’impresa (sede della società o residenza del titolare della ditta individuale) per le attività prive di stabilimento.

L’amministrazione competente ha 60 giorni di tempo dal ricevimento della SCIA per accertare i requisiti e i presupposti che legittimano l’esercizio dell’attività oggetto della stessa ed in caso di accertata carenza degli stessi adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività, salvo che, ove ciò sia possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente l’attività oggetto della SCIA.
Trascorso il termine di 60 giorni, previsto per l’accertamento dei presupposti e requisiti di legge, la pubblica amministrazione può adottare motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi prodotti – salvo l’esercizio di autotutela – solo in presenza di pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o la difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente.

Le vendite a distanza: in merito si rimanda alla guida dedicata:   https://www.to.camcom.it/guida-imprese-ed-e-commerce-marketing-aspetti-legali-e-fiscali

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05/11/2018 - 11:00

Aggiornato il: 05/11/2018 - 11:00

2 - La scelta del partner commerciale


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09/08/2017 - 09:09

Aggiornato il: 09/08/2017 - 09:09

2.1 - Come orientarsi sui mercati esteri: la valutazione del rischio Paese


2.1 Come orientarsi sui mercati esteri: la valutazione del rischio Paese
Quando un imprenditore decide di rivolgersi ai mercati esteri per sviluppare il proprio business deve essere consapevole della necessità di acquisire il maggior numero di informazioni possibile per prevenire eventuali rischi connessi al mercato di interesse ed al potenziale partner con cui si intende operare. Di seguito vengono schematizzate alcune tipologie di informazioni da assumere, mentre si rimanda al capitolo 5 per approfondire il tema del recupero del credito.

Quali informazioni assumere sul sistema Paese: le domande fondamentali

• Possediamo sufficienti informazioni sul sistema economico del Paese in cui intendiamo operare e, se no, quali sono le principali fonti di informazione sui mercati esteri?
• Siamo a conoscenza del livello di sicurezza di quel sistema Paese (ad esempio, l’efficienza del suo sistema giudiziario o del suo sistema bancario)?
• Siamo in grado di verificare il livello di affidabilità del nostro potenziale partner straniero?
• Sappiamo quali sono i soggetti a cui rivolgerci nel Paese estero per ricevere un’assistenza adeguata ed il tipo di supporto che ci può essere offerto?


L’andamento dell’import-export in Piemonte

 

In breve, si evidenzia che sia per le esportazioni che per le importazioni Francia e Germania rappresentano i partner comunitari con cui il Piemonte ha tradizionalmente rapporti commerciali maggiormente consolidati.
L’analisi per settore delle esportazioni piemontesi si caratterizza per una significativa concentrazione su un numero limitato di comparti: mezzi di trasporto, che rappresentano tradizionalmente la principale merce scambiata dal Piemonte sui mercati esteri, metalmeccanica, industria alimentare e filiera tessile.

 

Informazioni sui sistemi economici dei Paesi stranieri
Prima di iniziare la ricerca di un potenziale partner con cui avviare la propria attività, sia essa commerciale o produttiva, è essenziale identificare il mercato verso il quale orientarsi in funzione delle opportunità che questo può offrire al proprio business.
Per fare ciò esistono diverse fonti utili cui ricorrere per raccogliere le informazioni necessarie a definire la propria strategia commerciale.
A titolo esemplificativo, riportiamo i riferimenti di alcuni soggetti istituzionali ove è possibile trovare la documentazione relativa al quadro macroeconomico dei Paesi di interesse, nonché eventuali studi di settore per approfondire la conoscenza delle opportunità di business che quel dato Paese può offrire alla propria impresa.

• Worldpass:
http://www.mercatiaconfronto.it/

• Associazione delle Camere di commercio italiane all’estero:
http://www.assocamerestero.it

ICE (Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese):
https://www.ice.it/it/mercati             


Informazioni sulla rischiosità dei mercati esteri
Per quanto concerne il rischio Paese (rischio che deriva non dal comportamento del singolo partner commerciale straniero, ma da eventi politici, sociali, economici e finanziari del Paese in cui si va ad operare), è indubbio che la ricerca delle informazioni da acquisire può presentare maggiori difficoltà.
Nel campo del rischio Paese, in misura decisamente maggiore rispetto al campo del rischio commerciale, è bene non affidarsi a sistemi informativi poco sicuri, ma ricorrere a fonti ufficiali e istituzionali. Tra queste si suggerisce di consultare il Gruppo Sace, gruppo assicurativo-finanziario attivo nell’export credit, nell’assicurazione del credito, nella protezione degli investimenti, nelle garanzie finanziarie, nelle cauzioni e nel factoring.
Il Gruppo assiste i suoi 25.000 clienti in oltre 198 paesi, garantendo flussi di cassa più stabili e trasformando i rischi di insolvenza in opportunità di sviluppo.
La capogruppo SACE, società per azioni interamente controllata dalla Cassa Depositi e Prestiti, offre un’ampia gamma di prodotti a sostegno di export e attività di internazionalizzazione delle imprese ed è presente nelle regioni più industrializzate del Paese con uffici a Milano, Monza, Torino, Verona, Venezia, Brescia, Bologna, Firenze, Lucca, Ancona, Roma, Napoli, Bari e Palermo. SACE presidia inoltre i mercati esteri a elevato potenziale attraverso gli uffici di San Paolo, Mosca, Istanbul, Città del Messico, Johannesburg, Nairobi, Dubai, Mumbai e Hong Kong.
In particolare SACE BT è  la società specializzata nell’assicurazione dei crediti commerciali a breve termine, nelle cauzioni e nella protezione dei rischi della costruzione. Offre i suoi prodotti attraverso i propri uffici e una rete di agenti dislocati su tutto il territorio nazionale.
SACE Fct è la società di factoring costituita da SACE nel 2009 per rispondere alle esigenze di sostegno alla liquidità e rafforzamento della gestione dei flussi di cassa delle imprese italiane.
SACE SRV è la società specializzata in servizi di patrimonio informativo e recupero crediti.
Maggiori informazioni sul sito: http://www.sace.it


Informazioni sui sistemi giudiziari dei Paesi esteri
Una volta esaurita la fase di reperimento delle informazioni riguardanti il rischio commerciale e politico rimane all’imprenditore, tuttavia, un’ultima ma fondamentale valutazione da compiere ossia quella relativa al sistema giuridico vigente nel Paese in cui si vuole operare. Non bisogna infatti dimenticare che i singoli Paesi hanno sistemi giuridici molto diversi, la cui celerità di funzionamento, efficacia e costo prescindono spesso dalla situazione politica o da quella economica. Molto spesso Paesi con un’economia forte e situazioni politiche stabili presentano sistemi giuridici che non consentono un rapido e, tantomeno, economico ricorso alla giustizia.
Acquisite tutte queste informazioni, l’imprenditore deve compiere l’ulteriore sforzo di collocarle in un quadro unitario e collegarle tra loro per operare sul mercato straniero il più possibile in sicurezza.
Naturalmente l’acquisizione delle informazioni e la valutazione dei sistemi giuridici interni dei singoli Paesi comporta conoscenze giuridiche estremamente tecniche di cui l’imprenditore è spesso sprovvisto e per l’ottenimento delle quali è consigliabile rivolgersi a consulenti specializzati.

Informazioni sull’affidabilità del potenziale partner straniero
Per quanto concerne il rischio che può derivare dalla scarsa affidabilità finanziaria del partner commerciale straniero prescelto, prima di intraprendere qualsiasi attività e/o trattativa commerciale è necessario raccogliere il maggior numero di informazioni possibili sulle condizioni di liquidità del partner, sui beni di cui risulta essere proprietario, sulle sue abitudini in fatto di pagamenti e su eventuali cause in cui è coinvolto. Per il reperimento di tali informazioni sono disponibili varie tipologie di fonti, disponibili on line su siti specializzati di società che offrono tale servizio a pagamento (ad esempio la società Dun & Bradstreet).
 

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04/11/2019 - 13:52

Aggiornato il: 04/11/2019 - 13:52

2.2 - Le diverse forme di cooperazione commerciale con partner stranieri


2.2 Le diverse forme di cooperazione commerciale con partner stranieri

La collaborazione commerciale e produttiva con un partner straniero può strutturarsi con modalità molto diverse, che dipendono dalle dimensioni delle imprese, dal settore merceologico, dal Paese straniero e naturalmente alle opportunità e alle scelte. Le possibili soluzioni sono spesso tra loro connesse e suscettibili di evoluzione nel tempo.

In concreto accade spesso che le imprese italiane inizino a vendere i loro prodotti ad alcuni clienti stranieri con cui sono entrate in rapporti in maniera sostanzialmente casuale, magari tramite un procacciatore d’affari, per poi acquisire un certo interesse per determinati mercati stranieri e quindi nominare uno o più agenti commerciali che promuovano stabilmente affari in quei Paesi. A volte invece può accadere che l’impresa inizi nominando un distributore all’estero, per poi decidere di voler essere presente direttamente in quel Paese con una propria società commerciale o addirittura produttiva. Può infatti succedere che un cliente straniero proponga all’impresa italiana di realizzare all’estero una joint venture produttiva o distributiva.

Il contratto di vendita, di cruciale importanza per la sua grande diffusione, è oggetto dei successivi capitoli 4 e 5. Dato il grande impatto che, negli ultimi anni, eventi imprevisti quali la pandemia di COVID-19 e la guerra in Ucraina hanno avuto sui contratti, specie internazionali, si è ritenuto d’interesse dedicare un approfondimento alle norme che regolano queste situazioni e alle clausole che possono risolvere i problemi connessi. Per questo approfondimento si rimanda al capitolo 4 della presente guida.

Più oltre in questo capitolo si esporranno gli aspetti essenziali dei contratti di agenzia, distribuzione e procacciamento d’affari oltre a qualche cenno su alcune altre forme di cooperazione commerciale e produttiva che prevedono una maggiore integrazione tra imprese.

I principali legami contrattuali tra imprese, che realizzano forme di decentramento produttivo

Il concetto di lavorazione per conto, con cui si intende in generale la committenza di fasi di lavorazione del prodotto, normalmente per mezzo di tecnologia propria dell’impresa incaricata, si differenzia dal concetto di subfornitura, che indica i rapporti con i quali il committente affida a un’altra impresa lavorazioni su semilavorati o su materie prime da esso fornite oppure la produzione, in base alla tecnologia del committente, di prodotti o servizi destinati ad essere incorporati o utilizzati nell’ambito dell’attività del committente (in Italia oggetto della legge 192/1998). Con OEM (Original Equipment Manufacturer) si intende invece la fabbricazione di prodotti standard con il marchio del committente.

Si parla di contratti di trasferimento di tecnologia per indicare rapporti di cooperazione anche complessi, nei quali, in vario modo, si trasferiscono al partner straniero conoscenze che rendono possibili nuove attività o nuove metodologie di lavoro (ad esempio tramite licenze di know how, di brevetti, vendita di macchinari o di servizi di consulenza e di assistenza).

Nell’arricchirsi della complessità dei rapporti tra imprese, si utilizza il generico termine di joint venture contrattuale per indicare contratti di collaborazione senza contenuti predeterminati. Si definisce joint venture societaria quel progetto di cooperazione che prevede la costituzione, all’estero, di una società tra il/i partner italiano e quello/i straniero/i per la produzione o la vendita di beni o per la prestazione di servizi o per la realizzazione di altre attività. La società così formata potrà essere legata da contratti di vario tipo con le società partner (ad esempio, acquisto macchinari, vendita semilavorati, licenze marchio, di brevetto, di know-how, contratti di distribuzione).
Nell’intraprendere iniziative produttive o commerciali all’estero si consiglia comunque, salvo brevi fasi esplorative, la costituzione di una società di diritto locale di forma corrispondente alla nostra società a responsabilità limitata, che consente, con costi contenuti, di evitare rischi di imputazione diretta, sotto profili legali e fiscali, delle attività svolte in loco dall’impresa italiana.

In generale, si consiglia comunque all’impresa italiana di formalizzare gli accordi esistenti tra le parti, non solo al fine di dare prova della loro esistenza e di regolamentare adeguatamente i relativi contenuti, ma anche al fine di evitare pericolose riqualificazioni dei rapporti da parte del giudice in caso di eventuali contenziosi. Infatti il Giudice, nella sua attività di ricostruzione delle fattispecie, potrebbe accertare l’esistenza di un rapporto diverso da quello voluto dalle parti.

Esempio pratico per illustrare la problematica

Nel nostro ordinamento possono essere costituite società di persone anche per fatti concludenti ossia in assenza di un atto costitutivo per iscritto: è il fenomeno delle cosiddette società di fatto. Quindi, se tra due o più soggetti (addirittura società di capitali, secondo l’orientamento più recente della giurisprudenza), si venissero a creare dei legami commerciali piuttosto stretti nei quali ci sia addirittura una compartecipazione ai guadagni o, magari, al rischio di impresa, una condivisione di strumenti o altri elementi tali da connotare una particolare “integrazione” tra le parti, vi è il rischio di una riqualificazione del rapporto in società di fatto, con la conseguenza che dei debiti di tale società di fatto risponderebbero illimitatamente tutti coloro che, secondo il giudice, siano da considerarsi soci. Pertanto la corretta formalizzazione dei rapporti, oltre all’impiego di un adeguato linguaggio e di un adeguato assetto organizzativo, possono dare certezza ai rapporti giuridici ed evitare di ritrovarsi in scenari imprevisti e rischiosi.

 

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05/09/2023 - 11:58

Aggiornato il: 05/09/2023 - 11:58

2.2.1 - L’agente di commercio


2.2.1 L’agente di commercio

L’agenzia è il contratto in base al quale un soggetto indipendente (l’agente) viene incaricato stabilmente da un altro soggetto (il preponente), di promuovere la conclusione di contratti in una zona determinata.

Si tratta quindi di un rapporto tra l’impresa italiana e un intermediario, che non ne acquista i prodotti, ma si limita a promuoverne le vendite, i servizi, o altri affari in cambio di un corrispettivo generalmente rappresentato da una percentuale sugli affari conclusi.

Tale contratto è oggetto, nell’Unione europea, della Direttiva 86/653/CEE, recepita, negli anni successivi, dai Paesi comunitari, che possiedono oggi leggi nazionali in materia di agenzia. Tali leggi differiscono, almeno in parte, tra loro, sia per le alternative consentite dalla Direttiva 86/653/CEE, sia per gli aspetti da essa non regolati (riportiamo qui di seguito alcuni esempi tratti dalle legislazioni di alcuni Paesi comunitari con i quali vi è un importante interscambio con l’Italia). Anche al di fuori dell’UE, varie legislazioni disciplinano il rapporto di agenzia e, anche in questo caso, riportiamo alcuni esempi d’interesse per le imprese italiane.

I principali aspetti che è utile considerare in un rapporto internazionale di agenzia commerciale sono i seguenti:
• zona dell’incarico: con cui si intende il territorio (ad esempio uno o più Stati o porzioni di Stato, quali regioni o province: a tal fine si consiglia di utilizzare esclusivamente riferimenti amministrativi e non geografici, possibile fonte di incertezze interpretative) e, eventualmente, specifici settori di clientela affidati all’agente, nonché i
• prodotti cui si riferisce l’incarico: tutti i prodotti dell’impresa o soltanto alcune linee di prodotto
carattere esclusivo o non esclusivo dell’incarico: si ricorda che la legge italiana (articolo 1743 del codice civile) stabilisce che, in assenza di diverse precisazioni, l’incarico si intenda esclusivo, quindi, qualora il contratto sia sottoposto alla legislazione italiana e non si voglia attribuire all’agente l’esclusiva, il contratto deve pronunciarsi sul punto, il che sarà opportuno anche se il contratto è sottoposto a legislazioni straniere, nel dubbio in merito a ciò che esse prevedono, tenuto però conto che alcune legislazioni, ad esempio in alcuni Paesi del Medio Oriente, potrebbero non consentire deroghe contrattuali all’esclusiva in favore dell’agente locale
• divieto di concorrenza dell’agente: anche il divieto di promuovere, nella stessa zona e per gli stessi prodotti, affari di imprese concorrenti è previsto dalla legge italiana, salvo deroghe contrattuali che devono quindi essere espresse (articolo 1743 del codice civile); qualora il contratto sia sottoposto ad una legislazione straniera (che non si conosce) e si desideri vincolare l’agente a non svolgere attività concorrenziale, è bene regolare prevedere espressamente questo aspetto, in quanto potrebbe mancare una norma come quella del codice civile italiano, sebbene talvolta all’estero la giurisprudenza faccia rientrare questo dovere nel generale obbligo di buona fede dell’agente
• obbligo di promozione: molti contratti prevedono l’obbligo dell’agente di promuovere affari, in un certo periodo (ad esempio, un anno) per un certo fatturato minimo nonché le conseguenze del mancato raggiungimento del minimo, quali generalmente la facoltà del preponente di risolvere il contratto, di ridurre la zona (territorio, clientela e/o linee di prodotto), di revocare l’esclusiva. Questa obbligazione dovrebbe essere la conseguenza della trattativa precontrattuale, la contrattualizzazione di una delle variabili in base alle quali l’agente è stato scelto, magari rispetto ad altri: qualora il contratto non dia i frutti attesi, potrà essere risolto o ‘ridimensionato’, a seconda di quello che è stato pattuito. Quanto alle modalità di svolgimento dell’incarico promozionale, la legge italiana stabilisce che l’agente debba attenersi alle istruzioni del preponente (da impartire sempre ricordando che l’agente è un soggetto indipendente), tipicamente relative alle condizioni di vendita che deve presentare alla clientela. Un ulteriore aspetto che potrebbe essere utile disciplinare è la sorte dei campionari e della documentazione contrattuale alla fine del contratto
• poteri di rappresentanza, secondo la legge italiana (articolo 1745 del codice civile), in assenza di diverse precisazioni, l’agente si intende privo di poteri di rappresentanza (essendo quindi lasciato al preponente il diritto di concludere, o eventualmente di non concludere, l’affare): in caso di applicazione di legge straniera al contratto e comunque, a fini di chiarezza, è consigliabile che questo punto venga chiarito contrattualmente
• doveri di informazione dell’agente sull’attività promozionale, sulla solvibilità dei clienti e sul mercato, incluse leggi e altre norme applicabili ai prodotti, sulle attività dei concorrenti e sulle eventuali contraffazioni del marchio e di eventuali brevetti o altre violazioni, attuali o potenziali, dei diritti di proprietà industriale del preponente; l’obbligo di informativa dell’agente, previsto inderogabilmente dalla legge italiana, così come il generale obbligo di tutelare gli interessi del preponente, agendo con lealtà e buona fede, è utile venga declinato nel contratto, specialmente se sottoposto a legislazioni straniere
• provvigioni: in genere vengono calcolate in forma percentuale sugli affari conclusi dal preponente con i clienti procurati dall’agente. È consigliabile, per il preponente, prevedere espressamente che la provvigione sia condizionata al buon fine dell’affare, per evitare di doverla corrispondere all’agente anche nel caso in cui il cliente non paghi, come prevede, in assenza di deroghe contrattuali, la legge italiana, che stabilisce, come momento di maturazione del diritto alla provvigione, quello di conclusione del contratto con il cliente (articolo 1748 codice civile)
• rimborsi spese: nonostante l’agente commerciale sia un soggetto indipendente, accade a volte che egli chieda il rimborso di spese sostenute per l’esercizio dell’attività promozionale (si consideri comunque che la legge italiana non prevede che l’agente abbia un tale diritto, che quindi si configurerà solo  salvo che le parti si accordino diversamente)
• durata del contratto: può essere determinata o indeterminata. Nel primo caso il contratto non può essere risolto anticipatamente, se non per giusta causa, nel secondo può essere risolto anche immotivatamente, in qualunque momento, salvo l’obbligo di rispetto del preavviso minimo stabilito in modo non uniforme dalle diverse leggi nazionali
• indennità di fine rapporto: la sua corresponsione, se ricorrono determinate condizioni, è un obbligo del preponente previsto inderogabilmente dalle leggi dei Paesi dell’Unione europea (in recepimento della Direttiva 86/653/CEE).
Secondo la legge italiana essa può ammontare al massimo ad un’annualità di provvigioni sulla media degli ultimi cinque anni o minor periodo di durata del rapporto (articolo 1751 del codice civile), ma altre leggi nazionali dispongono diversamente. Ad esempio in Francia l’indennità di fine rapporto, data la previsione legislativa priva di un tetto (L. 134-12 del Code du Commerce) e la relativa applicazione giurisprudenziale, giunge in genere a due annualità.
Al fine di non incorrere in oneri imprevisti è bene accertarsi della legge applicabile al contratto e del giudice competente per risolvere le eventuali controversie. Si consideri infine che in vari Paesi extra-UE, non vige alcun obbligo di corrispondere un’indennità di fine rapporto all’agente, quindi, nei rapporti con agenti di quei Paesi, si potrà opportunamente evitare l’applicazione della legge italiana
• divieti di concorrenza post-contrattuale e assunzione di garanzie per il buon fine di specifici affari: sono soggetti a vincoli specifici, quanto all’UE si ricordi che la Direttiva 86/653/CEE (articolo 20), cui le legislazioni dei Paesi membri si sono uniformate, stabilisce che il patto di non concorrenza post contrattuale sia valido solo se a) sia stipulato per iscritto; e b) riguardi il settore geografico o il gruppo di persone e il settore geografico affidati all'agente, nonché i prodotti oggetto del contratto. La Direttiva stabilisce inoltre che detto patto sia valido solo per un periodo massimo di due anni dopo l'estinzione del contratto. In aggiunta la legge italiana prevede l’obbligo di remunerare tale obbligo alla cessazione del rapporto (articolo 1751 bis codice civile)
• legge applicabile e foro competente (o arbitrato): possono essere liberamente scelti dalle parti nel contratto; la scelta è strategica perché, come detto, le leggi dei vari Paesi, anche comunitari, differiscono tra loro. Inoltre, per quanto attiene ai contratti con agenti extra-europei occorre prendere in considerazione la possibilità di svincolare le variabili della legge applicabile e del foro competente dal nostro ordinamento nazionale.

N.B. :
Si ricorda comunque che la formulazione delle clausole contrattuali non può prescindere dalla conoscenza della legge applicabile al contratto e, se diversa, anche della legge del paese dell’agente, per valutarne l’eventuale interferenza col contratto.

Una panoramica delle singole normative nazionali in materia di agenzia commerciale di alcuni paesi Ue ed Extra-Ue è contenuta nella presente scheda  
 

Servizio Ricerca agenti in paesi Ue

Contatti utili per approfondimenti sulla normativa del singolo Stato  e per la ricerca di agenti sono le associazioni di categoria, presenti in quasi tutti i Paesi UE.
Di particolare interesse è anche il sito dell’Associazione IUCAB – International United Commercial Agents and Brokers – Associazione che raggruppa alcune delle principali associazionali nazionali  nei paesi Ue e non solo: https://iucab.com/  Dal sito di Iucab, selezionando Members, è possibile accedere ai contatti delle associazioni nazionali di agenti che aderiscono alla rete IUCAB.
Ad esempio per Francia e Germania il contatto nazionale IUCAB è rispettivamente:

Francia, Federation Nationale des agents commerciaux - FNAC: http://www.comagent.com
Germania, National Federation of German Commercial Agencies and Distribution: http://www.cdh.de  

Tra i membri per l’Italia di IUCAB c’è anche APARC USARCI, Associazione Piemontese degli agenti e rappresentanti di commercio.
Le imprese interessate a verificare i servizi di ricerca agenti di APARC USARCI possono inviare un’email all’indirizzo info@aparc.it

  • Ricerca partner commerciali tramite il canale delle Camere di commercio italiane all’estero

    Si tratta di strutture private, che hanno un riconoscimento da parte del Ministero degli Affari esteri, e che offrono tali servizi in regime di mercato. Il costo varia in base al grado di assistenza personalizzata (dalla lista all’incontro b2b). Sono presenti in paesi Ue ed extra Ue, i contatti sono disponibili sul sito dedicato: www.assocamerestero.it
     
  • Rete Enterprise Europe Network

    Nell’ambito della rete comunitaria Enterprise Europe Network, è possibile ricercare un agente anche tramite l’inserimento della propria richiesta nella banca dati della Commissione europea (Partnering Opportunity Database - Pod) e/o tramite la partecipazione a possibili eventi B2B commerciali. Per ulteriori informazioni sul servizio di Ricerca partner commerciali tramite la rete Enterprise Europe Network si rimanda al successivo paragrafo 2.3.1.
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20/09/2023 - 11:16

Aggiornato il: 20/09/2023 - 11:16

2.2.2 - Il procacciatore d’affari


2.2.2 Il procacciatore d’affari

Il procacciatore d’affari è un soggetto che, a differenza dell’agente, non assume l’incarico di promuovere stabilmente gli affari dell’impresa italiana ma si limita a segnalare all’impresa una o più occasioni di affari, verso pagamento di una provvigione al buon fine degli stessi, nei termini concordati tra le parti.

Di solito il procacciatore è un soggetto che svolge principalmente attività di altro genere, nell’ambito delle quali può avere occasione di venire a conoscenza di affari da segnalare all’impresa, ma senza assumere l’obbligo di svolgere stabilmente attività promozionale in suo favore, tipica, invece, del contratto di agenzia.

Non applicandosi, a questa figura, la normativa in tema di agenzia, al procacciatore non sono riconosciute le tutele di cui gode, per legge, l’agente, quindi, ad esempio significativo, non gli è dovuta alcuna indennità alla fine del rapporto. Si segnala, tuttavia, che la qualificazione del rapporto (come agenzia o procacciamento d’affari) non dipende da quanto scritto nel contratto, ma da come esso verrà effettivamente eseguito dalle parti, quindi, solo se il rapporto che si instaura sarà occasionale, sarà consigliabile stipulare un contratto di procacciamento d’affari, in quanto, se il contratto così concluso venisse poi eseguito come agenzia, cioè con lo svolgimento di stabile attività promozionale, il presunto promotore, in realtà agente, potrebbe invocare giudizialmente le tutele cui ha diritto per legge nei confronti dell’impresa, la quale avrebbe perduto l’occasione di spostare contrattualmente, per quanto possibile, l’equilibrio del rapporto in suo favore.

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19/07/2023 - 10:28

Aggiornato il: 19/07/2023 - 10:28

2.2.3 - Il distributore


2.2.3 Il distributore

Il contratto di distribuzione è l’accordo tra due imprese per il quale uno dei contraenti (concedente o fabbricante) concede all’altro (concessionario o distributore) il diritto di commercializzare i prodotti del concedente in nome e per conto del concessionario, in un determinato territorio. In questo, dunque, il contratto di distribuzione differisce dal contratto di agenzia, al quale è invece accomunato per l’attività promozionale svolta dal concessionario.

Le normative dei Paesi comunitari, compresa l’Italia, non disciplinano questo contratto (ad eccezione della legge belga del 1961), tuttavia la giurisprudenza tutela alcuni diritti del distributore. Nell’UE, i contratti di distribuzione sono, altresì, soggetti alla normativa anti-trust comunitaria.  Per approfondimenti sulla normativa anti-trust comunitaria si rimanda al focus dedicato.

I principali aspetti che è utile considerare in un rapporto internazionale di distribuzione sono i seguenti:
• zona della distribuzione: con ciò si intende il territorio (ad esempio uno Stato o più Stati o porzioni di Stato, quali regioni o province, a tal fine si raccomanda di utilizzare esclusivamente riferimenti amministrativi e non geografici, possibile fonte di incertezze interpretative) e, eventualmente, specifici settori di clientela affidati al distributore; 
• prodotti cui si riferisce l’incarico: tutti i prodotti dell’impresa o soltanto alcune linee di prodotto;
• carattere esclusivo o non esclusivo del rapporto: in genere il distributore richiederà l’esclusiva per assicurarsi il ‘ritorno’ dei suoi investimenti; si segnala inoltre che in alcuni Paesi islamici, tra i quali Arabia Saudita, Egitto, Emirati Arabi Uniti (per cui si veda quanto detto sopra a proposito del contratto di agenzia, dato che legislazione locale non distingue tra i due tipi di contratto), Indonesia, Libano e Pakistan, vigono norme che tutelano il distributore locale;
• divieto di concorrenza del distributore: divieto di distribuire, produrre e comunque trattare prodotti concorrenti, per la cui validità dovrà tenersi conto dei limiti della normativa anti-trust comunitaria sopracitata;
• poteri di rappresentanza: all’estero, in particolare nei Paesi anglosassoni e mediorientali, è consigliabile precisare contrattualmente che il distributore non ha poteri di rappresentanza in quanto in vari casi viene presunto;
• obbligo di promozione: molti contratti prevedono l’obbligo del distributore di acquistare prodotti, in un certo periodo (ad esempio, un anno) nonché le conseguenze del mancato raggiungimento del minimo, quali generalmente la facoltà del concedente di risolvere il contratto, di ridurre il territorio (e/o la fascia di clientela e/o le linee di prodotto), di revocare l’esclusiva. Questa obbligazione dovrebbe essere la conseguenza della trattativa precontrattuale, la contrattualizzazione di una delle variabili in base alle quali il distributore è stato scelto, magari rispetto ad altri: qualora il contratto non dia i frutti attesi, potrà essere risolto o ‘ridimensionato’, a seconda di quello che è stato pattuito. Quanto alle modalità di promozione, spesso vengono pattuite norme relative alla pubblicità, alla partecipazione a fiere nel territorio nonché alla produzione della documentazione commerciale e tecnica relativa ai prodotti nella lingua del territorio, stabilendo regole relative alla parte cui spettano tali iniziative e le relative spese. Opportuno è anche regolamentare l’uso e la tutela del marchio ed egli altri diritti di proprietà industriale dell’impresa italiana concedente, considerato che è da evitare che il distributore li registri a proprio nome nel territorio, mentre è opportuno che il distributore segnali al concedente eventuali contraffazioni della proprietà industriale del concedente sul territorio o, al contrario, eventuali diritti di terzi preesistenti che i prodotti del concedente potrebbero violare;
• acquisti del distributore: è opportuno concordare una procedura di invio degli ordini e relativa conferma e le altre condizioni di vendita, specialmente stabilendo come debba essere gestita la consegna (oneri, costi e rischi) e la garanzia sui prodotti che il concedente riconosce al distributore (posto che quest’ultimo è libero, anche se non gli conviene) di concedere più ampi diritti ai suoi clienti) e anche al fine di tutelarsi dal rischio finanziario (a tal fine si consiglia la pattuizione di eventuali garanzie del pagamento, diritto di sospendere le consegne, limiti massimi di esposizione); 
• obbligo di assistenza tecnica: qualora i prodotti lo richiedano ed il distributore sia strutturato e competente per farlo, è opportuno, almeno per motivi logistici, che gli interventi tecnici siano effettuati dal distributore in loco, in garanzia (a spese del concedente, se il difetto è oggetto della garanzia da quest’ultimo riconosciuta al distributore, o a spese del distributore, se il difetto è oggetto dei più ampi diritti che lo stesso ha concesso alla sua clientela) o fuori dalla garanzia (a spese del cliente), nei casi in cui il termine della garanzia sia decorso o il difetto non sia oggetto di garanzia. Il contratto può prevedere, a tal fine, la formazione e l’aggiornamento del personale del distributore da parte del concedente;
• informazioni del distributore sul mercato: è opportuno che il distributore sia onerato dell’obbligo di informare il concedente sulle variabili del territorio, incluse leggi e altre norme applicabili ai prodotti (attenzione ai Paesi in cui siano previsti particolari adempimenti per la commercializzazione di alcuni prodotti: conviene stabilire quale parte si occuperà delle relative pratiche e costi), attività dei concorrenti e, come sopra detto, eventuali contraffazioni del marchio o altre violazioni dei diritti di proprietà industriale del concedente; si noti che alcuni obblighi informativi potrebbero essere contrari alle norme antitrust comunitarie (per cui vedasi approfondimento di cui sopra) e che, in particolare, l’obbligo di informazione sui nominativi dei clienti del distributore potrebbe comportare, in alcuni casi e Paesi (es. Germania), il diritto del distributore a percepire un indennizzo alla fine del rapporto;
• durata del contratto determinata o indeterminata: nel primo caso il contratto non potrà essere risolto anticipatamente se non per giusta causa, nel secondo potrà essere risolto anche immotivatamente, in qualunque momento, salvo obbligo di rispetto del preavviso concordato in contratto o di un preavviso che, secondo la legge italiana, deve essere “congruo” (articolo 1569 del codice civile);
• legge applicabile e foro competente (o arbitrato): possono essere liberamente scelti dalle parti nel contratto, la scelta è strategica in quanto, in alcuni Paesi ed in determinati casi, la giurisprudenza riconosce al distributore un indennizzo alla fine del rapporto, ed anche in ottica di recupero crediti (si veda il paragrafo 5.2).

Come si vede dunque la scelta dell’intermediario e la negoziazione del relativo rapporto presentano profili di complessità, soprattutto per evitare di dover sopportare la perdita di opportunità commerciali derivante di un rapporto di distribuzione senza ritorni particolarmente interessanti oppure di denaro, vendendo ad un distributore in difficoltà finanziarie.

 

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20/09/2023 - 11:17

Aggiornato il: 20/09/2023 - 11:17

2.2.4 - Consorzi, società consortili e G.E.I.E.


2.2.4 Forme di aggregazione tra imprese: consorzi, società consortili e G.E.I.E.

Varie sono le forme giuridiche, contrattuali e societarie, che l’impresa italiana può scegliere per aggregarsi con altre imprese al fine di svolgere, tramite un’organizzazione determinate fasi delle rispettive imprese, quali ad esempio l’internazionalizzazione:

Il Consorzio
Il consorzio è contratto con cui più imprenditori istituiscono un’organizzazione comune per lo svolgimento di determinate fasi delle rispettive imprese (articolo 2602 e ss. codice civile), il consorzio cioè non mira a produrre guadagni da distribuire tra i consorziati ma a mantenere e ad aumentare il reddito dell’attività dei singoli consorziati ed è aperto all’adesione successiva di altre imprese.
Il contratto di consorzio deve essere fatto per iscritto a pena di nullità e deve indicare: l'oggetto e la durata del consorzio, la sede dell'ufficio eventualmente costituito, gli obblighi assunti e i contributi dovuti dai consorziati, le attribuzioni e i poteri degli organi consortili anche in ordine alla rappresentanza in giudizio, le condizioni di ammissione di nuovi consorziati, i casi di recesso e di esclusione dei consorziati, le sanzioni per l'inadempimento degli obblighi dei consorziati. La durata del consorzio, se non prevista dal contratto, è di dieci anni.
Per quanto riguarda le decisioni, se il contratto non dispone diversamente, i consorziati deliberano a maggioranza e le decisioni prese in violazione della predetta norma o della diversa regola contrattuale possono essere impugnate innanzi all'autorità giudiziaria entro trenta giorni. Le modifiche del contratto di consorzio, che devono farsi per iscritto, sono da deliberarsi all’unanimità, se non diversamente convenuto. La responsabilità verso i consorziati di coloro che sono preposti al consorzio è regolata dalle norme sul mandato.
Le cause di scioglimento del consorzio sono: il decorso del termine di durata; il conseguimento dell'oggetto o l’impossibilità di conseguirlo; la volontà unanime dei consorziati; la deliberazione della maggioranza dei consorziati, se sussiste giusta causa; il provvedimento dell'autorità governativa, nei casi ammessi dalla legge ed altre cause eventualmente previste nel contratto.
Per i consorzi con attività esterna, ossia i consorzi il cui contratto prevede l'istituzione di un ufficio destinato a svolgere attività con i terzi, gli amministratori devono, entro trenta giorni dalla stipulazione del contratto, depositare un estratto del contratto per l'iscrizione presso il registro delle imprese del luogo dove l'ufficio ha sede che indichi la denominazione e l'oggetto del consorzio e la sede dell'ufficio; il cognome e il nome dei consorziati; la durata del consorzio; le persone a cui vengono attribuite la presidenza, la direzione e la rappresentanza del consorzio ed i rispettivi poteri; il modo di formazione del fondo consortile e le norme relative alla liquidazione. Devono poi essere iscritte nel registro delle imprese le eventuali modificazioni del contratto concernenti gli elementi sopra indicati.
Il fondo consortile è costituito dai contributi dei consorziati e dai beni acquistati con tali contributi; per tutta la durata del consorzio, i consorziati non possono chiedere la divisione del fondo ed i creditori particolari dei consorziati non possono far valere i loro diritti sul fondo medesimo. Per le obbligazioni assunte in nome del consorzio dai suoi rappresentanti, i terzi possono far valere i loro diritti esclusivamente sul fondo consortile; per le obbligazioni assunte dagli organi consortili per conto dei singoli consorziati rispondono questi ultimi solidalmente col fondo consortile (in caso di insolvenza il debito dell'insolvente si ripartisce tra tutti i consorziati in proporzione delle rispettive quote). Quanto agli obblighi contabili, si ricorda la redazione di situazione patrimoniale con osservanza delle norme per bilancio di esercizio delle S.p.A. e relativo deposito presso registro imprese.

Le società consortili
Le società consortili, ovvero società aventi come oggetto quello del consorzio di cui all’articolo 2602 codice civile) possono assumere una delle varie forme previste per le società (di capitali o di persone, escluse le società semplici), con applicazione della relativa disciplina, oltre che di quella consortile, in quanto compatibile (articolo 2615 ter codice civile). L’atto costitutivo può prevedere l’obbligo dei soci di versare contributi in denaro. Consorziandosi, quindi, le imprese possono, unendo le loro forze, anche solo temporaneamente o per specifici progetti, raggiungere obiettivi che da sole non potrebbero raggiungere, tra i quali senz’altro quello dell’internazionalizzazione.

A proposito si ricorda che la l. 83/1989, prima, e poi il D.l. 83/2012 (convertito con l. 134/2012) hanno disciplinato i consorzi per l’internazionalizzazione. Ai sensi del comma 3 dell’articolo 42 del predetto decreto legge, tali consorzi “hanno per oggetto la diffusione internazionale dei prodotti e dei servizi delle piccole e medie imprese nonché il supporto alla loro presenza nei mercati esteri anche attraverso la collaborazione e il partenariato con imprese estere.” Pertanto, oltre a promuovere all’estero prodotti e servizi delle imprese consorziate, i consorzi per l’internazionalizzazione possono occuparsi dell'importazione di materie prime e di prodotti semilavorati, della formazione specialistica per l'internazionalizzazione, della qualità, della tutela e dell'innovazione dei prodotti e dei servizi commercializzati nei mercati esteri, anche attraverso marchi in contitolarità o collettivi. Possono essere considerati tali solo le piccole e medie imprese artigiane, turistiche, di servizi, agroalimentari, agricole e ittiche aventi sede in Italia costituite ai sensi degli articoli 2602 e 2612 e seguenti del codice civile o in forma di società consortile o cooperativa.

La legge prevede altresì la possibile partecipazione di enti pubblici e privati, di banche e di imprese di grandi dimensioni, purché non fruiscano dei contributi previsti dal comma 6 dell’articolo 42 del medesimo decreto legge (cioè contributi per la copertura di non più del 50 per cento delle spese da essi sostenute per l'esecuzione di progetti per l'internazionalizzazione – di durata pluriennale, con ripartizione delle spese per singole annualità -, da realizzare anche attraverso contratti di rete con piccole e medie imprese non consorziate; è previsto, che con decreto di natura non regolamentare, il ministro dello sviluppo economico, stabilisca i requisiti soggettivi, i criteri e le modalità per la concessione dei contributi in questione: si vedano il D.M. 22 novembre 2012, il D.M. 28 gennaio 2013 , il D.M. 26 aprile 2013 e il D.M. 24 aprile 2014).

Poiché l’obiettivo è quello di incentivare, anche attraverso appositi contributi, l’internazionalizzazione di piccole e medie imprese, la legge prevede che la nomina della maggioranza degli amministratori dei consorzi per l'internazionalizzazione spetti, in ogni caso, alle piccole e medie imprese consorziate, a favore delle quali i consorzi svolgono in via prevalente la loro attività.

Il decreto, al comma 7 dell’articolo 42, oltre a prevedere alcune disposizioni fiscali e contabili, richiama l’articolo 13, commi 34, 35, 36 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269 (convertito con modificazioni dalla legge 24 novembre 2003, n. 326), che detta alcune regole in tema di pubblicità delle modifiche del contratto di consorzio, di redazione, approvazione e pubblicità del bilancio nonché di tenuta dei libri sociali (prevedendo l’obbligatorietà, oltre ai libri contabili, del libro dei consorziati, delle adunanze e delle deliberazioni dell'assemblea, delle adunanze e delle deliberazioni dell'organo amministrativo collegiale, se questo esiste; delle adunanze e delle deliberazioni del collegio sindacale, se questo esiste) e stabilendo i diritti di consorziati e creditori circa la loro consultazione.

Il G.E.I.E.
Il G.E.I.E. (Gruppo Europeo di Interesse Economico) è uno strumento di cooperazione tra soggetti che operano in Stati diversi dell’Unione Europea ed è disciplinato dal Regolamento UE 21375/1985 e dal D.lgs. 240/1991. Obiettivo principale del G.E.I.E. è quello di agevolare o sviluppare l’attività economica dei suoi membri, di migliorarne o aumentarne i risultati e, pertanto, ha una funzione meramente ausiliaria, tanto che gli è vietato realizzare utili per se stesso. Possono farvi parte le società o altri enti giuridici di diritto pubblico o privato e le persone fisiche che esercitano un’attività industriale, commerciale, artigianale, agricola, nonché una libera professione. Si costituisce mediante contratto scritto (a pena di nullità) da parte di almeno due soggetti che hanno l’amministrazione centrale (in caso di società) o che esercitano la loro attività in Stati membri diversi. Il contratto per produrre effetti, deve essere iscritto nel registro delle imprese.
E’ un centro autonomo di imputazione di rapporti giuridici e ha pure capacità processuale ma non ha autonomia patrimoniale, tant’è che i suoi membri assumono la responsabilità solidale e illimitata per le obbligazioni assunte dal soggetto che ne ha la rappresentanza.
L’organizzazione del G.E.I.E. è rimessa all’autonomia privata ma dal Regolamento europeo pare doversi ritenere che debbano esistere almeno due organi: l’assemblea, composta dai membri del G.E.I.E. e l’organo amministrativo. Si decide a maggioranza, salvo per alcune materie (come ad esempio la modifica dell’oggetto), per le quali è richiesta l’unanimità.
Deve tenere i libri contabili di cui agli articoli 2214 e seguenti codice civile e i suoi amministratori redigono lo stato patrimoniale ed il conto economico e lo sottopongono all’approvazione dei membri.
Il G.E.I.E. che svolge attività commerciale si scioglie in caso di fallimento. Ad esso si applicano inoltre alcune norme in tema di nullità simili a quelle previste per le società di capitali.

Considerati gli obiettivi di questa pubblicazione, è opportuno fare un cenno ad alcuni tipi societari aventi specificamente vocazione transnazionale:
- la Società europea (SE), disciplinata dal Regolamento (CE) n. 2157/2001 relativo allo statuto della società europea e dalla Direttiva 2001/86/CE, che completa lo statuto per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori nella società europea. Il regolamento consente a una società di costituirsi sul territorio dell'UE sotto forma di società per azioni con capitale di almeno € 120.000, secondo la denominazione “societas europaea” (SE). Requisito essenziale è che si tratti imprese di almeno due Stati membri diversi che intendono costituire una SE. La SE è una società di capitali per azioni;
- la Società cooperativa europea, disciplinata dal regolamento (CE) n. 1435/2003 e dalla Direttiva 2003/72/CE, che completa lo statuto per quanto riguarda il coinvolgimento dei lavoratori nella società cooperativa europea. Esso prevede che persone fisiche o persone giuridiche rispettivamente residenti o aventi sede in Stati membri diversi possano costituire una SCE con un capitale minimo di € 30.000. E’ anche prevista la possibilità, per le cooperative di Stati membri diversi, di fondersi per costituire una SCE. Inoltre una cooperativa nazionale con attività in uno Stato membro diverso da quello in cui ha la propria sede sociale può essere trasformata in una cooperativa europea senza passare attraverso la procedura di scioglimento;
- la Società a responsabilità limitata unipersonale oggetto della Direttiva 2009/102/CE

 

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19/07/2023 - 10:45

Aggiornato il: 19/07/2023 - 10:45

2.2.5 - Reti di imprese


2.2.5 Reti di imprese

Un altro strumento con il quale le imprese italiane possono perseguire un progetto di internazionalizzazione è il contratto di rete tramite il quale più imprenditori perseguono lo scopo di accrescere, individualmente e collettivamente, la propria capacità innovativa e la propria competitività sul mercato e, a tal fine, si obbligano, sulla base di un programma comune di rete, a collaborare in forme e in ambiti predeterminati attinenti all'esercizio delle proprie imprese o a scambiarsi informazioni o prestazioni di natura industriale, commerciale, tecnica o tecnologica o ad esercitare in comune una o più attività rientranti nell'oggetto della propria impresa (D.l. n. 5/2009, articolo 3 e successive modifiche).

La rete di imprese può essere solo un contratto oppure essere dotata di personalità giuridica, in entrambi i casi può essere istituito un fondo patrimoniale comune e nominato un organo comune, incaricato di gestire, in nome e per conto dei partecipanti, l'esecuzione del contratto o di singole parti o fasi dello stesso. È un contratto aperto all’adesione successiva di altre imprese. Il contratto di rete deve essere iscritto nel registro imprese presso cui è iscritto ciascun partecipante e, se è prevista la costituzione del fondo comune, la rete può iscriversi presso il registro imprese competente per la sua sede e così la rete acquista soggettività giuridica (con contratto stipulato per atto pubblico o scrittura privata autenticata o atto firmato digitalmente ai sensi del d.lgs. 82/2005 che prevede autenticazione notarile della firma digitale).

Qualora la rete di imprese abbia acquisito la soggettività giuridica, entro due mesi dalla chiusura dell'esercizio annuale, l'organo comune redige una situazione patrimoniale, osservando, in quanto compatibili, le disposizioni relative al bilancio di esercizio della società per azioni, e la deposita presso l'ufficio del registro delle imprese del luogo ove ha sede.

Quanto ai contenuti del contratto di rete, devono risultare:
•    il nome, la ditta, la ragione o la denominazione sociale dei partecipanti nonché la denominazione e la sede della rete (qualora previsto fondo patrimoniale comune);
•    l’indicazione degli obiettivi strategici di innovazione e di innalzamento della capacità competitiva dei partecipanti e le modalità concordate con gli stessi per misurare l'avanzamento verso tali obiettivi;
•    la definizione del programma di rete, dei diritti e obblighi di ciascun partecipante, delle modalità di realizzazione dello scopo comune e, se previsto un fondo patrimoniale comune, le relative regole di gestione, la misura e i criteri di valutazione dei conferimenti iniziali e degli eventuali contributi successivi nonché le regole di gestione del fondo;
•    la durata del contratto, le modalità di adesione di altri imprenditori e, se pattuite, le cause e condizioni di recesso (salva comunque la disciplina legale dello scioglimento dei contratti plurilaterali con comunione di scopo);
•    se presente, nome, ditta, ragione o la denominazione sociale del soggetto prescelto quale organo comune, i poteri di gestione e di rappresentanza conferiti a tale soggetto nonché le regole relative alla sua eventuale sostituzione durante la vigenza del contratto;
•    le regole per le decisioni dei partecipanti su ogni materia o aspetto di interesse comune che non rientri, quando è stato istituito un organo comune, nei poteri di gestione conferiti a tale organo, nonché, se il contratto prevede la modificabilità a maggioranza del programma di rete, le regole relative alle modalità di assunzione delle decisioni di modifica del programma medesimo.
 

Quanto alla responsabilità verso terzi, l’organo comune agisce in rappresentanza della rete, quando essa acquista soggettività giuridica o, in difetto, degli imprenditori partecipanti, salvo che sia diversamente previsto nel contratto, nelle procedure di programmazione negoziata con le pubbliche amministrazioni, nelle procedure inerenti ad interventi di garanzia per l'accesso al credito e in quelle inerenti allo sviluppo del sistema imprenditoriale nei processi di internazionalizzazione e di innovazione previsti dall'ordinamento, nonché all'utilizzazione di strumenti di promozione e tutela dei prodotti e marchi di qualità o di cui sia adeguatamente garantita la genuinità della provenienza. Al fondo patrimoniale comune, se costituito, si applicano, per quanto compatibili, gli articoli 2614 e 2615 codice civile in materia di fondo consortile (per le obbligazioni assunte in nome della rete dai suoi rappresentanti, i terzi possono rivalersi esclusivamente sul fondo patrimoniale). Quanto agli obblighi contabili, la rete dotata di personalità giuridica deve depositare il bilancio di esercizio presso il registro imprese.

 

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19/07/2023 - 10:47

Aggiornato il: 19/07/2023 - 10:47

2.2.6 - La presenza diretta sui mercati stranieri


2.2.6 La presenza diretta sui mercati stranieri

Passando al vaglio le forme di presenza diretta dell’impresa italiana sui mercati stranieri, partiamo dalla più semplice: l’ufficio di rappresentanza.
L'ufficio di rappresentanza delle imprese straniere ha una disciplina sostanzialmente simile nei vari Paesi (normative nazionali alle quali si rinvia quanto all’iter amministrativo per la registrazione dell’ufficio di rappresentanza), in Italia la prassi interpretativa rinvia, infatti, ai modelli O.C.S.E.. L'ufficio di rappresentanza è privo di autonomia giuridica e fiscale rispetto all’impresa cui fa capo, quindi l’attività da esso posta in essere viene imputata a quest’ultima (ad esempio dichiarazioni rilasciate da chi opera per l’ufficio di rappresentanza verrebbero attribuite all’impresa cui l’ufficio fa capo).

N. B:  L'ufficio di rappresentanza deve dunque avere una funzione meramente preparatoria o ausiliaria della penetrazione dell'impresa sul mercato estero, non potendo svolgere attività produttive o commerciali in senso proprio né comunque produrre utili, non può importare beni, se non per esigenze proprie, né essere intestatario di immobili, potendo infatti unicamente svolgere attività di rappresentanza, di raccolta di informazioni, di ricerca scientifica, di marketing, attività pubblicitaria, promozionale e di negoziazione di contratti.

È quindi essenziale che si ponga massima attenzione alle attività svolte dall'ufficio di rappresentanza, onde evitare il rischio di riqualificazione di un ufficio di rappresentanza in stabile organizzazione all'estero dell'impresa italiana, con la conseguente tassazione nel Paese estero dei redditi ivi prodotti.

Qualora invece per l’impresa italiana non sia sufficiente un veicolo meramente ausiliario o promozionale, ma abbia esigenze produttive e/o commerciali, le quali potrebbero proprio conseguire ad un primo approccio al mercato straniero realizzato dall’impresa italiana tramite ufficio di rappresentanza oppure una prima fase distributiva nel mercato estero tramite agente o distributore, si renderà necessaria la costituzione di una società di diritto locale straniero, il cui capitale sociale, a seconda delle esigenze e del Paese, potrà essere interamente detenuto dalla società italiana oppure, in parte, da un socio locale.

In caso di pianificazione di un’iniziativa imprenditoriale tramite costituzione di società a capitale misto, è consigliabile stipulare con il partner straniero un contratto internazionale di joint venture per regolare l’operazione da realizzare nel suo complesso, inclusi gli obblighi di ciascun partner, le tempistiche, la suddivisione delle spese, gli assetti della società costituenda (principalmente: tipo societario, sua capitalizzazione, suddivisione tra i partner delle quote o azioni, numero e nomina amministratori e relativi poteri e quant’altro rilevi nel caso di specie). Il contratto di joint venture potrà anche opportunamente regolare i rapporti strategici della nuova società, anche con l’impresa italiana, quali, ad esempio, i contratti di fornitura di macchinari, attrezzature, componenti o semilavorati, di assistenza o consulenza, di trasferimento di tecnologia o di licenza di marchio o di brevetto, di distribuzione ecc.).

È anche importante che il contratto di joint venture appronti degli strumenti utili per l’“uscita” dell’impresa italiana dall’operazione, nel caso in cui i risultati siano inferiori a quelli pianificati o comunque sorgano problemi nei rapporti con il partner o di altro genere, tenuto conto che i cosiddetti patti parasociali, ossia gli accordi tra i soci esterni allo statuto e destinati ad avere influenza sulle dinamiche societarie (es. esclusione di un socio), sono efficaci solo tra le parti dell’accordo stesso e possono subire limitazioni ad opera del diritto societario del Paese ove ha sede la società, quindi i rimedi per il caso di loro mancato rispetto devono essere attentamente studiati. Si ricorda che, a differenza della società straniera, necessariamente regolata dalla legge dove il Paese ha sede, il contratto di joint venture può, come un qualsiasi contratto commerciale, essere sottoposto ad un’altra legislazione, dunque anche quella italiana, così come libera è la determinazione del meccanismo (giurisdizione statale o arbitrato) per la risoluzione delle controversie, scelte queste, come quelle sopra accennate, da operare alla luce delle molte variabili del caso specifico.

Senz’altro più semplice, dal punto di vista giuridico, è la costituzione all’estero di una società con capitale interamente detenuto dall’impresa italiana, il che consente di evitare di dover regolare i rapporti col socio straniero. In questo caso rileva unicamente la conoscenza del diritto, specie societario e fallimentare, del Paese straniero in questione, che, come detto, necessariamente si applica alla società straniera.

In ogni caso occorre scegliere il tipo di società più adatto anzitutto al fine di limitare la responsabilità dei soci per le obbligazioni sociali, potendo normalmente scegliere tra una società da capitalizzare meno e con minori vincoli gestionali, corrispondente alla nostra Srl, ed una, al contrario, da capitalizzare maggiormente e con maggiori vincoli gestionali, sostanzialmente corrispondete alla Spa di diritto italiano.
Occorrerà quindi valutare se sia previsto un capitale minimo e di quale entità, se siano ammessi conferimenti in natura e, se del caso, se sia ammesso il conferimento di beni immateriali (es. diritti di proprietà industriale) ed eventualmente a quali condizioni (es. carattere innovativo della tecnologia e/o valutazione da parte di soggetti accreditati).
Quanto al numero dei soci, occorrerà valutare, anche in base al tipo societario, se la legislazione del Paese in questione ammetta che vi sia un unico socio. Anche rispetto all’organo amministrativo occorre valutare se vi possa essere un amministratore unico e, sia per i soci sia per gli amministratori, è necessario verificare che non siano previsti requisiti di nazionalità o residenza. Inoltre occorrerà conoscere le regole che, in quel Paese, governano la responsabilità degli amministratori, onde essere consapevoli degli illeciti civili, amministrativi o penali che possono essere commessi nell’esercizio dell’attività gestoria. Tra l’altro, andranno anche valutati gli adempimenti fiscali e contabili cui assolvere, tra cui l’eventuale obbligo di certificazione del bilancio.

Le predette operazioni si possono naturalmente anche realizzare tramite acquisizione totale o parziale, a seconda dei casi, delle quote di società straniere già esistenti, con il vantaggio di avvalersi di soggetti già ‘avviati’ sul mercato locale sotto vari profili, commerciale, produttivo ecc., ma anche con lo svantaggio di ‘portarsi dietro’ passività e rischi, che possono tuttavia essere limitati o esclusi con un attento contratto di acquisizione e con debite garanzie da parte del cedente.



Gruppi di società

È importante considerare che, in caso di costituzione (o acquisto) di una società estera e di suo eventuale “controllo”, potrebbe determinarsi l’esercizio di un’attività di direzione e coordinamento su di essa, situazione distinta dal controllo ed oggetto di specifica normativa in materia di gruppi di società a tutela dei creditori e dei soci di minoranza della società eterodiretta. Come detto, controllo e direzione e coordinamento non sono la medesima situazione: il controllo normalmente si ha quando si possiede la maggioranza dei voti per deliberare sulle decisioni più importanti di una società (quali, innanzitutto, la nomina degli amministratori), oppure quando si dispone di voti sufficienti per esercitare un’influenza dominante o, ancora, quando tale influenza dominante può essere esercitata in conseguenza di un contratto (si pensi, in quest’ultimo caso, a tutti quei rapporti in cui una parte è talmente importante per un’altra – come nei casi di franchising o di imprese “mono-clienti”) di modo da poter, nella sostanza, controllare tale società. Controllo, tuttavia, non significa già “eterodirezione”, in quanto l’esercizio dell’attività di direzione e coordinamento consiste specificamente nella capacità di una società di dirigere, determinare e dettare le linee strategiche di un’altra, cioè, in sostanza, di influire in maniera decisiva sulle scelte amministrative di questa, pur conservando, quest’ultima, la sua autonomia giuridica. In altre parole, in presenza di un gruppo si ha una pluralità di soggetti giuridici a fronte di un disegno economico unitario. Si noti che, nell’ordinamento italiano, l’esercizio di attività e di direzione e coordinamento è presunto nei rapporti di controllo.
Tra le utilità della creazione di un gruppo, rispetto all’istituzione di un semplice stabilimento (o ramo d’azienda), vi è la limitazione della responsabilità: nel caso, ad esempio, di insolvenza del ramo d’azienda, la responsabilità si estenderebbe direttamente alla società cui appartiene, in quanto trattasi del medesimo soggetto giuridico. Diversamente, nel caso in cui lo stabilimento avesse una sua autonomia giuridica, in quanto, ad esempio, conferito in una società controllata, la sua insolvenza non si ripercuoterebbe sulla holding, salve, normalmente, le regole in materie di abuso di attività di direzione e coordinamento. Nel nostro ordinamento, ad esempio, è espressamente prevista la responsabilità della holding ai sensi dell’articolo 2497 codice civile, secondo il quale le società o gli enti che, esercitando attività di direzione e coordinamento di società, agiscono nell'interesse imprenditoriale proprio o altrui in violazione dei princìpi di corretta gestione societaria e imprenditoriale delle società medesime, sono direttamente responsabili nei confronti dei soci di queste per il pregiudizio arrecato alla redditività ed al valore della partecipazione sociale, nonché nei confronti dei creditori sociali per la lesione cagionata all'integrità del patrimonio della società. Non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell'attività di direzione e coordinamento ovvero integralmente eliminato anche a seguito di operazioni a ciò dirette. Risponde inoltre in solido chi abbia comunque preso parte al fatto lesivo e, nei limiti del vantaggio conseguito, chi ne abbia consapevolmente tratto beneficio.
Normalmente gli aspetti che vengono disciplinati in caso di gruppi sono:
- responsabilità della holding, della società controllata, dei loro organi e di coloro che possano beneficiare di eventuali abusi;
- obblighi pubblicitari;
- obblighi in materia contabile;
- obblighi in materia di finanziamenti;
- obblighi di trasparenza e di motivazione delle decisioni influenzate dalla holding;
- fonti dell’attività di direzione e coordinamento e limiti all’ingerenza da parte della holding nella controllata.
A titolo esemplificativo, si consideri come in Italia si tende ad escludere che una società eterodiretta debba rinunciare completamente alla propria autonomia, non essendo tendenzialmente ammessi contratti di dominio eccessivamente forti. Diversamente, in Germania, può essere stipulato un c.d. Beherrschungsvertrag (contratto di dominio “forte”) che, tuttavia, deve essere approvato dal 75% dei soci che rappresentano il capitale sociale di entrambe le società, previa relazione da parte dell’organo amministrativo (Vorstand) e previo controllo da parte di “esperti controllori” (Vertragsprüfer).
Quanto alla fonte e alla responsabilità, sebbene sia tuttora discutibile quale diritto debba applicarsi quando holding e società dominata appartengano a due Stati diversi, occorre considerare come, se la holding fosse italiana, potrebbe sostenersi l’applicazione delle norme relative alla sua responsabilità e ciò in virtù dell’articolo 25 l. 218/1995 che, anche alla luce di una interpretazione conforme a quella comunitaria circa l’applicazione del diritto del luogo ove la società ha la sede, prevede che si applichi tale legge anche alla responsabilità per le obbligazioni dell'ente nonché alle conseguenze delle violazioni della legge o dell’atto costitutivo.
In ogni caso, occorre considerare che la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha applicato dei principi non molto diversi da quelli dell’ordinamento italiano, stabilendo, ad esempio, che nel caso in cui una società controllante detenga il cento per cento del capitale della sua controllata che si sia resa responsabile di un comportamento illecito, esiste una presunzione semplice che tale società controllante eserciti un’influenza determinante sul comportamento della sua controllata (cfr. sentenza della Corte 10 settembre 2009, n. 97/08; sentenza della Corte 25 ottobre 1983, causa 107/82, AEG/Commissione). 
 

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05/09/2023 - 14:14

Aggiornato il: 05/09/2023 - 14:14

2.3 - Come trovare un partner estero


2.3  Come trovare un partner estero

La fase di individuazione di un partner estero da parte dell’impresa è supportata da varie tipologie di servizi che sono di seguito illustrati.

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20/07/2018 - 15:06

Aggiornato il: 20/07/2018 - 15:06

2.3.1 - I servizi della rete Enterprise Europe Network


2.3.1 I servizi offerti dalla rete comunitaria Enterprise Europe Network

Nell’ambito dei servizi offerti dalla rete comunitaria Enterprise Europe Network la Camera di commercio di Torino e Unioncamere Piemonte, partner del medesimo Consorzio Alps, mettono gratuitamente a disposizione delle imprese piemontesi i seguenti strumenti per favorire i contatti con potenziali partner esteri di ricerca, tecnologici e/o commerciali:

• inserimento del proprio profilo di cooperazione commerciale, tecnologica e/o di ricerca all’interno della banca dati per la ricerca partner della Commissione Europea Pod - Partnering Opportunity Database

• consultazione della medesima banca dati dei profili commerciali/tecnologici e/o di ricerca pubblicati dalle imprese estere direttamente tramite il motore di ricerca della rete Enterprise Europe Network: http://een.ec.europa.eu/tools/services/SearchCenter/Search/ProfileSimpleSearch?shid=32db25cb-726f-43b0-8b5f-7742d0935799
È necessario selezionare il tipo di profilo ricercato (ad esempio "Business Offer" oppure "Business Request") ed eventualmente inserire una parola chiave in lingua inglese. Una volta effettuata la ricerca comparirà un elenco di profili che potranno essere visionati selezionando con il mouse il titolo di interesse; si aprirà quindi una pagina che mostrerà il profilo completo.

• partecipazione ad eventi di brokeraggio tecnologico e Business-to-Business: si tratta di giornate di incontri tra imprese e istituzioni legate al mondo imprenditoriale e della ricerca

• partecipazione a missioni all’estero o eventi di partenariato commerciali e/o tecnologici


Per inserire il proprio profilo all’interno della banca dati comunitaria POD occorre contattare:

Imprese della provincia di Torino:
Camera di commercio di Torino
Tel 011 571 6342/1
Email alps-europa@to.camcom.it

Imprese delle altre province piemontesi:
Unioncamere Piemonte
Tel 011 5716191
Email alps-europa@pie.camcom.it

Per maggiori informazioni sui servizi si veda la seguente pagina dei nostri siti:

• per le imprese della provincia di Torino:

https://www.to.camcom.it/ALPS

• per le imprese di tutte le altre province:

http://www.pie.camcom.it/C/ITT/Page/t01/view_html?idp=94

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06/11/2018 - 10:57

Aggiornato il: 06/11/2018 - 10:57

2.3.2 - Il servizio Assist In della Camera di commercio di Torino


Con “Assist In” la Camera di commercio di Torino assiste e accompagna le aziende del territorio nei loro progetti di espansione su alcuni mercati ritenuti strategici. Grazie a questo programma, le imprese possono:

  • approfondire la conoscenza del proprio mercato target
  • definire una strategia di penetrazione commerciale vincente
  • sviluppare il proprio business in loco tramite la ricerca di partner commerciali affidabili
  • realizzare una presenza stabile nel Paese

Per ulteriori informazioni: https://www.to.camcom.it/assist-in

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07/11/2018 - 17:41

Aggiornato il: 07/11/2018 - 17:41

2.3.3 - Le Camere di Commercio Italiane all’Estero


2.3.3 Le Camere di Commercio Italiane all’Estero

Altri punti di contatto utili per le imprese che intendono operare all’estero e che necessitano di un supporto specifico sono rappresentati dalla rete delle Camere di Commercio Italiane all’Estero (CCIE), libere associazioni di operatori economici costituite all’estero al fine di contribuire allo sviluppo delle relazioni commerciali con l’Italia, riconosciute con il decreto del Ministro per le Attività Produttive, su parere conforme del Ministero degli Affari Esteri (L. 518/70).

Le CCIE forniscono informazioni su normative commerciali e doganali, fiere ed eventi, rapporti sul quadro economico del Paese, nominativi di imprese per opportunità commerciali e di professionisti e consulenti per aiutare l’impresa ad operare nel Paese prescelto.

I riferimenti di ciascuna CCIE, nonché le schede dei servizi offerti con i relativi costi, sono disponibili on line sul sito internet dell’Associazione delle Camere di Commercio Italiane all’Estero (Assocamerestero): http://www.assocamerestero.it

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05/11/2018 - 11:55

Aggiornato il: 05/11/2018 - 11:55

2.3.4 - ICE Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane


L’ICE-Agenzia per la promozione all’estero e l’internazionalizzazione delle imprese italiane è l’organismo attraverso cui il Governo italiano promuove le opportunità d'affari  fra imprese italiane ed estere: informazioni generali e di primo orientamento, guide al mercato, statistiche sull’interscambio Italia – paesi esteri, ricerca partner esteri a step progressivi, organizzazione di incontri d’affari. Fornisce anche assistenza in tema di gare internazionali.

E’ presente in paesi Ue ed extra – Ue, oltre agli uffici italiani a Milano e Roma.
Per ulteriori dettagli sui servizi e contatti: https://www.ice.it/it/it

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07/11/2018 - 17:37

Aggiornato il: 07/11/2018 - 17:37

2.3.5 - Le rappresentanze Diplomatiche italiane all'estero


Le Rappresentanze Diplomatiche italiane all’estero (Ambasciate e Consolati) dipendono direttamente dal Ministero Affari Esteri e Cooperazione Internazionale – MAECI al quale sono attribuite le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di rapporti politici/economici/sociali/culturali con l’estero, rappresentanza e coordinamento, tutela degli interessi italiani in sede internazionale, mantenimento dei rapporti diplomatici con gli altri Stati e con le organizzazioni internazionali e di cooperazione allo sviluppo.

I riferimenti di ciascuna rappresentanza sono disponibili sul sito internet del Ministero degli Affari Esteri: https://www.esteri.it/mae/it/

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05/11/2018 - 11:57

Aggiornato il: 05/11/2018 - 11:57

3 - Le operazioni commerciali con l’estero


Una volta assolti tutti gli adempimenti richiesti per l’apertura di un’impresa e raccolte tutte le informazioni utili per operare in sicurezza con l’estero, è possibile iniziare la propria attività commerciale.

Esiste, tuttavia, una serie di considerazioni da tenere presente con riferimento alle seguenti tematiche:

• Paesi di destinazione/provenienza delle merci che si intendono commercializzare

• merci oggetto dell’operazione commerciale

• imposte applicate alle merci che si intendono commercializzare

• clausole contrattuali per la consegna delle merci
In riferimento all’argomento affrontato nel presente capitolo si rimanda anche alla lettura della Scheda 1 della guida, contenente un glossario di termini doganali.

 

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20/07/2018 - 11:45

Aggiornato il: 20/07/2018 - 11:45

3.1 - I Paesi di destinazione/provenienza delle merci


L’impresa italiana che intende operare con l’estero, a seconda dei Paesi di destinazione o di provenienza delle merci, dovrà considerare due casi fondamentali:
• merce inviata a/proveniente da Paesi UE

• merce inviata a/proveniente da Paesi extra-UE.

I Paesi UE e i Paesi extra-UE

I Paesi che attualmente costituiscono il territorio dell’Unione europea sono: Austria, Belgio, Bulgaria, Cipro (esclusa la parte turca), Croazia, Danimarca (escluse le Isole Far Oer e la Groenlandia), Estonia, Finlandia (escluse le Isole Aland), Francia (incluso il Principato di Monaco; esclusi i Dipartimenti d’oltremare Guadalupa, Guyana, Martinica e Réunion), Germania (esclusi l’isola di Helgoland e il territorio di Busingen), Grecia (escluso il Monte Athos), Irlanda, Italia (esclusi i Comuni di Livigno e di Campione d’Italia e le acque nazionali del Lago di Lugano), Lettonia, Lituania, Lussemburgo, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Repubblica Ceca, Repubblica Slovacca, Romania, Slovenia, Spagna (esclusi Ceuta, Melilla e le isole Canarie), Svezia, Ungheria.

I territori esclusi sopra indicati e tutti gli altri Paesi, ai fini delle presenti note, sono da considerare come Paesi extraUe.

L'elenco delle aree nei paesi UE ma fuori territorio Iva UE è consultabile anche nel presente documento.

 

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20/09/2023 - 11:22

Aggiornato il: 20/09/2023 - 11:22

3.1.1 - Merce inviata a/ricevuta da Paesi UE


A partire dal 1° gennaio 1993, relativamente agli scambi intracomunitari di beni, viene applicata una procedura di carattere transitorio. I caratteri del regime transitorio sono i seguenti:

• abolizione delle formalità doganali negli scambi di beni tra gli Stati membri

• sistema VIES (VAT Information Exchange System) e INTRASTAT per il controllo delle operazioni

• applicazione del principio della tassazione nel Paese di destinazione dei beni, relativamente agli scambi tra operatori economici

• adozione del principio del Paese di origine relativamente alle operazioni con privati consumatori.
 
Sono previste regole specifiche per la fornitura di beni con installazione/montaggio, per le vendite a distanza, per le cessioni di mezzi di trasporto nuovi e per le operazioni di acquisto compiute da enti non commerciali.  

ISCRIZIONE ARCHIVIO VIES

L’operatore italiano che intende porre in essere operazioni intracomunitarie (cessioni intracomunitarie di beni o acquisti intracomunitari di beni, servizi generici resi o acquistati) deve verificare che il proprio numero identificativo Iva risulti iscritto nella banca dati VIES (VAT Information Exchange System), accedendo al sito dell’Agenzia delle Entrate: https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/it/web/guest/schede/istanze/inclusione-archivio-vies/compilazione-e-invio-via-web-vies

Al riguardo, l’Agenzia delle Entrate sul suo sito afferma che:
“Per poter effettuare operazioni intracomunitarie, i soggetti Iva devono essere inclusi nell’archivio Vies (VAT information exchange system). L'opzione per effettuare queste operazioni può essere espressa direttamente nella dichiarazione di inizio attività oppure, successivamente, telematicamente, in modalità diretta o tramite i soggetti incaricati di cui ai commi 2-bis e 3 dell’articolo 3 del Dpr 322/1998. In ogni caso, i contribuenti possono in qualsiasi momento comunicare la volontà di retrocedere dall’opzione, cioè di essere esclusi dal Vies perché non si ha più intenzione di effettuare operazioni intracomunitarie. La revoca dell’opzione può essere effettuata esclusivamente attraverso i servizi telematici.

Chi deve richiedere l’inclusione nel Vies
L’obbligo di essere inclusi nell’archivio Vies per poter effettuare operazioni intracomunitarie riguarda tutti i soggetti che esercitano attività d' impresa, arte o professione, nel territorio dello Stato, o vi istituiscono una stabile organizzazione. Inoltre, la richiesta può essere fatta anche dai soggetti non residenti che presentano la dichiarazione per l’identificazione diretta ai fini Iva (modello ANR) o che si identificano tramite nomina di un rappresentante fiscale.

Come richiedere l’inclusione nel Vies
La volontà di essere inseriti nel Vies viene espressa compilando il campo “Operazioni Intracomunitarie” del quadro I dei modelli AA7 (soggetti diversi dalle persone fisiche) o AA9 (imprese individuali e lavoratori autonomi). Vale come manifestazione di volontà di porre in essere operazioni intracomunitarie la selezione della casella “C” del quadro A del modello AA7 da parte degli enti non commerciali non soggetti passivi d’imposta.
I soggetti già titolari di partita Iva, che non hanno richiesto l’inclusione nel Vies all’avvio dell’attività, possono farlo attraverso i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate, direttamente o tramite intermediari incaricati. I soggetti incaricati della trasmissione telematica hanno l’obbligo di consegnare al dichiarante copia della ricevuta rilasciata dall’Agenzia.
Con le stesse modalità previste per l’inclusione nel Vies va comunicata, eventualmente, la volontà di non essere più inclusi nell’archivio. La presentazione telematica diretta è consentita anche ai soggetti non residenti identificati direttamente ai fini Iva.
 



ADEMPIMENTI INTRASTAT -  Informazioni generali

Fino al 31 dicembre 1992 i movimenti di beni da e verso altri Paesi Ue erano monitorati, sia ai fini fiscali che ai fini statistici, in base alle dichiarazioni doganali.
Con l’abolizione delle frontiere doganali tra i singoli Paesi UE e la creazione del “mercato unico comunitario”, a partire dal 1° gennaio 1993, è comunque continuato ad essere necessario da parte degli Stati dei Paesi membri:
• sorvegliare il rispetto delle regole concernenti l’imposta sul valore aggiunto;
• raccogliere i dati statistici del commercio tra i singoli Paesi membri.
 
Per rispondere alle suddette esigenze, gli operatori dei singoli Paesi membri devono informare le rispettive Autorità circa le operazioni intracomunitarie  dai medesimi poste in essere.
Ciò avviene mediante il Sistema V.I.E.S.-Vat Information Exchange System – INTRASTAT.

Gli operatori economici della gran parte dei Paesi Ue, in relazione  alle operazioni intracomunitarie, a differenza  di quelli italiani presentano due distinte segnalazioni:

• una segnalazione a valenza fiscale: i "Recapitulative Statements" ("ESL - EC Sales Listings"), per comunicare le cessioni intracomunitarie di beni e, in alcuni Paesi, gli acquisti intracomunitari di beni ("Statements of acquisitions” o EPL “EC Purchase Listings”).
• una segnalazione a valenza statistica: i modelli Intrastat, per comunicare le spedizioni e gli arrivi di beni, in ambito comunitario.
I singoli Paesi Ue hanno previsto tale obbligo al di sopra di determinate soglie, variabili da Paese a Paese.

A partire dal 1° gennaio 2011 gli obblighi di segnalazione sono stati estesi ai servizi generici resi e, in alcuni Paesi Ue, ai servizi generici acquistati.

Riguardo alla concreta attuazione da parte dei Paesi Ue:

L’Italia ha adottato la soluzione di prevedere l’obbligo di presentare un’unica comunicazione fiscale + statistica;
Tutti gli altri Paesi Ue prevedono due distinte comunicazioni:
Una fiscale (“Listing”)
Una statistica (“Intrastat”)
Tutti i Paesi Ue, come stabilito dalla normativa Ue (articolo 262 e seguenti della Direttiva 2006/112/CE), hanno previsto l’obbligo di presentare il Listing dei beni ceduti e dei servizi resi (comunicazione a valenza fiscale);
Solo alcuni Paesi hanno previsto l’obbligo di presentazione dei Listing dei beni e dei servizi acquistati (comunicazione a valenza fiscale):
• Beni acquistati: Croazia, Repubblica ceca, Grecia, Irlanda (in caso di supero di 191.000 euro /anno), Italia (dal 2018 solo ai fini statistici) Polonia, Romania, Slovacchia, Spagna e Ungheria;
• Servizi acquistati: Croazia, Repubblica Ceca, Grecia, Italia (dal 2018 ai soli fini statistici), Romania, Spagna, Slovacchia e Ungheria.
Tutti i Paesi Ue hanno previsto l’obbligo di presentare la  comunicazione a valenza statistica (INTRASTAT), riguardo ai beni ceduti e ai beni acquistati. A partire dagli elenchi riferiti a periodi decorrenti dal mese di giugno 2018, contenute nei modelli Intra beni acquistati (INTRA – 2 Bis) e Intra servizi acquistati (INTRA - 2 Quater) sono rese per finalità statistiche.

Con riferimento alle operazioni poste in essere a partire dal 1° gennaio 2022, in virtù di quanto previsto dalla Determinazione n. 493869/RU, del 23 dicembre 2021 l’Agenzia delle Entrate, di concerto con l’Agenzia delle Dogane e d’intesa con l’ISTAT, ha adottato misure di semplificazione degli obblighi comunicativi dei contribuenti in relazione agli elenchi riepilogativi delle operazioni intracomunitarie (c.d. Modelli INTRA), in attuazione dell’art 50, comma 6, del Dl n. 331/1993, come modificato dall’art 13, comma 4-quater, del Dl n. 244/2016, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 19/2017;  gli obblighi in materia sono sintetizzati nelle schede “FORMALITA’ INTRASTAT”.

La  Comunicazione dell’Agenzia delle Dogane n. 18558 del 20/02/2018, afferma che:
“Ai fini del calcolo della periodicità di presentazione dei Modelli INTRA, la citata Determinazione prot. n. 194409 del 25 settembre 2017 ha già chiarito che il nuovo sistema introdotto dalle modifiche normative intervenute in materia richiede, in ordine al superamento della soglia, una verifica effettuata distintamente per ogni categoria di operazioni. Il medesimo provvedimento stabilisce che le soglie operano in ogni caso in maniera indipendente e che il superamento della soglia per una singola categoria non incide sulla periodicità relativa alle altre tre categorie di operazioni;….”.
 



FORMALITA’ INTRASTAT  Cessioni intracomunitarie di beni e di servizi generici

 A)    CESSIONE BENI

CONTRIBUENTI TRIMESTRALI: soggetti che, riguardo alle cessioni intracomunitarie di beni, in nessuno dei 4 trimestri precedenti hanno superato la soglia trimestrale di 50.000 euro; compilano il  Modello Intra 1-bis:  solo dati fiscali (colonne da 1 a 7; la colonna 5 è obbligatoria solo nel caso di operazione triangolare, altrimenti il dato è facoltativo; la compilazione delle colonna 6 e 7 è facoltativa)

CONTRIBUENTI MENSILI: soggetti che, riguardo alle cessioni intracomunitarie di beni, hanno superato tale soglia; occorre distinguere tra due tipologie di soggetti:
•    Soggetti che in nessuno dei quattro trimestri precedenti, hanno realizzato cessioni intracomunitarie di beni per un ammontare totale trimestrale uguale o superiore a 100.000 euro.
•    presentano il modello Intra 1-bis a livello mensile
•    indicando sullo stesso solo i dati fiscali (come i soggetti trimestrali)
•    Soggetti che in uno o più dei quattro trimestri precedenti hanno superato la soglia sopra indicata:
•    presentano il modello Intra 1-bis a livello mensile
•    indicando sullo stesso sia i dati fiscali che i dati statistici


B)    PRESTAZIONI DI SERVIZI GENERICHE RESE

CONTRIBUENTI TRIMESTRALI: soggetti che, riguardo alle prestazioni di servizi,  in nessuno dei 4 trimestri precedenti hanno superato la soglia trimestrale di 50.000 euro; compilano il Modello  Intra 1-Quater: colonne 1, 2, 3, 4, 7 e 10; le altre colonne sono facoltative; unica semplificazione (già introdotta con effetto dal 1° gennaio 2018): codice servizio a 5 cifre

CONTRIBUENTI MENSILI: soggetti che, riguardo alle prestazioni di servizi, hanno superato tale soglia; compilano il Modello  Intra 1-Quater: colonne 1, 2, 3, 4, 7 e 10; le altre colonne sono facoltative; unica semplificazione (già introdotta con effetto dal 1° gennaio 2018): codice servizio a 5 cifre 



FORMALITA' INTRASTAT - Acquisti intracomunitari di beni e di servizi generici

A)    ACQUISTI DI BENI

PERIODICITA’ MENSILE - INTRA ACQUISTI INTRACOMUNITARI DI BENI
•    Soggetti che, in almeno uno dei quattro trimestri precedenti, hanno effettuato un ammontare totale trimestrale di acquisti intracomunitari di beni uguale o superiore a 350.000 euro: sono tenuti a presentare l’Intra 2-bis mensile, ai soli fini statistici;

•    Soggetti che NON raggiungono tale soglia, possono NON presentare il Modello Intra acquisti intracomunitari di beni (1).

Nota (1): Per le operazioni effettuate a partire dal 1° luglio 2022, i dati relativi agli acquisti intracomunitari di beni vengono trasmesse allo SDI tramite il documento TD18.

B)    ACQUISTI DI SERVIZI

PERIODICITA’ MENSILE - INTRA ACQUISTI DI SERVIZI GENERICI
•    Soggetti che, in almeno uno dei quattro trimestri precedenti, hanno effettuato un ammontare totale trimestrale di acquisti di servizi generici (presso fornitori di altro Paese Ue) uguale o superiore a 100.000 euro: sono tenuti a presentare l’Intra 2-Quater mensile, ai soli fini statistici.
•    Soggetti che NON raggiungono tale soglia, possono NON presentare il Modello Intra acquisti di servizi (1)

Nota (1): Per le operazioni effettuate a partire dal 1° luglio 2022, i dati relativi agli acquisti intracomunitari di servizi vengono trasmessi tramite il documento TD17.
 



FORMALITA' INTRASTAT -  Modalità di presentazione modelli

La presentazione degli elenchi trimestrali deve quindi avvenire entro il 25 del mese successivo a quello del trimestre considerato, cioè 25 aprile, 25 luglio, 25 ottobre e 25 gennaio, mentre la presentazione degli elenchi mensili deve avvenire entro il giorno 25 del mese successivo a quello di riferimento.

Se il 25 cade di sabato o in un giorno festivo  di festività nazionale, la scadenza è prorogata al primo giorno feriale successivo.

I modelli Intrastat devono essere presentati esclusivamente in via telematica mediante il STD - Sistema Telematico Doganale o tramite i servizi telematici dell’Agenzia delle Entrate (Entratel o Fisconline).
Nel caso di utilizzo del STD per eseguire tale invio occorre espletare la seguente procedura:
• Accedere al sito dell’Agenzia delle Dogane – Servizio Telematico Doganale – EDI e registrarsi: Istanza di adesione;
• Recarsi presso l’Agenzia delle Dogane competente per territorio al fine di:

• presentare l’istanza di adesione;
• ritirare le “chiavi di accesso” al servizio telematico;
• Scaricare il programma per la compilazione dei modelli Intrastat.

Nel caso utilizzo di ENTRATEL o di FISCONLINE, occorre accedere al sito dell’Agenzia delle Entrate e registrarsi; per le società si deve registrare:
 Il legale rappresentante;
 La società;
 NB: i primi 4 codici dei 2 PIN vengono rilasciati al momento della registrazione; gli altri 6 e la password vengono inviati al contribuente mediante lettera (sia al legale rappresentante che alla società).

 Di seguito sono esposti i modelli da utilizzare nel caso di cessioni e acquisti.

Per le cessioni:

• INTRA 1 Frontespizio - Cessioni intracomunitarie di beni e servizi resi
• INTRA 1 - bis Sezione 1 - Cessioni di beni, registrate nel periodo
• INTRA 1 - ter Sezione 2 - Rettifiche alle cessioni di beni relative a periodi precedenti
• INTRA 1 - quater Sezione 3 - Servizi resi registrati nel periodo
• INTRA 1 - quinquies Sezione 4 - Rettifiche ai servizi resi di periodi precedenti  
• INTRA 1 – sexies Sezione 5 – CALL OFF STOCK
 

 Per gli acquisti:

• INTRA 2 Frontespizio - Acquisti intracomunitari di beni e servizi ricevuti
• INTRA 2 - bis Sezione 1 - Acquisti di beni registrati nel periodo
• INTRA 2 - ter Sezione 2 - Rettifiche acquisti di beni relative a periodi precedenti
• INTRA 2 - quater Sezione 3 - Servizi ricevuti registrati nel periodo
• INTRA 2 - quinquies Sezione 4 - Rettifiche ai servizi ricevuti di periodi precedenti.

 


CESSIONI DI BENI A CLIENTI DI ALTRO PAESE UE (CESSIONI INTRACOMUNITARIE)- Procedura da seguire

Tralasciando in questa sede l’esame delle vendite di mezzi di trasporto nuovi e delle vendite a distanza (oggetto di una specifica guida), nel presente paragrafo ci si sofferma sulle ordinarie cessioni intracomunitarie di beni.
A tale fine occorre distinguere tra due tipologie di operazioni:
• cessioni di beni pronti per l’uso o con installazione / montaggio a carico del cliente;
• cessioni di beni con installazione / montaggio a carico del fornitore.

1)  Cessioni di beni pronti per l’uso o con installazione / montaggio a carico del cliente:

La disciplina delle operazioni in argomento è dettata dall’articolo 138, paragrafo 1, della Direttiva 2006/112/CE e dall’articolo 41/1/a del Dl n. 331/1993.

Per la realizzazione delle cessioni intracomunitarie in argomento devono essere soddisfatti i seguenti requisiti:

• il cedente e l’acquirente devono essere entrambi operatori economici registrati ai fini Iva nei rispettivi Paesi
• l’operazione di cessione deve essere a titolo oneroso
• i beni oggetto della cessione devono essere trasportati in un altro Stato membro UE; il cedente deve raccogliere i documenti di prova idonei a dimostrare tale arrivo (ad esempio: lettera di vettura per trasporto terrestre – CMR munita delle sottoscrizioni e dei timbri del mettente, del vettore e del destinatario; in caso di CMR incompleto, dichiarazione di ricevimento timbrata e sottoscritta dal ricevente, etc.)
•  il cedente deve inserire tali operazioni nel modello Intra 1-bis

Per l’impresa italiana, la procedura operativa è la seguente:

• richiedere il numero di identificazione Iva al cliente estero, verificandone la validità presso l’Agenzia delle Entrate o sul sito internet:   https://www.agenziaentrate.gov.it/portale/it/web/guest/verifica-partita-iva (è necessario stampare e tenere agli atti l’esito dell’avvenuto controllo)
• emettere la fattura di vendita nei confronti del cliente estero, senza applicazione dell’Iva italiana (operazione non imponibile, art. 41, comma 1, lettera a, del DL 331/1993), indicando in fattura il proprio numero identificativo Iva e quello del cliente estero;
• trasmissione dei dati della fattura allo SDI con il codice destinatario XXXXXXX;
• inviare i beni all’estero
• entrare in possesso della documentazione atta a provare che i beni sono stati inviati all’estero e che sono stati ricevuti dal cliente estero (v. riquadro successivo)
• annotare la fattura sul registro delle fatture emesse
• presentare alla dogana, secondo la periodicità e le modalità previste dalla legge, l’elenco delle cessioni intracomunitarie di beni (modelli INTRA 1 e INTRA 1-bis).  
 

Possibili situazioni particolari in sede di controllo del numero identificativo Iva del cliente


Ci si può trovare di fronte, ad esempio, alle seguenti situazioni:
• Numero identificativo valido, ma senza indicazione del soggetto al quale il medesimo appartiene (è, ad esempio, il caso della Germania); in tale evenienza, al momento dell’inizio del rapporto (e della costruzione della relativa anagrafica) è necessario verificare che tale numero appartenga realmente al soggetto che lo ha comunicato; tale verifica può essere compiuta  recandosi all’Ufficio delle Entrate (chiedendo di eseguire la verifica di corrispondenza tra numero identificativo Iva e nominativo del cliente, tenendo agli atti l’esito del riscontro);
 Il cliente è iscritto nell’Archivio VIES, ma nel frattempo il numero identificativo Iva è cambiato e l’impresa italiana non ha tenuto conto di tale cambiamento, continuando a emettere la fattura nei confronti del numero precedente (caso di verifica VIES periodica e non  per singola operazione): tale violazione dovrebbe essere considerata di carattere formale (specie se l’indirizzo del cliente non è cambiato); è necessario presentare il modello Intra 1 ter di rettifica (anche in sede di verifica);
• Il cliente non è ancora presente nel VIES (ad esempio, ha presentato domanda di iscrizione ma non è ancora stato iscritto): 
emissione di fattura con IVA;
• La controparte è stata cancellata dal VIES, ma l’impresa italiana è in grado di comprovare che nel momento di effettuazione dell’operazione (data partenza merce, salvo anteriore emissione della fattura) era iscritta nel VIES; nessun problema; in caso contrario, secondo l’orientamento dell’ Agenzia delle Entrate è dovuto il pagamento dell’Iva, delle sanzioni e degli interessi;
• Errata indicazione in fattura del numero identificativo Iva del cliente (ad esempio: errore compiuto in sede di inserimento del numero nell’anagrafica del cliente): errore formale; 

  

Prova dell’avvenuto arrivo della merce nel Paese estero  

Le prove di cessione intracomunitaria sono attualmente disciplinate  dal Regolamento di esecuzione UE 2018/1912 del 4 dicembre 2018 del Consiglio dell’Unione Europea, il quale, inserendo l’art. 45-bis nel Regolamento UE n. 282/2011, con effetto dal 1° gennaio 2020,  ha individuato i documenti attraverso i quali gli operatori possono dimostrare l’avvenuto trasporto o spedizione dei beni in altro Stato dell’Unione Europea.
Il Regolamento è stato oggetto di chiarimenti immediati da parte della Commissione UE – Direzione generale fiscalità e unione doganale (DG TAXUD) con la pubblicazione nel mese di dicembre 2019 delle “Note esplicative riguardanti le modifiche del sistema dell'IVA nell'UE relative al regime di call-off stock, alle operazioni a catena e all'esenzione delle cessioni intracomunitarie di beni”. 
Inoltre, a distanza di cinque mesi dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni, l’Agenzia delle Entrate ha pubblicato la circolare n. 12/E del 12 maggio 2020 con la quale, per la prima volta, è stato affrontato il tema della prova delle cessioni intracomunitarie attraverso un documento di prassi di portata ampia e generalizzata, fornendo indicazioni essenziali riguardo al coordinamento della normativa nazionale con le nuove disposizioni europee.
Nel caso in cui l’impresa venditrice italiana non riesca a raccogliere i mezzi di prova previsti dal citato articolo 45-bis del suddetto Regolamento n. 282/2011, il che accade normalmente nel caso di cessione dei beni con trasporto a carico del cliente estero, la medesima è abilitata a fornire la prova secondo le modalità previste dalle Risoluzioni emesse dall’Agenzia delle Entrate, a partire dal 2007.
Particolarmente importante al riguardo risulta essere la dichiarazione di ricevimento della merce da parte del cliente estero; essa ha formato oggetto della Risposta a interpello Agenzia Entrate dell’8.4.2019 n. 100.

Sintetizzando quanto sopra esposto:
•    nel caso di trasporto a carico dell’impresa italiana cedente (ad esempio: vendita con resa CPT o DAP), la stessa è normalmente in grado di comprovare l’arrivo della merce a destino: essa è infatti in possesso della fattura del vettore o dello spedizioniere, del documento di pagamento di tale fattura; nel caso di rapporto diretto con il vettore essa è mittente del contratto di trasporto e quindi può con relativa facilità entrare in possesso del CMR completo o di un CMR incompleto (in quanto privo del timbro e della sottoscrizione da parte del cliente) da integrare con la dichiarazione di ricevimento emessa dal cliente su richiesta dell’impresa cedente;
•    nel caso, invece, di trasporto a carico del cliente (ad esempio: vendita con resa EXW o FCA), l’impresa venditrice italiana NON è mittente del contratto di trasporto; essa deve attivarsi, spesso con difficoltà, per ricevere il CMR completo o incompleto integrato con la dichiarazione di ricevimento da parte del cliente e di ulteriore documentazione probatoria;
•    nel caso di spedizioni a mezzo corriere espresso, la prova di arrivo della merce a destinazione può essere ottenuta a mezzo del tracking number, da attivare in tempi ravvicinati rispetto alla spedizione;
•    nel caso di spedizioni di prodotti sottoposti ad accisa in regime sospensivo, con partenza da deposito fiscale ed emissione dell’e-AD, la nota di ricevimento costituisce una valida prova di ricevimento dei prodotti (Risposta a interpello n. 146 del 22 marzo 2022).  

 
2) Cessioni di beni con installazione / montaggio a carico del fornitore:

La disciplina delle operazioni in argomento è dettata dall’articolo 36 della Direttiva 2006/112/CE e dall’articolo 41/1/c del Dl n. 331/1993.

Tali operazioni:
• Sotto il profilo della normativa Iva italiana, sono operazioni non imponibili che concorrono alla formazione del volume d’affari e del plafond;
• Sotto il profilo della normativa Iva comunitaria e di quella del Paese di installazione/montaggio sono operazioni interne a tale ultimo Paese.

Alla luce delle considerazioni sopra esposte, il trattamento Iva dell’operazione considerata dipende dalla natura del cliente (operatore economico / consumatore finale) e dalla sua localizzazione.

Occorre distinguere tra due ipotesi:
• Committente soggetto passivo d’imposta stabilito nel Paese di installazione /montaggio: in genere, si applica la procedura del reverse charge (assolvimento dell’Iva da parte del cliente); in ambito Ue, solo la Germania (limitatamente ai beni che NON entrano fisicamente a far parte stabilmente di beni immobili), la Grecia e il Lussemburgo (ed entro certi limiti, la Slovenia) prevedono l’obbligo di apertura della posizione Iva in loco da parte del fornitore (italiano);
• Committente consumatore finale (o soggetto estero NON stabilito e NON identificato nel Paese di installazione / montaggio): l’impresa italiana deve aprire una posizione Iva nel Paese considerato (in via diretta o a mezzo rappresentante fiscale) e deve emettere fattura con applicazione dell’Iva di tale Paese.
 



DUE ESEMPI PRATICI

1) Impresa italiana vende un impianto di climatizzazione (che entra stabilmente a far parte di un bene immobile)  a impresa tedesca con installazione e montaggio presso lo stabilimento dell’impresa tedesca a carico dell’impresa fornitrice italiana.
RISPOSTA
L’impresa italiana invia le componenti dell’impianto al cantiere aperto presso l’impresa tedesca  e ne cura l’installazione e montaggio.
L’impresa italiana:

  • Verifica che il numero identificativo Iva comunicato dall’impresa tedesca sia valido e che corrisponda all’impresa tedesca stessa;
  • Emette fattura per operazione non imponibile articolo 41/1/c del Dl n. 331/1993 nei confronti dell’impresa tedesca;
  • Presenta il Modello intra 1bis nei confronti dell’impresa tedesca;
  • Tiene agli atti la documentazione che comprova che l'impianto è stato realmente inviato in Germania (ad esempio,  facendosi inviare dal cliente tedesco copia del CMR con timbro e firma del cliente tedesco).
  • L'impresa tedesca, in Germania, svolge la procedura di reverse charge (assoggettando l'operazione all'IVA tedesca)

2) Impresa italiana vende una cucina componibile a un cliente consumatore finale francese e si impegna a montarla presso l’abitazione del cliente in Francia (direttamente o avvalendosi di montatori esterni).
RISPOSTA
L’impresa italiana deve aprire una posizione Iva in Francia (in genere a mezzo: MANDATAIRE FISCAL) e deve emettere fattura con applicazione dell’Iva francese.
Ai fini dell’Iva italiana, l’operazione è non imponibile articolo 41/1/c del Dl n. 331/1993.
E’ possibile emettere una fattura che assolva gli obblighi previsti in entrambi i Paesi:
• Ai fini dell’Iva italiana, il corrispettivo è non imponibile ai sensi dell’articolo 41/1/c;
• Ai fini dell’Iva francese, occorre applicare l’Iva francese del 20%.
E’ anche possibile emettere due fatture distinte.

Esempio di fattura “bivalente”:
Fornitura di cucina componibile a consumatore finale francese, con installazione / montaggio in Francia a cura del fornitore:
• corrispettivo cucina                             10.000 euro
 “operazione non imponibile, articolo 41/1/c, del Dl n. 331/1993”
• Iva francese 20%                                2.000 euro (1)
                                                               --------------------
Totale a nostro avere                           12.000 euro
                                                               ============
Nota (1): ai fini Iva italiani, l’Iva francese costituisce una somma fuori campo Iva.   


ACQUISTO DI BENI DA FORNITORI DI ALTRO PAESE UE - ACQUISTI INTRACOMUNITARI - Procedura da seguire

Anche riguardo all’acquisto di beni presso fornitori di altro Paese Ue occorre operare la distinzione tra due tipologie di operazioni:
• Acquisti di beni pronti per l’uso o con installazione / montaggio a carico dell'acquirente;
• Acquisti di beni con installazione / montaggio a carico del fornitore.

1)  Acquisti di beni pronti per l’uso o con installazione / montaggio a carico dell'acquirente

L’acquisto di beni  presso impresa di altro Paese UE, con arrivo degli stessi da tale Paese o da altro Paese UE, è definito acquisto intracomunitario.
Per la realizzazione degli acquisti intracomunitari devono essere soddisfatti i seguenti requisiti:

• acquisto a titolo oneroso
• trasporto o spedizione dei beni in Italia da un altro Paese UE
• operazione posta in essere tra due soggetti passivi d’imposta identificati ai fini dell’Iva uno nel Paese di partenza della merce e l’altro nel Paese di arrivo della stessa.

Per l’impresa italiana la procedura operativa è la seguente:

  • comunicare il proprio numero identificativo Iva per gli scambi intracomunitari (IT + partita Iva) al fornitore estero
  • controllare sul sito dell'Agenzia delle Entrate l'esistenza del numero identificativo Iva del fornitore estero
  • ricevere la merce (secondo le condizioni concordate tra le parti)
  • ricevere la fattura estera
  • numerare e integrare la fattura estera (con modalità cartacea o elettronica) e determinare la base imponibile e l’Iva corrispondente
  • annotare la fattura estera integrata sul registro fatture emesse e sul registro degli acquisti
  • conservare copia della documentazione atta a provare l’arrivo della merce in Italia (ad esempio il documento di trasporto)
  • trasmettere allo SDI il documento TD18
  • presentare alla dogana, secondo la periodicità e le modalità previste dalla legge, al supero delle soglie previste e ai soli fini statistici, l’elenco degli acquisti intracomunitari di beni (modelli Intra 2 e Intra 2-bis).

2)  Acquisti di beni con installazione / montaggio a carico del fornitore

L’operazione considerata non è classificabile come acquisto intracomunitario di beni; si tratta, invece, di un acquisto interno all’Italia (come previsto dall’articolo 7-bis del Dpr n. 633/1972).

Occorre distinguere tra due ipotesi:
 Committente soggetto passivo d’imposta stabilito in Italia: il committente italiano espleta la procedura di reverse charge (articolo 17, comma 2, del Dpr n. 633/1972) e, al supero delle soglie previste,  presenta il modello Intra 2-bis ai soli fini statistici, con riferimento all’intero valore dell’operazione; egli trasmette, inoltre, allo SDI il documento TD19;
• Committente consumatore finale (o soggetto NON residente NON stabilito in Italia): obbligo di identificazione ai fini Iva in Italia da parte del fornitore estero, con emissione di fattura con Iva italiana nei confronti del committente.

PARTECIPAZIONE A FIERE IN PAESI UE

Nel caso in cui un’impresa italiana partecipi ad una fiera o ad altra manifestazione commerciale all’estero, possono delinearsi le seguenti situazioni:

• fiere e altre manifestazioni commerciali, con ritorno della merce in Italia

• fiere e altre manifestazioni commerciali, con attività di vendita in loco.

Nel caso di partecipazione a fiere e altre manifestazioni commerciali di sola esposizione, con ritorno dei prodotti in Italia, l’impresa italiana deve annotare i beni inviati all’estero sull’apposito registro di carico/scarico di cui all’art. 50, comma 5, del DL 331/1993.

Al momento del rientro degli stessi essa deve procedere a eseguire l’annotazione di scarico.

Nel caso di invio in fiera di prodotti  sottoposti ad accisa (ad esempio, vino e altre bevande alcoliche), l’impresa italiana deve svolgere anche le formalità previste ai fini delle accise, appoggiando (normalmente) l’arrivo della merce nel Paese estero su un deposito accise o su un destinatario registrato di tale Paese, idoneo ad adempiere agli obblighi accise previsti dalla normativa locale.

Al momento del ritorno in Italia dei prodotti  sottoposti ad accisa, occorre appoggiare la spedizione degli stessi su un deposito autorizzato sito nel Paese estero con invio ad un deposito autorizzato italiano o ad un destinatario registrato italiano. Nel caso dei piccoli produttori di vino risulta essere tollerato il ritorno in Italia dei prodotti direttamente presso la cantina del produttore.

In merito a vino e bevande alcoliche, si può consultare la guida della collana Unione europea. Istruzioni per l’uso, Vendere vino e bevande alcoliche in Italia e all’estero, disponibile on line all'indirizzo: http://www.to.camcom.it/guideUE

Nel caso di partecipazione a fiere e altre manifestazioni commerciali, con attività di vendita in loco si delinea la seguente procedura:

La vendita di prodotti durante la manifestazione fieristica (specie nel caso di vendita a consumatori finali) comporta normalmente l’obbligo di apertura di una posizione Iva nel Paese della manifestazione.
L’impresa italiana, riguardo ai prodotti venduti durante la manifestazione, deve emettere fattura, al costo, dalla posizione Iva italiana a quella del Paese UE di destino (operazione non imponibile, art. 41, comma 2, lettera c, del DL 331.

Nel Paese della manifestazione:

• se la vendita viene eseguita a favore di consumatori finali occorre applicare l’Iva di tale Paese
• se la vendita viene eseguita a favore di soggetti passivi d’imposta stabiliti in tale Paese, occorre emettere fattura con  applicazione dell’Iva dello stesso o emettere fattura senza Iva nel caso in cui la normativa locale preveda il meccanismo del reverse charge interno.

 

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07/09/2023 - 08:52

Aggiornato il: 07/09/2023 - 08:52

3.1.2 - Merce inviata a / ricevuta da Paesi extra-UE


3.1.2  Merce inviata a / ricevuta da Paesi extra-UE

Le operazioni commerciali con i Paesi extra-UE si distinguono in:

• esportazioni 
• importazioni.

Tali operazioni comportano l’espletamento di formalità doganali, ossia dichiarazioni di esportazione/importazione:

• per i beni esportati:

- in uscita dall’Italia (a cura e a nome dell’impresa italiana)
- in entrata nel Paese di destinazione (a cura e a nome dell’acquirente estero)

• per i beni importati:

- in uscita dal Paese estero (a cura e a nome del fornitore estero)
- in entrata in Italia (a cura e a nome dell’impresa italiana).

In ottemperanza a quanto previsto dalle disposizioni del Codice Doganale dell’Unione (CDU – Regolamento 952/2013), entrate in vigore il 1° maggio 2016,  l'Agenzia delle dogane (ADM) negli anni successivi ha avviato un processo di reingegnerizzazione del sistema informativo relativo stabilendo di applicare il modello di dati definito a livello unionale, denominato EUCDM (European Union Customs Data Model).

Questo processo ha dapprima interessato le dichiarazioni di importazione; per queste a partire dal 30 novembre 2022, è stato soppresso il vecchio messaggio IM, essendo sostituito dai nuovi messaggi/tracciati da H1 a H7.  Verso la fine del 2023, dovrebbero entrare in vigore i nuovi tracciati riguardo alle operazioni di esportazione.

La merce in esportazione viene, attualmente, accompagnata dal DAE (Documento Accompagnamento Esportazione) emesso dalla dogana di esportazione, recante indicato (anche con codice a barre) il MRN (Movement Reference Number).

Le formalità doganali devono essere espletate:

• sia nel caso in cui a inviare/ricevere i beni (a titolo oneroso o a titolo gratuito) sia un privato consumatore
• sia nel caso in cui a inviare/ricevere i beni (a titolo oneroso o a titolo gratuito) sia un operatore economico.


La vendita di beni a imprese con sede al di fuori del territorio UE, con invio degli stessi fuori del territorio UE, è definita cessione all’esportazione.

La procedura operativa è la seguente:

• l’impresa italiana emette fattura nei confronti del cliente estero, senza applicare l’Iva (operazione non imponibile ai sensi dell’art. 8, comma 1, lettera a, del Dpr 633/1972, oppure operazione non imponibile articolo 8, comma 1, lettera b, del Dpr 633/1972 a seconda che il trasporto della merce all’estero sia a carico del venditore o dell’acquirente;
• i beni vengono dichiarati per l’esportazione definitiva sulla base del valore risultante dalla fattura di vendita
• l’impresa italiana esportatrice annota la fattura di vendita in contabilità generale e nel registro Iva delle fatture emesse
• l’impresa italiana comprova l’avvenuta esportazione (con fuoriuscita dei beni dal territorio Ue) mediante il risultato positivo di uscita ottenuto interrogando mediante MRN il sito dell’Agenzia delle Dogane; in caso di mancata chiusura dell’MRN (e cioè di mancanza della prova di uscita) l’impresa italiana deve attivarsi per procurarsi delle prove alternative (ad esempio, bolletta di importazione emessa dalla Dogana del Paese estero vistata da tale Dogana, a condizione che la stessa sia raccordabile alla fattura e alla restante documentazione predisposta dall’impresa italiana. Ove tale ricerca non dia risultati positivi non resta che regolarizzare l’operazione con applicazione dell’Iva e con il pagamento delle sanzioni e degli interessi  di ritardato versamento (procedura di ravvedimento operoso di cui all’articolo 13 del D.Lgs. n. 472/1997).

L’acquisto di beni da imprese con sede al di fuori del territorio UE, con arrivo degli stessi da Paese extra-UE, è definito importazione.

La procedura operativa è la seguente:

• i beni vengono dichiarati per l’importazione definitiva, sulla base del valore risultante dalla fattura di acquisto (opportunamente rideterminato ai fini doganali) e vengono pagati l’eventuale dazio e l’Iva (quest’ultima non viene pagata ove venga presentata dichiarazione d’intento);
• l’impresa italiana annota la fattura estera in contabilità generale
• l’impresa italiana scarica dal sito dell’Agenzia delle Dogane il “Prospetto di riepilogo ai fini contabili” e lo annota nel registro Iva acquisti,  considerando l’Iva quale credito verso l’erario (salvo il caso dei beni con Iva indetraibile).

ESEMPIO ACQUISTO (importazione)

Acquisto merce a New York per il prezzo di 10.000 euro

Polizza di carico con destinazione Genova : Costo del trasporto marittimo e dell’assicurazione 1.000 euro

Dazio 6%

Iva 22%

Valore della merce 10.000 euro

Spese di trasporto e assicurazione 1.000 euro

Valore franco frontiera comunitaria 
(base imponibile ai fini del dazio) 11.000 euro

Dazio 6% 660 euro

Base imponibile Iva 11.660 euro

Iva 22% 2.565,20 euro
 
Totale 14.225,20 euro

 

In breve:

Nel caso di importazione di beni provenienti da Paesi extra-UE, l’impresa italiana deve:

• espletare le formalità di importazione presso la dogana italiana
• versare l’Iva in dogana sul valore dei beni importati, salvo presentazione di dichiarazione d’intento
• recuperare l’Iva all’atto dell’annotazione del Prospetto di riepilogo ai fini contabili nel registro Iva degli acquisti (considerandola cioè Iva a credito, salvo il caso di beni con Iva indetraibile).

Nel caso di acquisto intracomunitario di beni, l’impresa italiana:

• non deve espletare alcuna formalità in dogana
• non deve versare l’Iva
• deve espletare le formalità di carattere contabile e, al supero delle soglie previste, presentare, secondo la periodicità prevista, ai soli fini statistici, l’elenco degli acquisti intracomunitari
• deve trasmettere allo SDI dell’Agenzia delle Entrate il documento TD18.
 

Nel caso di esportazione di beni diretti verso Paesi extra-UE, l’impresa italiana deve espletare le formalità di esportazione presso la dogana italiana. Nel caso di cessione intracomunitaria di beni, invece, deve espletare le formalità di carattere contabile e presentare, secondo la periodicità prevista, l’elenco delle cessioni intracomunitarie.



Partecipazione a FIERE in Paesi extra-UE

 

Nel caso in cui un’impresa italiana partecipi ad una fiera o ad altra manifestazione commerciale in Paesi extra-UE, possono delinearsi le seguenti situazioni:

• fiere e altre manifestazioni commerciali, con ritorno della merce in Italia
• fiere e altre manifestazioni commerciali, con attività di vendita in loco.

Nel primo caso, riguardo ai prodotti inviati in Paesi extra-UE, se possibile, viene adottata la procedura del Carnet ATA (si veda il paragrafo 3.2); in caso contrario, occorre utilizzare la procedura della temporanea esportazione (dall’Italia) e della temporanea importazione (nel Paese di destino), con chiusura delle stesse al rientro dei prodotti in Italia.

Nel caso di partecipazione a fiere e altre manifestazioni commerciali, con attività di vendita in loco si delinea la seguente procedura:

Sotto il profilo della normativa italiana i prodotti vengono normalmente esportati in temporanea (non essendo applicabile in tale situazione la procedura del Carnet ATA).
Nel Paese di destino, a seconda della normativa locale, possono essere previsti adempimenti in capo all’impresa italiana venditrice (ad esempio: pagamento in dogana dei dazi, dell’Iva e/o di altre eventuali imposte, identificazione ai fini delle imposte locali, ecc.); è necessaria una verifica preventiva caso per caso.

 

Il meccanismo del PLAFOND

La normativa IVA consente di detassare in modo integrale il prodotto inviato all’estero (tale prodotto verrà assoggettato alle imposte nel Paese di arrivo).
Conseguenza: le imprese che presentano un elevato ammontare di fatturato con l’estero, in base a tale meccanismo tenderebbero a generare consistenti crediti Iva.
Soluzione: Nel rispetto di una specifica procedura, è possibile evitare tale inconveniente acquistando beni e servizi presso fornitori italiani senza applicazione dell’Iva e importando beni da Paesi extra Ue senza applicazione dell’Iva (istituto del cd. “Plafond”).

Alcune caratteristiche di tale istituto:
• Condizioni soggettive per potersi avvalere del beneficio: Status di esportatore agevolato (cessioni all’esportazione dirette e cessioni intracomunitarie > 10% del volume d’affari, opportunamente rideterminato; se nel 2017 l’impresa ha superato tale soglia, nel 2018 la stessa ha la possibilità di acquistare beni e servizi senza applicazione dell’Iva nel limite nel plafond creato nel 2017)
• Beni e servizi  acquistabili senza Iva: tutti i beni e i servizi esclusi i fabbricati, le aree fabbricabili e i beni e servizi con Iva non detraibile; salvo per le imprese di trasporto di persone o di cose, il plafond non può essere utilizzato per l’acquisto di carburanti per autotrazione;
• Costituzione  del plafond: fatture emesse relative a operazioni effettuate in un determinato anno solare; l'ammontare del plafond si desume dal Quadro VE della dichiarazione Iva annuale (rigo VE30).
NB: non concorrono a formare il plafond le fatture relative a operazioni senza corrispettivo (Circolare n. 156 del 15 luglio 1999).
 
Utilizzazione del plafond: in base alla data di effettuazione delle operazioni (articolo 6 del Dpr n. 633/1972); 

Aspetti procedurali

ACQUISTI SUL MERCATO INTERNO
Il soggetto che intende avvalersi del plafond per acquisti presso fornitori italiani:

•    carica nel sistema la dichiarazione d’intento ed esegue l’invio telematico della stessa all’Agenzia delle Entrate; 
•    riceve la ricevuta telematica;
•    per maggior prudenza, avverte il fornitore mediante e-mail circa l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento, ricordandogli che la stessa è visibile nel suo cassetto fiscale;
•    memorizza in forma libera gli utilizzi del plafond e fornisce i dati all’Amministrazione finanziaria, se ne viene fatta richiesta
•    In sede di dichiarazione Iva compila l’apposito Quadro VC-VD

Il fornitore nazionale:
•    Riceve l’eventuale comunicazione del cliente circa l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento;
•    Verifica ogni giorno nel suo cassetto fiscale l’eventuale ricevimento di dichiarazioni d’intento;
•    riscontra telematicamente l’avvenuta presentazione della dichiarazione d’intento all’Agenzia delle Entrate (stampa l’esito del riscontro e lo tiene agli atti); solo dopo aver eseguito tale riscontro egli è abilitato ad emettere fattura senza applicazione dell’Iva; in caso di ritardato riscontro, sanzione articolo 7 del D.Lgs. n. 471/1997;
•    per le operazioni effettuate successivamente al ricevimento della dichiarazione del cliente e del suo conseguente riscontro telematico, una volta verificato che il plafond comunicato dal cliente sia ancora capiente, emette fattura senza applicazione dell’Iva, citando gli estremi della dichiarazione d’intento (“Operazione non imponibile articolo 8/1/c del Dpr n. 633/1972, come da Vostra dichiarazione d’intento protocollo ………. ); per le operazioni di importo superiore a 77,47 euro occorre assolvere l’imposta di bollo di 2 euro (pagamento virtuale);

IMPORTAZIONI PRESSO DOGANA ITALIANA
•    Il soggetto che intende avvalersi del plafond:
–    carica nel sistema la dichiarazione d’intento ed esegue l’invio telematico della stessa all’Agenzia delle Entrate;
–    riceve la ricevuta telematica;
–    comunica allo spedizioniere doganale gli estremi della dichiarazione d’intento, in modo che il medesimo ne tenga conto in sede di compilazione della dichiarazione di importazione;
•    La Dogana:
–    accetta la dichiarazione di importazione senza applicazione dell’Iva.



Lo status europeo di Operatore Economico Autorizzato (AEO): opportunità di semplificazioni per operazioni con Paesi terzi 

 

Dal 1° gennaio 2008 nei 27 Stati membri dell’UE sono entrate in vigore le novità introdotte dai Regolamenti CE 648/2005 e 1875/2006 che modificano, rispettivamente, il Codice Doganale Comunitario e le Disposizioni di Applicazione del Codice in merito al rilascio agli operatori economici che ne faranno richiesta di un certificato AEO.
Gli operatori economici nella catena logistica internazionale sono fabbricanti, esportatori, speditori/imprese di spedizione, depositari, agenti doganali, vettori, importatori, che prendono parte ad attività disciplinate dalla regolamentazione doganale.
Lo status di AEO è riconosciuto a seguito di apposito accertamento dell’Autorità doganale nazionale (per l’Italia è l’Agenzia delle Dogane), che comprova il rispetto degli obblighi doganali, dei criteri previsti per il sistema contabile e della solvibilità finanziaria.
L’operatore economico non è obbligato a divenire Operatore Economico Autorizzato: si tratta di una scelta individuale, che dipende dalle condizioni operative di ciascun soggetto. Il riconoscimento dello status di AEO consente però di avvalersi di vantaggi e agevolazioni di natura diretta ed indiretta relativamente alle operazioni a rilevanza doganale. Tra i vantaggi diretti si segnala: maggiore rapidità delle procedure alle frontiere, riduzione dei controlli documentali e delle merci, trattamento prioritario delle spedizioni.
Informazioni dettagliate sono disponibili sul sito dell’Agenzia delle Dogane nella sezione AEO:  
https://www.agenziadoganemonopoli.gov.it/portale/dogane/operatore/operatore-economico-autorizzato-aeo/conosci-aeo



Prodotti tecnologici a duplice uso (dual use)

 

Per prodotti a duplice uso - dual use - si intendono quelle merci che, per le loro caratteristiche tecniche e costruttive, potrebbero essere suscettibili, oltre al normale uso civile e pacifico, anche di una utilizzazione di tipo militare e/o a scopo terroristico.
In ragione di accordi e decisioni prese in sede ad organizzazioni internazionali, quali ad esempio l’ONU e l’Unione europa, sono state emanate norme che vietano o comunque assoggettano a rigoroso controllo l’esportazione di questa tipologia di prodotti verso determinati Paesi, onde contrastarne la destinazione finale se sospettabile di utilizzo non pacifico.
In particolare l’Unione europea, nel quadro della politica estera e di sicurezza comune, ha emanato norme che, nel tempo, si sono sostituite alle discipline nazionali, tanto che oggi ci si può riferire pressoché esclusivamente a norme di rango comunitario.
Le principali fonti normative a riguardo sono reperibili rispettivamente:
Legislazione europea: 
https://policy.trade.ec.europa.eu/help-exporters-and-importers/exporting-dual-use-items_en
Legislazione nazionale:
l’ente competente in Italia in tema di autorizzazioni nel caso di prodotti dual use è l’UAMA:
https://www.esteri.it/it/ministero/struttura/uama/

Le principali categorie merceologiche che potrebbero essere interessate dalla disciplina in discorso sono:
• software
• circuiti integrati
• libri, riviste, pubblicazioni, cataloghi commerciali e pubblicitari, materiale stampato in generale
• materie plastiche di qualsiasi tipologia
• lavorati ceramici
• strumenti di ottica, per fotografia, cinematografia, di misura, di controllo, di precisione e relative parti
• prodotti delle industrie chimiche, farmaceutiche e delle industrie connesse
• metalli e lavori di metalli. Prodotti finiti e semilavorati
• macchine ed apparecchi in generale, materiale elettrico, apparecchi per la registrazione del suono e delle immagini, apparecchi per la televisione e loro parti, macchine per l'elaborazione dell'informazione e loro parti
• materiale da trasporto (veicoli, vetture, per navigazione marittima o area) e relative parti.

Al fine di verificare se i propri beni possano essere considerati di uso duale, l’operatore ha un primo input a fronte del richiamo che si può rinvenire consultando la Tariffa doganale sul sito dell’Agenzia delle Dogane: https://aidaonline7.adm.gov.it/nsitaricinternet/
(selezionare Consultazione/Misure/Taric/Per Paese)  

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03/11/2023 - 22:13

Aggiornato il: 03/11/2023 - 22:13

3.1.3 - Prestazione servizi generici nei rapporti con l'estero


I servizi generici, nei rapporti B2B, sono una (grande) categoria residuale; si tratta dei servizi diversi dai servizi specifici (in deroga).
I servizi generici, nei rapporti B2B, si considerano effettuati nel Paese del committente.
 
I servizi specifici sono costituiti dalle seguenti tipologie di servizi, con le relative regole di territorialità:
• Servizi relativi a beni immobili: luogo di esistenza del bene
• Prestazioni di trasporto di passeggeri: distanza percorsa
• Servizi di ristorazione e catering: luogo di materiale esecuzione
• Prestazioni di ristorazione e di catering materialmente rese a bordo di una nave, di un aereo o di un treno nel corso della parte di un trasporto di passeggeri effettuata all'interno della Comunità: luogo di partenza del trasporto di passeggeri;
• Servizi di locazione, anche finanziaria, noleggio e simili, a breve termine, di mezzi di trasporto: luogo di effettiva messa a disposizione del mezzo di trasporto;
• Servizi di accesso alle prestazioni di servizi culturali, artistici, sportivi, scientifici, educativi, ricreativi e simili ivi comprese fiere ed esposizioni: luogo di materiale esecuzione della manifestazione

SERVIZI GENERICI RESI
Occorre distinguere le prestazioni di servizi generici come segue:

Servizi generici resi ad altri operatori economici italiani:
L’operazione si considera effettuata in Italia (Paese del committente), ai sensi dell’articolo 7-ter, comma 1, lettera a), Dpr n. 633/1972;
L’operazione si considera effettuata all’atto dell’incasso totale o parziale del corrispettivo (in caso di incasso parziale, per la parte incassata), salvo che anteriormente venga emessa fattura;

Servizi generici resi a operatori economici esteri:
L’operazione si considera effettuata all’estero (Paese del committente), ai sensi dell’articolo 7-ter, comma 1, lettera a), Dpr n. 633/1972;

L’operazione si considera effettuata nei seguenti momenti:

•    servizi singoli: all’atto dell’ultimazione della prestazione;
•    servizi continuativi o periodici: all’atto della maturazione dei corrispettivi;
•    In entrambe le situazioni, in caso di incasso anticipato in tutto o in parte del corrispettivo, l’operazione si considera effettuata all’atto dell’incasso (per la parte incassata).

In particolare, riguardo ai servizi generici resi a operatori economici esteri occorre distinguere tra:
•    Servizi resi nei confronti di operatori economici di altro Paese Ue: 
–    emissione fattura, con indicazione nella stessa della dicitura: “operazione non soggetta articolo 7-ter, comma 1, lettera a), Dpr n. 633/1972 - INVERSIONE CONTABILE”; 
–    assoggettamento della fattura a imposta di bollo di 2 euro se l’operazione è di importo superiore a 77,47 euro;
–    obbligo di presentazione Modello Intra servizi; 
–    invio fattura allo SDI con codice destinatario XXXXXXX;

•    Servizi resi nei confronti di operatori economici di Paese extra Ue:
–     emissione fattura, con indicazione nella stessa della dicitura: “OPERAZIONE NON SOGGETTA articolo 7-ter, comma 1, lettera a), Dpr n. 633/1972”; 
–    assoggettamento della fattura a imposta di bollo di 2 euro se l’operazione è di importo superiore a 77,47 euro;
–    invio fattura allo SDI con codice destinatario XXXXXXX

TERMINI DI FATTURAZIONE E DI REGISTRAZIONE

Occorre distinguere tra le seguenti situazioni:

•       Fattura emessa nei confronti di operatore economico italiano (1): 
–    Termine di emissione (e di trasmissione allo SDI): entro 12 giorni dal giorno di effettuazione dell’operazione, con indicazione della data di effettuazione dell’operazione; possibilità di fatturazione differita, nel rispetto delle regole previste;
–    Termine di registrazione: entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione e con riferimento al mese di effettuazione dell’operazione;


•     Fattura emessa nei confronti di operatore economico estero (non importa se di Paese Ue o extra Ue): 
–    Termine di emissione: entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell'operazione;
–    Termine di registrazione: entro il termine di emissione e con riferimento al mese di effettuazione dell’operazione.
Nota (1): nel caso di fatturazione differita la fattura deve essere emessa entro il giorno 15 del mese successivo a quello di riferimento.
 


SERVIZI GENERICI ACQUISTATI

Occorre distinguere le prestazioni di servizi come segue:

Servizi generici acquistati da fornitori italiani

• L’operazione si considera effettuata in Italia (Paese del committente);
• L’operazione si considera effettuata all’atto del pagamento totale o parziale del corrispettivo (in caso di pagamento parziale, per la parte pagata), salvo che anteriormente venga emessa fattura (nel qual caso vale la data della fattura);

Servizi generici acquistati da operatori economici esteri:
• L’operazione si considera effettuata in Italia (Paese del committente);
• L’operazione si considera effettuata:
•  servizi singoli: all’atto dell’ultimazione della prestazione;
•  servizi continuativi o periodici: all’atto della maturazione dei corrispettivi;
• In entrambe le situazioni, in caso di pagamento anticipato in tutto o in parte del corrispettivo, l’operazione si considera effettuata all’atto del pagamento (per la parte pagata).

In particolare, riguardo ai servizi resi da operatori economici esteri occorre distinguere tra:
•    Servizi resi da operatori economici di altro Paese Ue:
–    Se la fattura viene ricevuta entro il secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, si procede a numerare e a integrare la stessa (con modalità cartacea o elettronica) e a registrarla nel registro fatture emesse entro il giorno 15 del mese successivo a quello di ricezione della fattura, e con riferimento al mese precedente (mese di ricezione della fattura); essa deve essere altresì annotata nel registro acquisti. Occorre altresì provvedere alla trasmissione del modello TD17 allo SDI.
–    Se la fattura non perviene entro il suddetto termine occorre emettere autofattura ai sensi dell’articolo 46, comma 5, del Dl n. 331/1993 (con modalità cartacea e elettronica) indicando sulla stessa la dicitura AUTOFATTURAZIONE e occorre trasmettere allo SDI il documento TD20. Tale autofattura deve essere emessa entro il 15 del mese successivo (terzo mese) e deve essere annotata entro il termine di emissione e con riferimento al mese precedente (secondo mese); sul piano pratico, molte imprese emettono tale autofattura entro la fine del secondo mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione.

–    Al supero della soglia prevista occorre presentare, ai fini fini statistici, il modello Intra servizi

•    Servizi resi da operatori economici di Paese extra Ue: 
–    Occorre emettere autofattura entro il giorno 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell'operazione (con modalità cartacea e elettronica), indicando sulla stessa la dicitura AUTOFATTURAZIONE, ed occorre annotarla entro il termine di emissione e con riferimento al mese di effettuazione dell’operazione. 
–    Occorre provvedere alla trasmissione del modello TD17 allo SDI.
 

 

 

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05/09/2023 - 17:32

Aggiornato il: 05/09/2023 - 17:32

3.2 - I documenti per le operazioni commerciali con l’estero


3.2 I documenti più comunemente richiesti nelle operazioni commerciali con l’estero

Le merci sono designate e classificate per settori, secondo una precisa nomenclatura, presupposto indispensabile che consente di identificarle in modo univoco ai fini dell’applicazione dei relativi dazi e imposte.
A seconda delle merci trattate, possono poi essere richiesti in dogana documenti e certificati aggiuntivi per poter introdurre i prodotti nel Paese di destinazione.
I documenti utilizzati comunemente nell’ambito delle operazioni commerciali con l’estero sono elencati di seguito.

Fattura commerciale. Emessa dal venditore nella lingua richiesta dal Paese destinatario della merce e nel numero di copie da esso richieste deve riportare: la ragione sociale con indirizzo completo dell’esportatore e del destinatario; la descrizione, la quantità e il prezzo della merce nella valuta concordata; i termini di resa della merce (si veda il capitolo 4); il nome del vettore o spedizioniere; gli oneri accessori, se ve ne sono (tra cui imballaggi e assicurazioni); la modalità di regolamento del prezzo; il Paese di origine della merce; riferimenti legislativi per l’applicazione o l’esenzione IVA.

Distinta di carico. Emessa dal venditore, deve riportare: il numero di fattura commerciale cui la distinta fa riferimento; il numero e la tipologia dei colli; la descrizione delle merci contenute in ciascun collo; eventuali estremi del container all’interno del quale vengono caricate le merci.

Certificato di origine. Deve essere richiesto alla Camera di commercio competente territorialmente ed è esclusivamente destinato a provare l’origine non preferenziale della merce; non attesta l’esportazione, sebbene sia rilasciato a fronte di una fattura di vendita all’estero. Le disposizioni di rilascio sono impartite dal Ministero dello Sviluppo Economico e le esigenze dei crediti documentari non possano interferire sul rispetto di tali disposizioni e sulle informazioni ammesse nel certificato stesso.
Per ulteriori informazioni consultare: il Regolamento (UE) n.952/2013 del 9/10/2013 che istituisce il codice doganale dell’Unione (CDU); il Regolamento delegato (UE) n. 2446 del 28/07/2015 che integra il Regolamento (UE) n.952/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio; il Regolamento di esecuzione (UE) n.2447 del 24/11/2015 recante modalità di applicazione di talune disposizioni del Regolamento (UE) n.952/2013; Disposizioni del Ministero dello Sviluppo Economico e dell’Unione Italiana delle Camere di commercio per il rilascio dei Certificati comunitari d’origine da parte delle Camere di commercio (allegato alla nota n. 75361 del 26 agosto 2009).
Sull’origine delle merci si rimanda all’approfondimento disponibile on line nella scheda n. 2


Certificato EUR.1. È un documento che serve ad attestare l’origine comunitaria delle merci, costituendo il titolo giustificativo per l’applicazione del regime tariffario preferenziale (dazio ridotto o nullo) in base agli accordi bilaterali tra l’Unione europea e alcuni Paesi. Viene rilasciato solo su domanda scritta presentata dall’esportatore e sotto la sua responsabilità alle autorità doganali del proprio paese. Ulteriori informazioni sull’origine preferenziale e una lista dei Paesi con cui l’UE ha stipulato accordi preferenziali sono disponibili sul sito: http://ec.europa.eu/taxation_customs/business/calculation-customs-duties/rules-origin/general-aspects-preferential-origin/arrangements-list_en

Attestato di libera vendita. Questo documento è richiesto da alcuni Paesi extra-UE e attesta, a fronte della documentazione presentata, che la merce esportata dall’azienda italiana ha libera circolazione in Italia ed eventualmente, anche negli altri Paesi UE. La merce indicata deve essere conforme alla normativa vigente in materia di salute o sicurezza e il richiedente deve essere consapevole che l’attestato non sostituisce l’eventuale certificazione ministeriale prevista dalla legislazione vigente per la tipologia di merce oggetto dell’esportazione. Viene rilasciata dalla Camera di commercio competente territorialmente dietro presentazione di una domanda dell’esportatore redatta su carta intestata.

Carnet ATA (Admission Temporaire/Temporary Admission). È un documento doganale internazionale che consente l’esportazione temporanea delle merci destinate a fiere e mostre, nonché dei campioni commerciali o del materiale professionale, nei Paesi aderenti alla convenzione ATA. Esonera l’operatore dall’obbligo di depositare presso la dogana, a garanzia, l’ammontare dei diritti doganali o di prestare una cauzione alla dogana stessa. Agevola il movimento da un Paese all’altro delle merci in esso descritte mediante la semplice presentazione del documento agli uffici doganali di ciascun Paese. Il Carnet ATA viene rilasciato dalla Camera di commercio competente territorialmente e può essere richiesto sia da aziende iscritte alla Camera di commercio sia da privati, purché residenti in Italia. Le istruzioni e la modulistica necessaria per la richiesta del Carnet si possono ritirare presso lo sportello delle singole Camere di commercio piemontesi

Documento di trasporto. È un documento che attesta la stipula di un contratto di trasporto tra il mittente e il vettore e che comprova la presa in carico della merce da parte del vettore per effettuarne la spedizione nei termini convenuti tra le parti.
I principali documenti di trasporto sono le lettere di vettura marittima, aerea, ferroviaria e stradale.

Certificato di assicurazione. È un documento che riporta le condizioni e le clausole del contratto di assicurazione stipulato sulla merce in corso di trasferimento dal mittente al destinatario.

In tema di documenti richiesti per accompagnare le spedizioni di merci in Paesi extra-UE, la Camera di commercio competente rilascia, oltre ai certificati di origine:
• visti su fatture di esportazione/listini/dichiarazioni per l’esportazione
• visti per la legalizzazione della firma del legale rappresentante su documenti destinati all’estero.
Per informazioni in merito contattare le singole Camere di commercio.  
 

LA FATTURA ELETTRONICA 

La normativa comunitaria in materia di fatturazione elettronica è attualmente basata sul principio dell’accordo tra le parti (emittente e destinatario della fattura).

Al riguardo l’articolo 232 della Direttiva 2006/112/CE afferma che:
“Il ricorso ad una fattura elettronica è subordinato all'accordo del destinatario”
L’articolo 21, comma 1, del Dpr n. 633/1972, in linea con la suddetta normativa, afferma che:

“Per fattura elettronica si intende la fattura che è stata emessa e ricevuta in un qualunque formato elettronico; il ricorso alla fattura elettronica è subordinato all’accettazione da parte del destinatario.”.

Il nostro Legislatore, tuttavia, anche al fine di consentire all’Amministrazione finanziaria di disporre di un efficace strumento di contrasto dell’elevata evasione fiscale che connota il nostro Paese, ha abbandonato il principio dell’accordo tra le parti, adottando la soluzione della fatturazione elettronica obbligatoria:

• dapprima nei rapporti tra gli operatori economici italiani e la Pubblica Amministrazione (dal 6 giugno 2014, per Ministeri, Agenzie fiscali ed Enti nazionali di previdenza e assistenza sociale, con ampliamento alla restante Pubblica Amministrazione, a partire dal 31 marzo 2015);
• e, a partire dal 1° gennaio 2019, con estensione dell’obbligo ai rapporti tra privati.

Al fine di attuare tale ultima deroga, il Governo italiano ha dovuto chiedere l’autorizzazione al Consiglio dell’Unione Europea, il quale ha concesso la stessa con Decisione del 16 aprile 2018, a valere sino 31 dicembre 2021, con possibilità di proroga. Il Governo italiano nel marzo 2021, in vista della scadenza del 31 dicembre 2021, ha chiesto una proroga di ulteriori 3 anni (sino al 31 dicembre 2024), con estensione alle imprese in regime forfettario o di vantaggio, dimostrando gli effetti positivi della fatturazione elettronica obbligatoria. La seconda autorizzazione è stata concessa con la Decisione di esecuzione (UE) 2021/2251 del Consiglio del 13 dicembre 2021 a valere per il periodo dal 1° gennaio 2022 al 31 dicembre 2024.
Preso atto della nuova autorizzazione, il Legislatore italiano con l’articolo 18, del Dl n. 36 del 30 aprile 2022 - Ulteriori misure urgenti per l'attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza (PNRR), ha esteso l’obbligo della fattura elettronica e delle relative note di variazione, ai seguenti soggetti:
•    contribuenti forfettari
•    contribuenti in regime di vantaggio 
•    associazioni non lucrative in regime legge 398/1991
che nell'anno 2021 hanno conseguito ricavi ovvero percepito compensi, ragguagliati ad anno, superiori a 25.000 euro.
Sono invece esonerate da tale obbligo, fino al 31 dicembre 2023, le cosiddette micro PARTITE IVA (soggetti che nel 2021 NON hanno superato la suddetta soglia).
Relativamente a tali soggetti la fatturazione elettronica obbligatoria scatta a partire dal 1° gennaio 2024. 

E’ possibile tracciare la seguente sintesi normativa:

•    A partire dal 1° gennaio 2019, nei rapporti tra operatori economici stabiliti in Italia e nei confronti di consumatori finali italiani, è diventata obbligatoria l’emissione della fattura elettronica e delle relative note di variazione elettroniche;
•    Sino al 30 giugno 2022 sono rimaste escluse da tale obbligo (di emissione della fattura elettronica) i contribuenti in regime di vantaggio e i contribuenti in regime forfettario; 
•    A partire dal 1° luglio 2022, l’obbligo è stato estero anche ai contribuenti in regime di vantaggio e ai contribuenti in regime forfettario (oltre che alle associazioni non lucrative in regime legge 398/1991), salvo il caso delle micro-partite Iva;
•    A partire dal 1° gennaio 2024, viene generalizzato l’obbligo di emissione della fattura elettronica anche per i soggetti che ne erano esclusi.


In particolare, in base alla nuova normativa:
•    Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi effettuate tra soggetti stabiliti nel territorio dello Stato, e per le relative variazioni, sono emesse esclusivamente fatture elettroniche utilizzando il Sistema di Interscambio, secondo il formato XML;
•    Gli operatori economici possono avvalersi, attraverso accordi tra le parti, di intermediari per la trasmissione delle fatture elettroniche al Sistema di Interscambio e per il ricevimento delle stesse oltre che per la relativa conservazione, ferme restando le responsabilità del soggetto che effettua la cessione del bene o la prestazione del servizio;
•    Le fatture elettroniche emesse nei confronti dei consumatori finali sono rese disponibili a questi ultimi dai servizi telematici dell'Agenzia delle entrate; una copia della fattura elettronica ovvero in formato analogico viene messa a disposizione direttamente da chi emette la fattura. E' comunque facoltà dei consumatori finali rinunciare alla copia elettronica o in formato analogico della fattura;
•    I soggetti obbligati trasmettono telematicamente all'Agenzia delle entrate i dati relativi alle operazioni di cessione di beni e di prestazione di servizi effettuate e ricevute verso e da soggetti non stabiliti nel territorio dello Stato, salvo quelle per le quali é stata emessa una bolletta doganale e quelle per le quali siano state emesse o ricevute fatture elettroniche secondo le modalità sopra indicate (e cioè a mezzo SDI). Si tratta della cd. “comunicazione delle operazioni transfrontaliere”. La trasmissione telematica di tale comunicazione, sino al 30 giugno 2022 veniva eseguita in forma riepilogativa mensile; a partire dal 1° luglio 2022 essa viene invece eseguita fattura per fattura.
•    In caso di emissione di fattura, tra soggetti stabiliti nel territorio dello Stato, con modalità diverse da quelle sopra previste, la fattura si intende come non emessa. Il cessionario e il committente, per non incorrere nella sanzione di cui all'articolo 6, comma 8, del D.Lgs. n. 471/1997, devono adempiere agli obblighi documentali ivi previsti mediante il Sistema di Interscambio.
 

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20/09/2023 - 11:14

Aggiornato il: 20/09/2023 - 11:14

3.2.1 - Il Documento di Trasporto (DDT)


3.2.1 Il Documento di Trasporto (DDT)

Il documento di trasporto o di consegna è previsto dal Dpr 472/1996. In virtù della disciplina recata da tale decreto, è venuto meno l’obbligo generalizzato di accompagnare il trasporto con un documento pre-numerato.
Il documento di trasporto o di consegna serve a due scopi:
• consente di avvalersi della fatturazione differita (di cui al comma 4 dell’articolo 21 del Dpr 633/1972)
• consente ai contribuenti di vincere le presunzioni di cui all’articolo 53 del Dpr n. 633/1972 (come sostituito dal Dpr 441/1997).

Il documento in questione deve essere emesso in forma libera prima dell’inizio del trasporto o della consegna, a cura del cedente, secondo le normali esigenze aziendali e deve contenere i seguenti elementi:
• data di effettuazione dell’operazione (consegna o spedizione)
• generalità del cedente, del cessionario e dell’impresa incaricata del trasporto
• descrizione della natura, qualità e quantità dei beni ceduti; per la quantità è sufficiente l’indicazione in cifre.

Occorre numerare progressivamente il DDT, in quanto è previsto che sulla fattura differita debba essere indicata la data e il numero del documento di trasporto o di consegna. Ai fini della fattura differita, poiché questa deve essere emessa entro il 15 del mese successivo a quello di effettuazione dell’operazione, è da ritenere che si possa fare riferimento alla data di inizio trasporto e non alla data di formazione del documento.
Quando i DDT, per esigenze organizzative aziendali, siano formati in data antecedente a quella della consegna/spedizione, occorre indicare sul DDT anche la data di consegna o spedizione.

Al DDT è equiparato qualsiasi altro documento (nota di consegna, lettera di vettura, polizza di carico) purché lo stesso contenga gli elementi essenziali sopra indicati.

Il DDT può alternativamente:
• essere spedito nel giorno in cui è iniziato il trasporto dei beni al cessionario a mezzo posta, a mezzo corriere o a mezzo sistema informatico consentendo la materializzazione di dati identici presso l’emittente e il destinatario
• scortare i beni durante il trasporto dal luogo di origine fino a quello di destinazione finale.
Ai fini delle presunzioni di cessione o di acquisto, la consegna a terzi di beni dati “in lavorazione, deposito o comodato o in dipendenza di contratti estimatori o di contratti d’opera, appalto, trasporto, mandato, commissione o altro titolo non traslativo della proprietà” può risultare, oltre che da libro giornale o da altro libro tenuto a norma del codice civile o da apposito registro tenuto in conformità dell’articolo 39 del Dpr 633/1942, anche da qualsiasi altro documento conservato, a norma dello stesso articolo.
Quindi il DDT, ai fini del superamento della presunzioni di cessione o di acquisto, deve contenere l’espressa indicazione della causale non traslativa del trasporto (deposito, lavorazione, passaggi interni), con l’obbligo di conservazione sia da parte dell’emittente che del soggetto destinatario dei beni.

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19/07/2023 - 09:42

Aggiornato il: 19/07/2023 - 09:42

3.2.2 - Il Documento Amministrativo Unico (DAU)


3.2.2 Il Documento Amministrativo Unico (DAU)

Digitalizzazione Dogane:

Il modello DAU sottodescritto è ad oggi stato sostituito da dichiarazioni compilate e sottoscritte in modalità digitale inviate al Servizio Telematico Doganale. 

La prova di uscita ai fini IVA per le vendite in esportazione è costituita dal c.d. “visto uscire” telematico, ovvero la positiva conclusione del regime con l’uscita delle merci dal territorio UE la cui prova è il relativo messaggio sul sito di ADM: https://www.adm.gov.it/portale/web/guest/dogane/operatore/servizi-online/tracciamento-movimenti-mrn

La valenza ai fini fiscali per le dichiarazioni di importazione è costituita dal “prospetto ai fini contabili”, a cui è possibile accedere solo avendo aderito al Servizio Telematico Doganale – EDI (Servizio Telematico Doganale - E.D.I. - Agenzia delle dogane e dei Monopoli (adm.gov.it) ) ed avendo abilitato le funzionalità sul MAU – Modello Autorizzativo Unico nella sezione “Mio profilo” nella speciale “Area riservata” ( https://iampe.adm.gov.it/sam/UI/Login?realm=/adm ). 
 

Il Documento Amministrativo Unico (DAU) è un formulario con precise caratteristiche previste dalle norme comunitarie. Costituisce la forma in cui vengono rese le “dichiarazioni doganali”, per tutti i regimi e le destinazioni doganali utilizzati dagli operatori del commercio internazionale. La sua applicazione è disciplinata dal Regolamento CEE 2454/1993, le c.d. “D.A.C. – Disposizioni di Applicazione del Codice doganale”.

Dal 1° gennaio 2007, in ragione delle modifiche introdotte dal Regolamento CE 2286/2003 e dal Regolamento CE 215/2006, così come recepite anche dalla circolare 45/D dell’11 dicembre 2006 dell’Agenzia delle Dogane, è in uso il nuovo formato del DAU, che meglio si presta alle nuove esigenze informatiche e alle relative procedure con cui le dogane oggi operano. Ad oggi, con le ulteriori novità introdotte nel 2009, il deposito e la trattazione delle operazioni doganali in esportazione, transito ed esportazione abbinata a transito sono possibili solo attraverso il sito telematico dell’Agenzia delle Dogane, per l’accesso al quale bisogna presentare apposita istanza di adesione. Per informazioni e adesioni consultare il sito dell’Agenzia delle Dogane:
Servizio Telematico Doganale - E.D.I. - Agenzia delle dogane e dei Monopoli (adm.gov.it)

La casella 1, Dichiarazione, è a sua volta suddivisa in tre sottocaselle.

La prima sottocasella identifica la tipologia di operazione; in essa possiamo trovare i seguenti codici:
EX: esportazione (definitiva o temporanea)
EU: operazioni con Paesi EFTA (importazione o esportazione)
CO: dichiarazione di vincolo a deposito doganale o zona franca
IM: operazioni di importazione (definitiva o temporanea).

La seconda sottocasella riporta il codice identificativo dell’operazione e il relativo regime doganale, e segnatamente:

A: dichiarazione in procedura ordinaria di accertamento e “presso luogo approvato”

La terza sottocasella dovrà indicare l’eventuale ricorso al transito, interno o esterno, e segnatamente:

T1: spedizione di merce in regime di transito comunitario esterno (vedasi la Circolare 26/D del 22 febbraio 2002 dell’Agenzia delle Dogane)
CIM: spedizione esportazione abbinata a regime doganale ferroviario (lettera CIM)
TIR: spedizione esportazione abbinata a regime doganale stradale (carnet TIR)
T2: spedizione di merce nazionale o comunitaria in regime di transito comunitario interno (per i paesi EFTA).

Per la merce in uscita, attualmente la copia 1 del DAU viene acquisita dall’Ufficio doganale di esportazione, che rilascia all’operatore la copia cartacea del DAE (Documento Accompagnamento Export), che serve a scortare la merce fino all’Ufficio doganale di uscita dalla comunità europea. Quest’ultimo, attraverso un messaggio telematico all’Ufficio presso il quale è stata depositata la dichiarazione di esportazione, transito o esportazione abbinata a transito, appura l’operazione mediante il cosiddetto messaggio di uscita o visto uscire. Gli operatori che necessitano della prova di uscita ai fini IVA devono verificare lo stato dell’operazione, digitando il numero MRN (Movement Reference Number), sul sito dell’Agenzia delle Dogane al seguente link:
https://www.agenziadoganemonopoli.gov.it/portale/dogane/operatore/servizi-online/tracciamento-movimenti-mrn

N. B.  
Ai fini IVA, l’unica prova dell’uscita della merce dal territorio doganale è il messaggio di uscita rilevabile sul sito della dogana italiana; nel caso in cui la dichiarazione doganale venga depositata presso un ufficio doganale non italiano, non è possibile verificare lo stato dell’MRN, e bisognerà pertanto ricorrere alle c.d. prove alternative (si veda a tal proposito il comunicato n. prot. 72094 del 20.05.2009 dell’Agenzia delle Dogane).

 

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30/10/2023 - 22:11

Aggiornato il: 30/10/2023 - 22:11

3.3 - La tariffa doganale


3.3 La tariffa doganale

Per poter raccogliere tutte le informazioni utili a comprendere quali siano gli obblighi dell’impresa connessi al commercio di un prodotto, è indispensabile conoscerne la cosiddetta Tariffa doganale, ossia il relativo codice numerico identificativo.

La Tariffa doganale è una raccolta, per settori merceologici, di posizioni contraddistinte da un codice (voce doganale) e da una relativa descrizione (designazione), corrispondenti alle merci oggetto di scambi internazionali.
La tariffa doganale è indispensabile per individuare il dazio che dovrà essere corrisposto alle autorità competenti per lo sdoganamento della merce (si veda il paragrafo 3.4).

La convenzione internazionale attualmente vigente, ha introdotto un sistema di codificazione e di designazione delle merci denominato Sistema Armonizzato (SA, in inglese: HS, Harmonized System). Tale sistema è strutturato in 21 sezioni merceologiche, suddivise in 99 capitoli, a loro volta suddivisi in voci e sottovoci, queste ultime identificate con un codice a 6 cifre

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20/07/2018 - 12:52

Aggiornato il: 20/07/2018 - 12:52

3.3.1 - La tariffa doganale comunitaria


3.3.1   La tariffa doganale comunitaria

A livello UE, le 6 cifre del sistema armonizzato (SA) sono state integrate con altre suddivisioni, in funzione delle quali si parla di:

- tariffa esterna comune (cosiddetta nomenclatura combinata – NC): si compone di circa 9500 voci, ciascuna di esse contraddistinta da un codice numerico a 8 cifre (le prime 6, rappresentano i codici SA e le restanti 2, le sottovoci NC). Accanto ad ogni voce, la NC indica il dazio autonomo (e cioè deciso in via autonoma dalla UE) e il dazio convenzionale (e cioè derivante dagli accordi internazionali stipulati dalla UE). Serve per le bollette di esportazione e i modelli Intrastat (sia per cessioni intracomunitarie, sia per acquisti intracomunitari).

- tariffa integrata comunitaria (TARIC): si compone di circa 13.000 voci, ciascuna di esse contraddistinta da un codice numerico di 10 cifre (le ulteriori 2 cifre, rispetto alla NC, identificano gli eventuali dazi preferenziali e le altre misure specifiche previste per le singole voci. Per le operazioni di importazione, infatti, il codice numerico della merce da indicare è a 10 cifre. Si utilizza per le bollette di importazione.

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20/07/2018 - 12:54

Aggiornato il: 20/07/2018 - 12:54

3.3.2 - La tariffa nazionale d’uso


3.3.2 La tariffa nazionale d’uso

È costituita da 14 cifre ed è così composta:
- 6 cifre SA + 2 cifre NC + 2 cifre TARIC + ulteriori 4 digit (di questi ultimi 4 digit i primi due destinati alla fiscalità unionale, IVA e accise, gli altre due ad ulteriori informazioni specifiche concernenti le singole voci, ad esempio: dazi antidumping, prezzi di riferimento per i vini, prodotti della flora e della fauna in via di estinzione, beni di interesse artistico e culturale, ecc.).

La “tariffa nazionale d’uso” è uno strumento telematico operativo ed è contenuta nella banca dati dell’Agenzia delle Dogane Aida (Automazione Integrata Dogane Accise):
https://aidaonline7.agenziadoganemonopoli.gov.it/nsitaricinternet/index.html

In caso di dubbi relativi alla corretta classificazione delle merci, è possibile ottenere il parere ufficiale dell’autorità doganale. La richiesta può essere depositata presentando una istanza esclusivamente sull’apposito formulario compilabile su un portale unionale (EU GTP – Generic Trader Portal), per il cui accesso occorre però essere accreditati al Servizio Telematico Doganale e aver abilitato le relative funzionalità (ogni informazione al link
https://www.agenziadoganemonopoli.gov.it/portale/web/guest/dogane/operatore/classificazione-delle-merci/informazioni-tariffarie-vincolanti-itv )

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19/07/2023 - 12:26

Aggiornato il: 19/07/2023 - 12:26

3.4 - I dazi


3.4   I dazi

Nelle operazioni commerciali di import-export, una delle voci di maggior rilevanza e di cui tenere conto è quella relativa ai dazi doganali.

I dazi sono imposte, normalmente espresse in percentuale del valore delle merci, che colpiscono i prodotti importati all’atto della loro immissione in libera pratica nel territorio doganale dello Stato destinatario della merce stessa e che devono essere pagate presso l’ufficio della dogana dalla quale entra la merce. É possibile consultare l’elenco degli uffici doganali italiani sul sito dell’Agenzia delle Dogane:
https://www.agenziadoganemonopoli.gov.it/portale/lagenzia/amministrazione-trasparente/organizzazione/articolazione-degli-uffici/indirizzi-e-organigramma-periferico-area-dogane/uffici-dogane  

Per immissione in libera pratica si intende l’espletamento di tutte le pratiche doganali (tra cui il pagamento del dazio relativo ai prodotti commercializzati), atte ad introdurre la merce nel territorio dello Stato destinatario, liberandola degli obblighi doganali e permettendole di circolare liberamente, fatta eccezione per quanto riguarda il pagamento di specifiche imposte di carattere fiscale (IVA, accise, imposte di consumo) dovute allo Stato di destinazione, per la sua immissione in consumo. 

Un esempio chiarificatore delle due pratiche è costituito dall’importazione in Italia via terra, di merce proveniente dalla Russia, che è un paese extra-UE. La merce per giungere in Italia via terra deve passare necessariamente da un altro paese della comunità, ad esempio la Polonia. Pertanto, la merce può essere sdoganata alla frontiera polacca (immissione in libera pratica), ma dovrà ancora scontare le imposte italiane per l’immissione in consumo, poiché essendo destinata all’Italia, la merce sarà soggetta al pagamento delle imposte fiscali (IVA, accise, imposte sul consumo) applicate in Italia.

Le incombenze doganali sono solitamente a carico del compratore, ma può accadere che durante le operazioni commerciali, vengano definiti tra le parti (venditore e compratore) dei termini di resa della merce tali per cui è il venditore a sostenere i costi e gli adempimenti relativi allo sdoganamento del prodotto.

L’importanza del dazio è quindi determinata dal fatto che spesso, nelle operazioni commerciali, questa voce non è inclusa nella preparazione dell’offerta e qualora da contratto sia richiesto o meno di assolvere tutti gli adempimenti in dogana, il dazio può costituire una variabile rilevante del prezzo della merce (che deve essere sempre comunicato all’altra parte).

Pertanto si consiglia sempre di verificare la consistenza del dazio relativo alla merce che si sta trattando.

A seconda dei paesi interessati e dell’operazione commerciale che si sta effettuando esistono le seguenti fonti informative:

se l’operazione è di import da un paese extra-comunitario, la fonte di riferimento è sia il sito internet Aida On-line (sito dell’Agenzia delle Dogane italiana - v. box a scomparsa) che il nuovo sito Internet della Commissione Europea Access2Markets (v. box a scomparsa sezione import)

- se l’operazione è di export verso un paese extra-comunitario, la fonte cui fare riferimento è il sito internet Access2Markets (nuovo sito della Commissione Europea). 
 

 Guida alla consultazione del sito Internet AIDA ON-LINE

 

1. Collegarsi alla pagina internet Aida on line dell’Agenzia delle Dogane italiana:

https://aidaonline7.agenziadoganemonopoli.gov.it/nsitaricinternet/index.html

2. cliccare il bottone Consultazione, posto a centro pagina.
3. dal menù in alto a destra, seguire il percorso: Nomenclature/Taric/Ricerca per parola
4. inserire nel campo di ricerca il nome del prodotto che si intende importare
5. il motore di ricerca restituirà, per la classe di prodotto indicata, un elenco di sotto-classi di prodotti con relativi codici doganali
6. individuato il prodotto specifico di proprio interesse, appuntarsi il codice doganale corrispondente
7. cliccare sul codice doganale corrispondente al prodotto che si intende importare
8. a questo punto, comparirà una pagina descrittiva del prodotto; a sinistra sarà disponibile un menù riportante le seguenti voci: Note associate, Codici predecessori, Codici successori, Misure per paese
9. cliccando su Misure per paese comparirà una nuova finestra con un menù a tendina a centro pagina grazie al quale è possibile selezionare il paese di provenienza della merce.
10. selezionato il paese si giungerà ad una pagina riepilogativa contenente: informazioni sui dazi doganali all’importazione con relative preferenze tariffarie, IVA applicata in Italia relativa al prodotto, normativa comunitaria che regolamenta il commercio del prodotto ed ulteriori eventuali informazioni a seconda della tipologia di prodotto trattato
11. dalla ricerca effettuata si otterrà uno o più regolamenti in materia apparsi sulla Gazzetta Ufficiale comunitaria che potranno essere consultati integralmente inserendo il numero del regolamento e l’anno in cui è stato varato sul sito di diritto comunitario Eur-lex:
http://eur-lex.europa.eu/homepage.html?locale=it

Quanto detto è funzionale all’importazione all’interno dell’Unione europea di prodotti extra-comunitari. Tuttavia, può essere utile consultare questo sito con le modalità descritte, anche per verificare alcune informazioni per l’export. Infatti, all’interno dell’Unione europea, alcuni prodotti sono assoggettati a limitazioni e/o trattamenti per quanto concerne le esportazioni. In questo caso, per verificare l’esistenza o meno di condizioni particolari si può impostare la ricerca come sopra descritto fino a giungere alla pagina riepilogativa indicata al punto 10. In presenza di trattamenti particolari della merce in esportazione, nella pagina comparirà il bottone Esportazione. Cliccandovi sopra si potrà visionare la normativa comunitaria e/o nazionale che regolamenta il commercio di quel dato prodotto. Come anticipato, però, solo alcuni prodotti sono soggetti a trattamenti particolari in materia di esportazione, motivo per cui potrà accadere che per quella data merce non sia disponibile la pagina Esportazione. Ciò significherà che attualmente non sono in vigore normative restrittive per l’export.  

 

Guida alla consultazione del sito Access2Markets

La Commissione europea ha realizzato, in sostituzione del “vecchio” MARKET ACCESS DATABASE, la nuova versione del sito web chiamata ora ACCESS2MARKETS , per ottenere informazioni sugli scambi internazionali di merci e servizi.

La principale novità consiste nella possibilità di acquisire non solo utili informazioni per l’esportazione dall’Unione europea in Paesi terzi, ma anche per l’importazione di merci da questi nella UE.

Il nuovo sito è raggiungibile al link https://trade.ec.europa.eu/access-to-markets/it/home .

In alto nella home page è possibile selezionale la lingua italiana, anche questa una novità rispetto al precedente sito web.

Sotto al nome “Access2Markets” sono riportate le sezioni:

“Home”, la pagina principale di accesso; 
“Merci”, contenente guide e statistiche sugli scambi di beni;
“Servizi”, contenente guide e statistiche sugli scambi di servizi;
“Investimenti”; 
“Mercati”, con informazioni sull’unione doganale UE e sugli Accordi commerciali che essa ha siglato con Paesi terzi; 
“Casella degli strumenti”, riportante, tra l’latro, informazioni sul sito, tutorial, glossario e FAQ; 
“Contatti”, per inoltrare segnalazioni e reclami ai gestori del sito.

Le diverse sezioni del sito sono integrate e interattive tra loro, ed è possibile ottenere approfondimenti e informazioni specifiche su tematiche diverse.

Certamente un utilissimo e rapido strumento per quanto riguarda gli scambi di merci è rappresentato dal modulo presente in homepage My Trade Assistant”

Cliccando su “Come utilizzare il modulo” si ottengono le relative indicazioni.

Digitando nella prima casella il “nome del prodotto” o il suo “codice SA” (che rammentiamo è la codifica doganale della merce secondo il Sistema Armonizzato riconosciuto a livello mondiale), si può indicare nella seconda casella il “Paese di origine” dell’Unione europea e nella terza casella il “Paese di destinazione”, e premendo “Cerca” si accederà alle informazioni per l’esportazione di merce in Paesi terzi.

Se nella seconda casella si indica un Paese terzo, e nella terza uno dei Paesi membri UE, il sistema restituirà informazioni per l’importazione di merci.

Sempre nello stesso modulo è citata la presenza di “ROSA – Rules of Origin Self-Assessment”, strumento davvero formidabile per la verifica delle regole di origine preferenziale applicabili alle merci in esportazione.

Vediamo due esempi di consultazione utilizzando “My Trade Assistant” per l’export e per l’import:

EXPORT

Con l’indicazione della voce doganale a 4 digit “8708”, riferita alle parti di autoveicoli, Paese di origine Italia e destinazione Giappone, cliccando su “cerca” otteniamo la seguente schermata, in cui dovremo scendere nel dettaglio della codifica doganale per ottenere le relative informazioni:

Ipotizzando di aver cliccato le sotto voci di 6 digit sino ad arrivare alle generiche parti classificabili alla nomenclatura 8708.9909 vigente nel Paese di destinazione indicato, otteniamo il seguente risultato:

Troviamo pertanto le “tariffe” applicate, ovvero le aliquote daziarie
“Dazio generale”, che contrariamente a ciò che si potrebbe pensare è quello riservato a Paesi che vengono penalizzati; 
“Dazio della nazione più favorita”, che è il dazio normale applicato ai Paesi aderenti alla WTO in base alla “MNF Clause”;
“Aliquota preferenziale dell’UE”, presente quando, come nell’esempio di cui sopra, esiste un Accordo di Libero Scambio tra l’Unione europea e un Paese terzo. 
Nelle sezioni riportate sulla sinistra sono presenti le regole di origine, le imposte applicate, e “Procedure e formalità”, in cui si possono rinvenire documenti necessari generali e specifici per il prodotto di interesse oggetto della ricerca.

IMPORT

Con l’indicazione della voce doganale a 4 digit “8708”, riferita alle parti di autoveicoli, Paese di origine Cina e destinazione Italia, cliccando su “cerca” otteniamo la seguente schermata, in cui dovremo scendere nel dettaglio della codifica doganale per ottenere le relative informazioni:

Ipotizzando di aver cliccato le sottovoci di 6 digit sino ad arrivare alle generiche parti classificabili alla nomenclatura 8708.9997.90 vigente nella UE, otteniamo i dazi applicati:

Nelle sezioni riportate sulla sinistra sono presenti le altre imposte applicate, i “Requisiti per le importazioni” e “Statistiche sui flussi commerciali”.

In merito al portale Access2Markets si segnala anche la pagina del sito: https://www.to.camcom.it/access2markets

 
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28/06/2021 - 09:59

Aggiornato il: 28/06/2021 - 09:59

4 - La consegna e la qualità della merce


Per tutelare il buon fine dell’operazione commerciale è necessario che l’imprenditore italiano che vende all’estero presti particolare attenzione alla definizione contrattuale delle sue principali obbligazioni:
• la consegna della merce
• la qualità della merce.

In caso contrario, il venditore italiano va incontro a maggiori probabilità di contestazioni della fornitura, più o meno fondate, magari derivanti da semplici malintesi o addirittura pretestuose, che spesso mettono a rischio il pagamento del prezzo convenuto, oltre a determinare pericolose responsabilità per danni.

Anche l’imprenditore italiano che compra dall’estero deve curare gli aspetti contrattuali della consegna della merce e della sua qualità, altrimenti rischia di ricevere merce non conforme o danneggiata dal trasporto oppure in ritardo, senza potersi rivalere sul fornitore per i danni subiti e senza nemmeno poter ottenere la restituzione del prezzo o liberarsi dall’obbligo di pagare.

Quindi, l’accorta organizzazione degli aspetti relativi alla consegna e alla qualità della merce è essenziale sia per chi vende all’estero sia per chi compra dall’estero.
Il connesso aspetto del pagamento, anche sotto il profilo della gestione dell’eventuale fase di recupero del credito, è trattato nel capitolo 5.

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19/07/2023 - 11:16

Aggiornato il: 19/07/2023 - 11:16

4.1 - La consegna della merce


La vendita internazionale implica normalmente il trasporto delle merci lungo percorsi estesi che richiedono in genere la movimentazione delle merci con mezzi di diverso tipo e l’intervento di vari soggetti. Si tratta quindi di un’operazione complessa che comporta elevati rischi per la merce nonché per le operazioni commerciali e produttive nell’ambito delle quali si colloca la vendita. La merce rischia, infatti, di subire danni a causa del trasporto, furti o di arrivare a destinazione in ritardo, il che può causare seri pregiudizi al compratore, che necessita della merce per rivenderla o per impiegarla nel proprio processo produttivo. Su chi ricadono questi rischi? Qual è il punto oltre il quale l’imprenditore italiano non è responsabile di questi problemi e, se vende, pretendere comunque il pagamento o, se compra, farsi indennizzare dal venditore straniero?
Al fine di limitare questi rischi è importante che l’imprenditore italiano si preoccupi di organizzare contrattualmente i più rilevanti aspetti relativi al trasporto della merce, suddivisi secondo le due variabili, tra loro connesse, dello spazio e del tempo, ossia:

• il luogo della consegna
• il tempo della consegna.

Prima di trattare il rapporto contrattuale tra venditore e compratore in relazione alle obbligazioni di consegna della merce ed alle relative responsabilità, è utile fare riferimento a due soggetti, terzi rispetto al contratto di vendita, ma che entrano in rapporti contrattuali con il venditore o con il compratore, a seconda dei casi, e che rivestono un ruolo centrale nella consegna: il vettore e lo spedizioniere.

Al fine della consegna della merce all’estero, infatti, l’imprenditore italiano può trovarsi a concludere:

• un contratto di trasporto
• un contratto di spedizione.

In base al contratto di trasporto (articoli 1678 e seguenti del codice civile), il vettore si obbliga a trasferire (con mezzi propri o altrui) le merci a destinazione, assumendo responsabilità per gli eventuali danni derivanti da suoi inadempimenti, quali, ad esempio, il ritardo rispetto al termine di riconsegna pattuito oppure la perdita o danneggiamento della merce, a meno che tali eventi non gli siano imputabili, come quando l’avaria della merce sia da attribuirsi al caso fortuito o a vizi dell’imballaggio.

In certi casi sarà anche importante prendere in considerazione le norme che regolano le varie tipologie di trasporto. Ad esempio si consideri che la responsabilità del vettore stradale per perdita o avaria della merce è limitata per legge, salvi i casi di dolo o colpa grave, nei quali i limiti di risarcibilità (1 euro per kg ai sensi del D.lgs. 286/2005) non si applicano.

Diversamente dal contratto di trasporto, nel contratto di spedizione (articolo 1737 e seguenti del codice civile), lo spedizioniere assume esclusivamente l’obbligo di concludere con soggetti terzi, in nome proprio ma per conto dell’imprenditore che l’ha incaricato, il contratto di trasporto e di compiere le operazioni accessorie (ad esempio il pagamento dei dazi doganali).

Lo spedizioniere non assume, quindi, il rischio del trasporto, pertanto non è responsabile del ritardo, dell’avaria o della perdita delle merci trasportate e neppure è tenuto a vigilare sull’operato del vettore.

Lo spedizioniere risponde dell’operato del vettore e degli altri soggetti di cui si avvale nell’esecuzione dell’incarico solo nel caso in cui sia reso responsabile per una scelta colposa di tali soggetti (che siano da considerarsi assolutamente inidonei) o per propri comportamenti colposi nel trasmettere loro le istruzioni.

Avendo incaricato uno spedizioniere e non un vettore di occuparsi della consegna della merce, quindi, non si potrà configurare, salvo i casi di responsabilità per colpa sopra descritti, una responsabilità dello spedizioniere, ma, semmai, solo del vettore da quest’ultimo incaricato, che molte volte è un’impresa straniera, magari sita in un Paese che offre all’impresa italiana scarse prospettive di un’effettiva tutela dei diritti.

Occorre, quindi, prestare molta attenzione a questi profili, anche perché sovente accade che la qualificazione del rapporto come contratto di trasporto o come contratto di spedizione non sia semplice, in quanto la maggior parte degli imprenditori del settore svolge entrambe le attività ed i contratti sono spesso poco chiari.
 

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19/07/2023 - 11:55

Aggiornato il: 19/07/2023 - 11:55

4.1.1 - Il luogo di consegna


L’accordo delle parti di una fornitura internazionale sul luogo di consegna viene determinato, nella maggior parte dei casi, tenendo conto dei costi del trasporto, i quali, a loro volta, influiscono sulla determinazione del prezzo di vendita.

Non si deve tuttavia dimenticare che, data la complessità delle operazioni connesse alla consegna della merce nella vendita internazionale, ci sono altri profili rilevanti da tenere in considerazione.

Primo fra tutti, in ordine di importanza, il rischio di perdita della merce, per furto o per altre circostanze che ne determinino la distruzione oppure di danneggiamento. È da chiedersi su quale delle due parti della vendita internazionale ricada questo rischio, il che dipende dagli accordi contrattuali.

Primi invece, in ordine temporale, dato che implicano attività immediate per le imprese coinvolte, sono gli aspetti relativi agli oneri connessi alla consegna nella vendita internazionale: a quale parte, venditore o compratore, spetti porre in essere tutte le varie attività necessarie, quali la negoziazione e la stipulazione dei vari contratti (trasporto o spedizione, assicurazione) o l’espletamento delle pratiche doganali.

La pratica del commercio internazionale ha fornito da tempo una valida risposta al problema della regolamentazione dei complessi aspetti sopra citati elaborando, dapprima in via consuetudinaria, dei termini di resa che hanno poi costituito l’oggetto di codificazione, quale quella pubblicata, sin dal 1936, della Camera di commercio internazionale di Parigi (CCI), dal titolo INCOTERMS®, molto conosciuta e utilizzata a livello mondiale e giunta oggi all’edizione 2020 (https://www.iccitalia.org/incoterms/). Tale pubblicazione, disponibile in numerose versioni linguistiche (si segnala l’edizione bilingue italiano-inglese), è costituita da undici diversi termini di resa (ciascuno contrassegnato da un proprio acronimo costituito da tre lettere maiuscole, univoco in tutte le lingue), che servono a determinare il luogo di consegna e a suddividere con precisione tra le parti di un contratto internazionale di vendita i più rilevanti aspetti inerenti alla consegna della merce, ossia:

oneri (chi deve fare cosa: stipulare contratti, espletare formalità)

costi (chi deve pagare il prezzo dei contratti, i dazi doganali)

rischi (su chi ricadono le conseguenze della perdita o del danneggiamento della merce).

Per facilitarne la comprensione gli INCOTERMS® 2020 sono raggruppati in 2 categorie: 
7 sono adatti ad ogni tipo di trasporto e anche nel caso in cui si utilizzi più di un modo di trasporto (EXW, FCA, CPT, CIP, DPU, DAP, DDP) e 4 che possono essere utilizzati esclusivamente in caso di trasporto marittimo o per vie d’acqua interne (FAS, FOB, CFR, CIF). 
Gli 11 INCOTERMS® 2020 possono anche essere classificati in base all’entità di obbligazioni in capo al venditore: gruppo E (EXW) comporta minori obbligazioni in capo al venditore), il gruppo F (FCA, FAS, FOB) prevede che il trasporto principale sia a carico del compratore, il gruppo C (CPT, CIP, CFR, CIF) prevede che il venditore paghi il trasporto, ma il rischio sia del compratore e il gruppo D (DAP, DPU, DDP) prevede che il venditore consegni a destino, con trasporto e rischi a suo carico. 



Novità introdotte dagli INCOTERMS® 2020 

Interessante osservare cos’è cambiato negli INCOTERMS® 2020 rispetto alla precedente edizione 2010:
1) FCA e Bill of Lading 
Nelle vendite FCA con trasporto via mare, il venditore, magari beneficiario di un credito documentario, talvolta vorrebbe ottenere una Bill of Lading (polizza di carico marittima) con una on board notation (attestazione che la merce è stata effettivamente caricata a bordo nave). Tuttavia, nel termine FCA, la consegna della merce si perfeziona prima che la stessa venga caricata a bordo della nave.
Per risolvere tale criticità, nel termine FCA INCOTERMS® 2020 è prevista la possibilità di concordare che il compratore istruisca il suo vettore ad emettere e consegnare una on board Bill of Lading al venditore, dopo il carico della merce a bordo nave, che il venditore inoltrerà al compratore utilizzando (di solito) il canale bancario.
Con tale indicazione, la ICC ha riconosciuto una esigenza del mercato pur rilevando un’incongruenza tra il punto di consegna previsto dal termine FCA e la richiesta di una on board Bill of Lading.
La ICC sottolinea, infine, l'opportunità di utilizzare il termine FCA per la vendita di merce containerizzata (manufactured cargoes), evitando il FOB, in quanto tale termine, dovrebbe essere utilizzato esclusivamente per le vendite di merce non containerizzata, come ad esempio le commodities (es. granaglie, petrolio ecc.).

2) Costi
Negli INCOTERMS® 2020, i costi appaiono negli articoli A9/B9 (sezione A The Seller's Obligation, sezione B The Buyer's Obligation - A9/B9 Allocation of costs). In questo modo, l'identificazione dei costi a carico di ciascuna controparte è decisamente più immediata rispetto all'edizione precedente. Si segnala, comunque, che i riferimenti ai c.d. costi, sono anche riportati nei rispettivi articoli: ad esempio i costi relativi all'ottenimento dei documenti nella resa FOB appaiono sia negli articoli A9/B9 sia negli articoli A6/B6. 

3) Differenti livelli di copertura assicurativa nel CIP 
Negli INCOTERMS® 2010 CIP o CIF, il venditore era obbligato a "obtain at its own expense cargo insurance complying at least with the minimum cover as provided by Clauses (C) of the Institute Cargo Clauses (Lloyd's Market Association/International Underwriting Association ‘LMA/IUA') or any similar clauses".
Si ricorda che le Institute Cargo Clauses (C) coprono un numero definito di rischi mentre le Institute Cargo Clauses (A) coprono tutti i rischi ("all risks") ma in entrambe sono previste alcune esclusioni.
Nei nuovi INCOTERMS®, nel CIF rimane l'obbligo, in capo al venditore, salvi diversi accordi, di "obtain, at its own cost, cargo insurance complying with the cover provided by Clauses (C) of the Institute Cargo Clauses (LMA/IUA) or any similar clauses". Nel CIP, invece, l'obbligo, in capo al venditore è quello, salvi diversi accordi, di "obtain, at its own cost, cargo insurance complying with the cover provided by Clauses (A) of the Institute Cargo Clauses (LMA/IUA) or any similar clauses as appropriate to the means of transport used". 

4) Organizzazione del trasporto con mezzi propri nel FCA, DAP, DPU e DDP 
Negli INCOTERMS® 2020 è prevista la possibilità, a differenza della precedente edizione, che il trasporto nelle rese FC, DAP, DPU e DDP venga effettuato utilizzando mezzi di trasporto propri del compratore (nel termine FCA) e del venditore (nei termini D).

5) Modifica sigla DAT in DPU 
Negli INCOTERMS® 2010, nel termine DAT il venditore consegnava la merce "once unloaded from the arriving means of transport into a terminal". Negli INCOTERMS® 2020 è stato modificato il nome del termine da DAT (Delivered at Terminal) a DPU (Delivered at Place Unloaded). Con tale modifica si intende indicare che il luogo di destinazione può essere un qualsiasi posto e non necessariamente un terminal. Ovviamente, se il luogo di destino non è un terminal, il venditore deve assicurarsi che vi sia la possibilità tecnica di scaricare la merce. 

6) Inserimento dei "security-related requirements"
Le "security-related obligations" sono state aggiunte alle sezioni A4 e A7 di ogni Incoterms®. Inoltre, i costi relativi a tali "requirements" sono meglio evidenziati nelle sezioni dei costi A9/B9.

7) Explanatory Notes for Users 
Le "Guidance Notes" riportate all'inizio di ogni INCOTERMS® nell'edizione 2010, ora sono indicate come "Explanatory Notes for Users". Tali note riportano le principali norme di ogni Incoterms® 2020, indicando quando il termine può essere utilizzato, quando si trasferiscono i rischi e come sono ripartiti i costi fra le parti. L'obiettivo dichiarato è quello di aiutare gli operatori ad utilizzare correttamente gli INCOTERMS® 2020.   

Gli INCOTERMS® 2020 forniscono, dunque, alternative diversificate alla ripartizione tra le parti degli oneri, dei costi e dei rischi relativi alla consegna nella vendita internazionale ed hanno l’ulteriore funzione di svincolare la determinazione di tali aspetti dalle norme in tema di passaggio della proprietà previste dalla legge applicabile al contratto internazionale di vendita. Tale aspetto è infatti disciplinato in maniera differente nelle varie leggi nazionali, senza contare che la determinazione della legge applicabile al contratto potrebbe non essere di immediata determinazione.


Suggerimenti per un utilizzo corretto degli INCOTERMS 
Per utilizzare correttamente gli INCOTERMS è necessario scegliere quello che si addice alle esigenze del caso e alla trattativa col partner commerciale, richiamarlo espressamente in contratto: 
ad esempio consegna EXW (Ex Works che equivale a franco fabbrica) Moncalieri INCOTERMS® 2020, indicando quindi il luogo ove è sita la sede del venditore, presso la quale avverrà la consegna, oppure FOB Genova INCOTERMS® 2020, precisando il porto di imbarco. Questo richiamo contrattuale ha l’effetto di recepire nello specifico contratto di vendita tutte le norme che compongono INCOTERM® 2020 EXW oppure FOB (secondo i nostri esempi).
È anche possibile, nei contratti più complessi, pattuire alcune specifiche deroghe alle clausole che compongono INCOTERM® prescelto, qualora nel singolo caso sia necessaria qualche variante. È importante tuttavia non intervenire in modo tale da snaturare l’INCOTERM in questione, in quanto, così facendo, si perderebbe il vantaggio di certezza e prevedibilità che si vuole ottenere con il loro utilizzo.

È inoltre da tenere presente che gli obblighi delle parti che derivano dall’INCOTERM prescelto hanno un’importante influenza su altri aspetti del contratto, innanzitutto sulla modalità di pagamento (si veda il capitolo 5). Ad esempio è del tutto sconsigliabile concordare un pagamento COD (Cash on Delivery) quando il termine di resa sia EXW o un altro termine nel quale il vettore non sia incaricato dal venditore. Anche in caso di pagamento tramite lettera di credito, è da tenere presente quale parte controlla (in quanto suoi incaricati) i soggetti che devono emettere i documenti da presentarsi in utilizzo del credito documentario.

Anche la determinazione del giudice competente si è di recente stabilito possa dipendere dall’INCOTERM® pattuito:.
E’ opportuna a questo punto una precisazione sul concetto di consegna rilevante ai fini dell’individuazione del giudice competente per la risoluzione delle controversie derivanti dal contratto internazionale di vendita. Infatti, ai sensi del Regolamento (UE) n. 1215/2012, che ha sostituito il Regolamento CE n. 44/2001 in tema di competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale, in assenza di scelta contrattuale del giudice competente per la risoluzione delle controversie derivanti dal contratto stesso, è, per esse, competente in via generale il giudice del paese comunitario in cui la parte chiamata in giudizio è domiciliata (art. 4.1) oppure, in alternativa, il giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita, quale è da intendersi, nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati (art. 7.1.b).

Quindi il luogo della consegna della merce rileva per la determinazione del giudice competente, a prescindere dal fatto che a costituire oggetto del giudizio, in quanto non (esattamente) adempiuta, sia, ad esempio, l'obbligazione del compratore di pagamento del prezzo o qualsiasi altra obbligazione (Cass. Sezioni Unite, n. 20887/2006). Si tratta dunque di determinare il concetto di consegna rilevante ai fini della individuazione del giudice competente. 

Se, in precedenza, la giurisprudenza italiana distingueva tra il “criterio giuridico di consegna”, identificante il luogo in cui il rischio di danneggiamento o perimento della merce si trasferisce dal venditore al compratore (ossia quello stabilito dagli INCOTERMS®), dal “criterio di consegna materiale”, tale dovendosi intendere il luogo di prevista e pattuita consegna dei beni, da identificarsi nel luogo della consegna materiale dei beni, mediante la quale l’acquirente ha conseguito o avrebbe dovuto conseguire il potere di disporre effettivamente dei beni stessi alla destinazione finale dell’operazione di vendita (Cassazione civile Sez. Un., ordinanza 13/12/2018 n. 32362; Cassazione civile Sez. Un., Sent. n. 11381 del 2016), è di recente intervenuta una pronuncia di segno opposto (Cass. civ., Sez. Unite, ordinanza, 02/05/2023, n. 11346), la quale, richiamando il principio già affermato dalla Corte di Giustizia Europea (nella sentenza Electrosteel Europe SA c. Edil Centro s.p.a., C-87/10), ha stabilito che, in caso di compravendita internazionale di merci, l’INCOTERM® richiamato dalle parti può essere sufficiente per individuare il luogo di consegna della merce anche ai fini della determinazione del giudice competente ai
ai sensi del Regolamento (UE) n. 1215/2012 (cfr. infra paragrafo 5.2.1).

Dove acquistare gli INCOTERMS? 
Per acquistare le pubblicazioni della Camera di commercio Internazionale (CCI), compreso il volume INCOTERMS2020, occorre contattare la sede italiana a Roma della Camera di commercio internazionale.Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito della CCI: https://www.iccitalia.org/incoterms/


 

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05/09/2023 - 14:47

Aggiornato il: 05/09/2023 - 14:47

4.1.2 - Il tempo di consegna


In tema di termine di consegna, gli obiettivi dell’impresa italiana, se vende all’estero o se compra dall’estero, possono rivelarsi sostanzialmente opposti.

Al venditore italiano conviene concordare con il proprio cliente straniero che il termine di consegna non sia vincolante e comunque pattuire che, in caso di ritardo, la sua responsabilità rimanga limitata ad un ammontare non elevato e soprattutto predeterminato, escludendo il rischio che il compratore possa, in conseguenza del ritardo del venditore, ritardare il pagamento, chiedere il risarcimento dei danni subiti o addirittura chiedere la risoluzione del contratto.

Tale obiettivo può essere raggiunto pattuendo una clausola penale (articolo 1382 del codice civile) per il ritardo, la quale può essere variamente modulata. Al venditore conviene che la penale, in genere formulata in termini percentuali:
• non sia elevata e comunque si computi in base a intervalli più lunghi possibile (ad esempio a settimane anziché a giorni)
• inizi a decorrere dopo un primo periodo determinato di ritardo consentito
• preveda un tetto massimo.

Oltre a quanto così stabilito e salvo quanto sotto sui limiti all’esclusione contrattuale di responsabilità, per effetto della pattuizione di una clausola penale, nulla sarà più dovuto dal venditore, anche in caso di ulteriore ritardo o nel caso in cui il compratore abbia subito ulteriori danni.

Per esonerare il venditore da responsabilità in caso di ritardo nella consegna è anche possibile agire sulla clausola di forza maggiore. Tali clausole, un tempo previste nei contratti più accurati, ma diventate di grande attualità a causa degli eventi pandemici e bellici che hanno avuto un notevole impatto sul commercio estero (per approfondimenti su queste clausole si rimanda al Focus La gestione dei contratti in situazioni di crisi, disponibile alla fine del presente paragrafo), escludono la responsabilità delle parti nel caso in cui l’adempimento agli obblighi contrattuali sia reso impossibile da eventi imprevedibili. Nell’interesse del venditore è possibile elaborare queste clausole attenuando i criteri dell’imprevedibilità dell’evento o dell’impossibilità della prestazione.

È bene tuttavia ricordare che, secondo la legislazione della maggior parte dei Paesi del mondo, non è possibile escludere la responsabilità in caso di dolo della parte inadempiente e, di frequente, nemmeno in caso di colpa grave. La legge italiana infatti stabilisce che sia nullo qualsiasi patto che esclude o limita la responsabilità per dolo o colpa grave (articolo 1229 del codice civile). È opportuno quindi, per garantirsi la validità ed efficacia della clausola pattuita, accertare quale legislazione nazionale sia applicabile al contratto. Attualmente la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali si determina in base alla Convenzione di Roma (80/934/CEE, ratificata dall’Italia con la legge 975/1984) e, per i contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009, in base al Regolamento CE 593/2008, cosiddetto Roma I.

Diversi sono invece gli obiettivi dell’impresa italiana che compra dall’estero. Il compratore italiano può infatti pattuire che il termine di consegna sia tassativo e prevedere, anche a scopo deterrente, una sanzione immediata per l’inadempimento del venditore straniero, oltre a garantirsi il diritto di essere indennizzato di tutti i danni effettivamente subiti o addirittura chiedere la risoluzione del contratto.

È interessante osservare come lo strumento della clausola penale (articolo 1382 del codice civile) si riveli uno strumento utile anche per conseguire la maggior parte di tali obiettivi. In tal caso la penale dovrà essere formulata diversamente. Al compratore conviene che la penale, in genere concepita in termini percentuali:
• sia di adeguata entità e comunque si computi in base a intervalli più brevi possibile (ad esempio a giorni anziché settimane)
• inizi a decorrere immediatamente, dal primo giorno di ritardo, senza prevedere periodi di tolleranza
• non preveda tetti massimi
• preveda espressamente che, qualora il danno effettivamente subito dal compratore superi l’importo dovuto dal venditore a titolo di penale, il compratore abbia diritto di richiedere risarcimento del maggior danno.

A tal proposito è bene sapere che la penale è dovuta per il solo fatto che la consegna è stata effettuata dal venditore in ritardo rispetto al termine concordato, anche se il compratore non ha subito danni dovuti al ritardo, e può essere richiesta anche con strumenti giudiziari più rapidi e semplici (come i procedimenti ingiuntivi) e addirittura essere riscossa tramite compensazione (in genere parziale) con prezzo di vendita.

Per ottenere il risarcimento dei danni, invece, l’onere della prova a carico del compratore è molto più gravoso: egli deve infatti provare di aver effettivamente subito i danni (costi o mancato guadagno) e la loro entità nonchè dimostrare il nesso causale tra i danni e il ritardo nella consegna. Specie la prova del danno rappresentato dal mancato guadagno è spesso complessa, come anche la prova del nesso di causalità tra inadempimento e danno. Queste difficoltà lasciano ampio spazio alle eccezioni avversarie e il venditore straniero può anche sostenere che il risarcimento non sia dovuto o sia dovuto in misura inferiore, in quanto l’impresa italiana non si è comportata in maniera diligente (articolo 1227 del codice civile). Il venditore può anche sostenere che il risarcimento sia dovuto in maniera più limitata, poiché supera l’entità del danno prevedibile al momento della conclusione del contratto (articolo 74 della Convenzione di Vienna).

Inoltre si consideri che il compratore italiano può ottenere il risarcimento dei danni, salvo adempimento spontaneo del venditore, solo tramite un procedimento giudiziario più complesso e di maggior durata (causa di merito), implicante in genere anche l’attività di periti, i cui costi si assommano alle altre spese legali.

La clausola penale, quindi, è uno strumento utile non solo per il venditore, che può così limitare la propria responsabilità, ma anche per il compratore, che si garantisce un indennizzo, seppure potenzialmente parziale, di più facile accesso, oltre ad uno strumento sanzionatorio e deterrente, tale da indurre il venditore all’adempimento.

Tuttavia è da ricordare, a proposito dell’ammontare della penale, che esso può essere diminuito equamente dal giudice, se l'obbligazione è stata eseguita o se manifestamente eccessivo, avuto riguardo, all'interesse che l’altra parte aveva all'adempimento, nel nostro caso, all’interesse del compratore alla consegna tempestiva (articolo 1384 del codice civile).
 

La clausola penale: il caso degli USA e del Regno Unito

Vista la clausola penale come regolata dal diritto italiano, con le sue finalità, da un lato, risarcitoria e, dall’altro, sanzionatoria e deterrente, è da considerare che alcune legislazioni straniere, quali quelle di common law, come gli Stati Uniti d’America e il Regno Unito di Gran Bretagna, ritengono ammissibile la funzione risarcitoria ma illegittima quella punitiva.
Alla luce di questa sostanziale differenza tra le varie legislazioni nazionali (che peraltro non è chiaramente l’unica), occorre prestare attenzione alla traduzione in lingua inglese dei contratti internazionali, specialmente considerato che non è infrequente che la legge applicabile venga stabilita dalle parti dopo le altre condizioni contrattuali. Succede infatti talvolta che un contratto, redatto dall’impresa italiana per essere sottoposto alla legge italiana, finisca poi, a seguito di pressioni dell’altra parte, ad essere firmato con la previsione che la legge che lo regola sia, ad esempio, quella di uno degli Stati Uniti d’America.
Purtroppo infatti, quando il contratto viene negoziato da soggetti privi di competenze legali, l’aspetto della legge applicabile viene considerato secondario. Invece il caso della clausola penale ci dimostra come non lo sia. Infatti, nel nostro esempio di un contratto sottoposto ad una legislazione USA, una ‘penalty clause’ sarebbe invalida, in tal caso sarebbe invece valida una clausola definita ‘liquidated damages’ che quantifichi l’importo dovuto in caso di inadempimento in misura equa e commisurata al danno, che sia, per dirla secondo la giurisprudenza inglese, “a genuine pre-estimate of damage”. Attenzione quindi alla redazione delle clausole penali in contratti internazionali sottoposti a legislazioni straniere di common law, sia per terminologia inglese sia per il contenuto. 

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08/11/2023 - 08:39

Aggiornato il: 08/11/2023 - 08:39

4.2 - La qualità della merce


La merce consegnata dal venditore deve essere conforme per qualità e tipo, oltre che per quantità, a quanto previsto nel contratto internazionale di vendita e deve essere confezionata e imballata secondo le modalità stabilite nel contratto (articolo 35 della Convenzione delle Nazioni Unite sulla vendita internazionale di beni mobili, Convenzione di Vienna, ratificata dall’Italia con la legge 765/1985).
Le parti del contratto internazionale hanno, quindi, la possibilità di concordare con esattezza le caratteristiche tecniche delle merci vendute e del loro confezionamento e imballaggio.

In assenza di diversi accordi fra le parti, si considera non conforme (articolo 35 della Convenzione di Vienna) la merce che:
• non sia idonea all’uso cui viene destinata normalmente la merce dello stesso tipo
• non sia idonea all’uso particolare che sia eventualmente stato, espressamente o implicitamente, portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto
• sia difforme da eventuali campioni o modelli
• non sia imballata o confezionata secondo i criteri usuali per la merce dello stesso tipo (oppure, in assenza di tali criteri, in maniera adatta a conservarla e proteggerla).

Quindi, quando le parti del contratto internazionale di vendita non si sono accordate sulle caratteristiche tecniche delle merci vendute e sul loro confezionamento e imballaggio, suppliscono i criteri previsti dalla legge applicabile, che in molti casi sarà la norma sopra esposta. Come si vede si tratta di criteri necessariamente generali (come determinare l’uso normale di un tipo di prodotto? Come stabilire se il compratore ha, anche implicitamente, portato a conoscenza del venditore un uso particolare?), che comportano notevoli margini di incertezza e, necessitano, per la loro determinazione, di onerose attività giudiziarie (di frequente anche implicanti l’attività di periti, i cui costi si sommano alle altre spese legali).

Per questi motivi è di estrema importanza, nell’interesse di entrambe le parti, che il contratto internazionale di vendita precisi, in specifici allegati tecnici, le caratteristiche tecniche del prodotto venduto. Tali allegati saranno più o meno articolati, a seconda della complessità del prodotto (in certi casi si tratterà di una semplice scheda tecnica) e dovranno essere sottoscritti, o altrimenti validamente concordati, insieme al contratto.

A questo proposito, è utile fare riferimento al fatto che, negli ultimi anni, specie in determinati settori industriali, in cui operano grandi imprese multinazionali con numerose risorse interne organizzate per gestire i vari aspetti dei rapporti contrattuali, i documenti che compongono l’accodo contrattuale si sono significativamente moltiplicati, rendendo molto complicata l’interpretazione del contratto. Solo teoricamente, infatti, per fare un esempio, un “quality agreement” contiene disposizioni distinte da quelle sulla conformità e sulla garanzia dei prodotti che si trovano nelle condizioni generali di vendita e nell’allegato tecnico. Per ricavare la regola contrattuale su un punto specifico, è quindi necessaria la faticosa ricostruzione di un quadro frammentato e spesso non coordinato, cui, solo talvolta, giova la clausola che stabilisce l’ordine di prevalenza dei documenti, in quanto spesso l’efficacia di tale clausola è affievolita dalla previsione di una previa verifica della natura della questione (ad esempio, stabilisce che in casi di conflitto tra norme contenute in documenti diversi, se trattasi di questione relativa alla qualità della merce, prevalga il quality agreement, se relativa a questioni commerciali, prevalgano le condizioni generali di vendita), dato che, di fatto, le questioni sono spesso di natura composita.

Le caratteristiche delle merci vendute, che sono state così pattuite, dovranno sussistere al momento della consegna e in genere permanere per un certo tempo successivo.

Quanto dura la garanzia?
Che diritti ha il compratore e che obblighi ha il venditore in caso di merci difettose?
Cosa deve fare il compratore e cosa deve fare il venditore in caso di merci difettose?

Le condizioni della garanzia possono essere liberamente concordate tra le parti, almeno tra venditori e compratori professionisti (gli imprenditori che vendono ai consumatori, invece, devono osservare, nei rapporti con questi ultimi, alcune norme di legge inderogabili).

In assenza di diverse pattuizioni contrattuali, si applica spesso la Convenzione di Vienna (articolo 39), che stabilisce l’obbligo del compratore di denunciare il difetto di conformità al venditore, precisandone la natura, entro un termine ragionevole dal momento in cui l’ha scoperto o avrebbe dovuto scoprirlo. Si ricorda che il compratore è tenuto ad esaminare o far esaminare la merce nel termine più breve possibile, al più tardi all’arrivo delle merci a destinazione (articolo 38). ll venditore non è, tuttavia, responsabile solo per i difetti già evidenti al momento della consegna, ma anche per i difetti occulti, ossia che si manifestino solamente in un momento successivo (articolo 36).
A meno che le parti non si siano diversamente accordate, la Convenzione di Vienna fissa la durata della garanzia a due anni dalla consegna (articolo 39).

I diritti del compratore previsti dalla Convenzione di Vienna

Sempre in assenza di diverse previsioni contrattuali, la Convenzione di Vienna stabilisce che, in caso di difetti della merce venduta, il compratore ha i seguenti diritti (articolo 46):
• chiedere al venditore la consegna di merce sostitutiva, a condizione che il difetto di conformità costituisca ‘inadempimento essenziale’ (ossia cagioni al compratore un pregiudizio tale da privarlo sostanzialmente di ciò che egli aveva diritto di attendersi dal contratto, articolo 25)
• chiedere al venditore la riparazione delle merci difettose, sempre che ciò non sia irragionevole, tenuto conto di tutte le circostanze
• far valere il diritto al risarcimento del danno (articolo 47).
Si precisa che la richiesta di sostituzione o di riparazione deve essere effettuata insieme alla denuncia dei difetti oppure entro un termine ragionevole da essa.   
• dichiarare risolto il contratto, se l’inadempimento del venditore costituisca inadempimento essenziale (articolo 49)
• ottenere, nel caso in cui la non conformità della merce non costituisca inadempimento essenziale, una riduzione di prezzo proporzionale alla differenza tra il valore della merce consegnata e quello della merce conforme (articolo 50)

Per evitare un quadro di riferimento, da un lato, scarsamente definito (es. come determinare se una denuncia di difetti è tardiva, alla luce del termine “ragionevole” previsto per la denuncia dalla Convenzione di Vienna?) e, d’altro lato, che lascia discrezionalità al compratore nella scelta dei rimedi, oltre all’obbligo di risarcire tutti i danni, è opportuno prevedere nel contratto una dettagliata clausola di garanzia.

Oltre a limitare le responsabilità del venditore e a ostacolare le denunce di difetti pretestuose, tale clausola ha l’importante funzione, per il venditore e per il compratore, di rendere le condizioni di garanzia adeguate al prodotto specifico e compatibili con l’organizzazione dell’impresa che vende e compra e che deve impiegare il prodotto acquistato nella propria attività produttiva o commerciale.

In considerazione delle differenze di disciplina che possono esserci tra le varie legislazioni nazionali, è consigliabile inserire nel contratto delle clausole di garanzia che prevedano i rimedi per un’eventuale non conformità dei beni venduti rispetto a quanto promesso nel contratto.
Tali rimedi possono essere rappresentati dalla riparazione del bene venduto o dalla sua sostituzione oppure dalla riduzione del prezzo.  

 



La clausola di garanzia: principali aspetti

La clausola di garanzia può avere vari contenuti, a seconda dei casi, tuttavia si suggeriscono alcuni aspetti che può essere utile regolare:
• limitazione delle tipologie di difetti garantiti (tra cui progettazione, materiali, fabbricazione);
• specificazione del termine per la denuncia dei difetti (ad esempio 15 giorni) e relative modalità (ad esempio dettagliata e per iscritto);
• specificazione del termine di durata della garanzia (ad esempio 1 anno);
• limitazione dei rimedi cui si obbliga il venditore in caso di difettosità (ad esempio sostituzione o riparazione, a discrezione del venditore) e imputazione, ad una parte o all’altra, degli oneri per il trasporto del prodotto difettoso e di quello riparato o sostituito; 
• esonero di responsabilità del venditore se non ricorrono determinate condizioni (ad esempio la conservazione della merce in determinate condizioni di temperature o umidità, l’osservanza di determinate condizioni di uso e manutenzione delle quali è anche possibile far ricadere sul compratore l’onere della prova);
• limitazione della responsabilità tramite previsione di un plafond e tramite previsione di una franchigia;
• limitazione della garanzia a cascata, ossia alla garanzia concessa dal soggetto che ha venduto la merce al venditore oppure addirittura cessione di tale garanzia, con parallelo esonero del venditore.   


Dato il carattere derogabile della Convenzione di Vienna, in tale ambito applicativo, le parti sono libere nella regolamentazione contrattuale delle condizioni di garanzia, salvo il già ricordato limite inderogabile del dolo o colpa grave del venditore (articolo 1229 del codice civile).
 

Il concetto di clausola vessatoria

A proposito di limitazione contrattuale delle obbligazioni di garanzia assunte dal venditore, non è poi da dimenticare che, se contenuta in un testo di condizioni generali di vendita (predisposte dal venditore), essa è efficace nei confronti del compratore innanzitutto se, al momento della conclusione del contratto, quest’ultimo conosceva tali condizioni generali di vendita o avrebbe dovuto conoscerle qualora si fosse comportato con ordinaria diligenza (art. 1341, c.1 Codice civile).
Inoltre una tale clausola è da considerarsi ‘vessatoria’ quindi priva di effetto, se non sono specificamente approvata per iscritto (art. 1341, c. 2 Codice civile), requisito tradizionalmente assolto dalla tipica seconda firma in calce al relativo richiamo. Gran parte della giurisprudenza italiana considera, infatti, vessatoria, richiedendone quindi la specifica approvazione scritta (c.d. ‘doppia firma’) per la sua validità, la clausola che esclude o limita la garanzia per i vizi di cui all’articolo 1490 codice civile (Cass. 12759/1993; Cass. 4474/1988; v. anche Cass. 3418/1993, sentenza che si è pronunciata su di una clausola di rinuncia dell'azione di risoluzione da parte dell'acquirente) e così anche in caso di clausole che limitino la garanzia per vizi stabilita dall'art. 1490 c.c. a quella contrattuale di buon funzionamento (Cass. 4474/1988). Si rileva tuttavia anche un diverso orientamento, secondo cui sarebbe valida la clausola di esclusione della garanzia per vizi del bene compravenduto, anche se non specificamente sottoscritta ai sensi dell'art. 1341 c.c. (App. Firenze 26 gennaio 2011, in Obbl. e Contr., 2011, 5, 387).La giurisprudenza prevalente ha comunque precisato che tali clausole devono formare oggetto di una approvazione separata, specifica, autonoma e distinta dalla sottoscrizione delle altre condizioni del contratto, dato che l’obiettivo della norma è che venga richiamata l'attenzione del contraente sul significato di una determinata e specifica clausola a lui sfavorevole. Pertanto il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata di esse, sia pure sotto l'elencazione delle stesse secondo il numero d'ordine (c.d. ‘richiamo cumulativo’), non è ritenuta utile dalla giurisprudenza per determinare validità ed efficacia di quelle vessatorie, dovendosi ritenere non garantita l'attenzione del contraente che subisce il contratto verso la clausola a lui sfavorevole, compresa fra le altre richiamate e quindi resa non facilmente conoscibile proprio perché confusa tra quelle (da ultimo Cass. 9492/2012).
Per approfondimenti in merito alle altre condizioni vessatorie e alla trasposizione delle predette regole al contratto telematico, incluso e-commerce, si veda la pubblicazione “Imprese e e-commerce” https://www.to.camcom.it/guida-imprese-ed-e-commerce-marketing-aspetti-legali-e-fiscali).    


Oltre a quanto qui esposto in merito alle obbligazioni contrattuali inerenti la qualità dei prodotti, non sono da dimenticare le norme di carattere extracontrattuale relative alla responsabilità per danni causati da prodotti difettosi (articolo 114 e seguenti del Codice del Consumo), che consentono al danneggiato di by-passare l’eventuale catena distributiva e di rivolgersi direttamente al responsabile, salve eventuali successive rivalse.

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03/11/2023 - 21:12

Aggiornato il: 03/11/2023 - 21:12

5 - Il pagamento e l'eventuale recupero del credito


La cruciale fase del pagamento nella vendita internazionale, il cui buon fine è condizione del successo dell’operazione intrapresa, merita considerazione sotto due profili, distinti ma tra loro connessi, che devono essere studiati e negoziati sin dalla fase precontrattuale, al fine di entrare a far parte dell’accordo contrattuale:
• la scelta del mezzo di pagamento o dell’eventuale garanzia del pagamento
• la scelta della modalità di risoluzione delle eventuali controversie, incluso il recupero del credito.
Quanto sopra vale sia quando l’impresa italiana vende all’estero sia quando compra dall’estero.

In quest’ultimo caso il pagamento deve poter essere (almeno in parte) condizionato alla consegna tempestiva di merce conforme, in caso contrario il compratore rischia di venirsi a trovare sostanzialmente nella stessa situazione del venditore che non è riuscito ad incassare il prezzo di vendita, ossia deve recuperare un credito all’estero (pari al prezzo indebitamente pagato, oltre al risarcimento degli eventuali danni subiti), ma addirittura con maggiori oneri processuali e probatori.

 

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07/09/2018 - 16:03

Aggiornato il: 07/09/2018 - 16:03

5.1 - I mezzi di pagamento e le garanzie


La scelta del mezzo e delle garanzie di pagamento deve essere fatta caso per caso alla luce di considerazioni relative al rischio politico del Paese ove ha sede il partner straniero, all’efficienza del relativo sistema giudiziario ed alla effettiva accessibilità dello stesso (si pensi ad esempio ai costi della giustizia e della difesa).

Tra le principali modalità di pagamento si ricordano:

• il credito documentario o lettera di credito

Il credito documentario, altresì detto lettera di credito (Letter of Credit), disciplinato dalle Norme ed Usi Uniformi relativi ai Crediti Documentari NUU 600/07, è indubbiamente il più sicuro dei mezzi di pagamento nel commercio internazionale, a condizione che, oltre ad essere irrevocabile, sia confermato da una banca italiana o comunque comunitaria.
La lettera di credito permette di avere, per un certo periodo di tempo, pari alla durata del credito stesso, un secondo soggetto che si obbliga a pagare una somma pari al prezzo del contratto e, soprattutto, un soggetto più solvibile e più affidabile del compratore straniero, in quanto si tratta di un istituto di credito italiano o comunque di un Paese comunitario (nei cui confronti, quindi, l’impresa italiana può anche intraprendere iniziative giudiziarie, se necessario).
Lo strumento non è altrettanto utile se il credito non è confermato e la banca italiana ha il ruolo di mera avvisante, in quanto, in caso di controversie, l’impresa italiana si troverebbe a dover agire nei confronti della banca emittente, che in genere ha sede nel medesimo Paese del compratore straniero (Paese nel quale si è valutato sconsigliabile, per l’impresa italiana, il ricorso alla giustizia).

Il credito documentario, come indica il nome stesso, si basa su documenti che le banche, l’emittente e la confermante, hanno mandato di controllare, sbloccando i fondi qualora li ritengano conformi alle previsioni della stessa lettera di credito.
Ecco perché è importante che l’impresa italiana che vende con lettera di credito si riservi contrattualmente il diritto di influire sul testo della lettera di credito nonché il controllo sui documenti da presentare in suo utilizzo.
Si consideri infine che la lettera di credito tutela anche il compratore, a condizione che l’esatta esecuzione del contratto possa venire incorporata nei documenti.
Non è infrequente, per esempio, subordinare almeno una parte del pagamento alla presentazione di un certificato di collaudo approvato da entrambe le parti.

Le pubblicazioni della Camera di commercio Internazionale
In materia di crediti documentari, segnaliamo due pubblicazioni della CCI: Guida alle Operazioni di Credito Documentario e Norme ed usi uniformi relativi ai crediti documentari NUU 600/07.
Una descrizione dettagliata di tutte le pubblicazioni edite dalla CCI, ordinabili on line, è disponibile sul sito: http://pubblicazioni.iccitalia.org/ 

  • il CAD (Cash Against Documents)

Nel caso si scelga il CAD, Cash Against Documents (pagamento contro documenti o documentata incasso), il venditore, spedita la merce, consegna alla propria banca i documenti rappresentativi delle merci e gli altri documenti necessari al compratore per sdoganare la merce, affinché questa, interfacciandosi con una banca del Paese del compratore, li presenti a quest’ultimo, incassando il prezzo di vendita. Le istruzioni del venditore devono stabilire le modalità secondo le quali la banca incaricata deve consegnare la documentazione al compratore.

In caso di indicazione della clausola a vista la banca estera può consegnare i documenti al compratore solo dietro pagamento in contanti del prezzo di vendita.

L’accettazione di cambiali invece espone a ulteriori rischi al buon fine dell’operazione (è necessario prestare attenzione perché non sempre all’estero esse rappresentano titoli esecutivi come nel nostro ordinamento).

Nel CAD, dunque, il compratore dovrebbe effettuare il pagamento quando la merce è già in viaggio o addirittura è già pervenuta nel suo Paese ma, almeno teoricamente, prima di avere la possibilità di esaminarla. La merce infatti dovrebbe essergli consegnata solo dopo il pagamento e, quindi, il ritiro dei documenti, ma di fatto il venditore corre frequentemente il rischio che il compratore non ritiri i documenti (perché, ad esempio, ha saputo di riserve sulla polizza di carico, per sopravvenute difficoltà finanziarie o per il ritardo con cui sono arrivati i documenti, mentre nel frattempo sono maturate ingenti spese di sosta che fanno desistere il compratore dal ritirare le merci).
In tal caso la merce potrà essere messa all’asta dalle autorità portuali o doganali del Paese di destinazione oppure sarà il venditore a dover trovare un altro acquirente che la compri (a prezzo di realizzo) o addirittura a riportarla in Italia, con tutti gli oneri del caso (spese di andata, giacenza e ritorno).

Come si vede lo strumento presenta elevati margini di rischio, cui si aggiunga che le banche che intervengono nell’operazione, a differenza della lettera di credito, non hanno l’obbligo di verifica della regolarità e conformità dei documenti ma solo della buona esecuzione delle istruzioni ricevute dal venditore, senza tuttavia che la banca italiana possa essere ritenuta responsabile nel caso in cui le istruzioni non vengano eseguite dalla banca del Paese del compratore, nemmeno quando sia una sua corrispondente.

Si consideri che questa forma di pagamento è inadeguata al trasporto su strada, in quanto il documento di trasporto stradale non è rappresentativo della merce, quindi non è indispensabile per ottenere dal vettore la consegna della merce.
Anche il CAD è oggetto di una pubblicazione della Camera di commercio internazionale di Parigi, la 522/1996 Norme uniformi relative agli incassi.

• il COD (Cash on Delivery)

Infine, nel caso del COD, Cash on delivery (pagamento contrassegno), lo spedizioniere/ vettore riceve l’incarico di consegnare la merce al compratore solo dietro la corresponsione del prezzo. Si tratta quindi di un pagamento contestuale alla consegna della merce.

Perché questa forma di pagamento possa essere efficace è necessario che il vettore venga incaricato dal venditore e non dal compratore (quindi è sconsigliabile, ad esempio, se la consegna è stata pattuita EXW, ossia Franco fabbrica) e che il mandato conferito al vettore sia dettagliato e contenga le condizioni tassative cui è subordinata la consegna della merce. Anche in questo caso si sconsiglia l’accettazione di assegni o cambiali, per i motivi già ricordati al punto precedente, mentre sarà preferibile la consegna di attestazione bancaria di avvenuto trasferimento dei fondi, irrevocabile ed incondizionato, a favore del venditore, oppure, naturalmente, la consegna di contanti.

Occorre infine prevedere il possibile mancato pagamento e la conseguente mancata consegna della merce e richiedere pertanto un acconto per coprire le spese di trasporto.


Gli strumenti di garanzia del pagamento: La lettera di credito Stand-by e  la clausola di riserva di proprietà


Oltre ai mezzi di pagamento sopra commentati, esistono anche degli strumenti di garanzia del pagamento, di carattere fideiussorio, ai quali è possibile ricorrere, avendoli previsti tempestivamente, in caso di mancato pagamento da parte del compratore. Tra i più diffusi si ricorda la lettera di credito stand-by e la clausola di riserva di proprietà.

La lettera di credito Stand-by (Stand-by Letter of Credit), regolamentata dalla pubblicazione CCI 590/99 International Standby Practices ISP 98, costituisce un impegno della banca emittente a pagare al beneficiario dietro sua eventuale richiesta di rimborso (solitamente a mezzo di una sua semplice dichiarazione di inadempimento da parte dell’ordinante degli impegni contrattuali ed eventualmente, le copie dei documenti di spedizione), qualora tale pagamento non sia stato effettuato entro i termini e secondo le condizioni specificati nella lettera Stand-by.
Questa garanzia di pagamento si presta ad essere utilizzata anche in contratti diversi dalla vendita, e, in quest’ultimo caso, specialmente per spedizioni per via aerea: le merci e i documenti viaggiano insieme, evitando che i beni debbano essere gravati, a destinazione, da spese di sosta e magazzinaggio in attesa della documentazione, tra l’altro impedendo al compratore di sdoganare la merce (come potrebbe invece accadere in caso di lettera di credito).
Al fine della valutazione dell’opportunità di utilizzare questo strumento, è utile tenere presente che la banca emittente non è responsabile, tra l’altro, della verifica dei documenti presentati né dell’operato dei terzi da essa incaricati, nemmeno dei propri corrispondenti, ma, soprattutto, che, in caso di inadempimento della banca, il beneficiario può trovarsi senza altra scelta che non agire in giudizio nel Paese del compratore, dato che anche la banca emittente si trova in quel Paese, il che potrebbe non essere un’alternativa auspicabile.

La clausola di riserva di proprietà è infine uno strumento di tutela del credito di carattere contrattuale che consente, ove validamente prevista, di ritardare il passaggio della proprietà dei beni venduti fino al completo pagamento del prezzo. In caso di inadempimento il venditore avrà diritto alla restituzione dei beni consegnati, dei quali non ha mai smesso di essere proprietario.
Sono tuttavia da segnalare alcune cautele nell’utilizzo di questo strumento: innanzitutto è da considerare che l’effettiva tutela del venditore dipende dal fatto che le merci si trovino ancora nel magazzino del compratore, o comunque che non siano state cedute a terzi in buona fede, nei confronti dei quali il venditore non ha diritto di rivendicarle. È bene ricordare anche che l’effettiva possibilità di ottenere la restituzione dei beni non pagati è di fatto condizionata, specie in caso di fallimento, dall’identificabilità dei beni in questione rispetto a quelli di altri fornitori eventualmente presenti nel magazzino del debitore oppure rispetto a precedenti forniture dello stesso venditore regolarmente pagate.

Inoltre, in assenza di una disciplina internazionale uniforme di questa materia, trovano applicazione le diverse leggi nazionali, che non sempre riconoscono la possibilità del venditore di riservarsi la proprietà dei beni venduti fino all’integrale pagamento del prezzo e, in caso affermativo, differiscono sugli adempimenti richiesti (es. iscrizione in pubblici registri) affinché tale clausola sia opponibile al compratore e, soprattutto, ai suoi creditori ovvero al fallimento del compratore eventualmente intervenuto.

La legge italiana (articoli 1523 e seguenti del codice civile) stabilisce che la riserva della proprietà è opponibile ai creditori del compratore, solo se risulta da atto scritto avente data certa anteriore al pignoramento. In particolare, il D.lgs. 231/2002, in recepimento della Direttiva 2000/35/CE, ha stabilito che la riserva della proprietà è opponibile ai creditori del compratore se preventivamente concordata per iscritto tra il venditore ed il compratore e se confermata nelle singole fatture delle successive forniture aventi data certa anteriore al pignoramento.

L’assicurazione del credito di Sace
In merito a questo aspetto si segnala il Gruppo Sace, gruppo assicurativo-finanziario attivo nell’export credit, nell’assicurazione del credito, nella protezione degli investimenti, nelle garanzie finanziarie, nelle cauzioni e nel factoring. Per ulteriori informazioni in merito al Gruppo Sace, si rimanda al paragrafo 2.1 della presente guida.

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01/10/2018 - 17:16

Aggiornato il: 01/10/2018 - 17:16

5.2 - Il recupero del credito


Come fare se, nonostante le tutele di carattere contrattuale di cui alle pagine precedenti, il credito rimane, magari solo in parte, non pagato?

Quando le parti hanno sedi in Paesi diversi le difficoltà sono maggiori rispetto a quando il rapporto commerciale è intercorso con un partner nazionale, innanzitutto in quanto si pongono a confronto i due diversi sistemi giuridici dei Paesi di appartenenza delle parti, quindi, prima ancora di risolvere la controversia concreta, è necessario dare una risposta ad alcune importanti questioni preliminari: a che giudice può rivolgersi?
A quello italiano o a quello straniero? Quali norme saranno applicabili alla controversia, quelle della legge italiana o del Paese del partner? Quanto durerà la controversia e quali ne saranno i costi per l’impresa?

È del tutto consigliabile che l’impresa si ponga questi interrogativi prima di concludere l’affare con il partner straniero, in tal modo potrà negoziare la soluzione più rapida, meno costosa e più cautelativa dei suoi interessi, oppure, non riuscendoci, valuterà anche questo aspetto nel generale rischio d’impresa comportato dall’operazione.

In questa seconda parte del capitolo si forniranno indicazioni in merito alle varie possibilità a disposizione dell’impresa italiana. Nel contesto comunitario la strada è spianata dai seguenti principali interventi normativi:
• Regolamento (UE) n. 1215/2012 che consente il riconoscimento e l’esecuzione in tutta l’Unione europea delle sentenze civili e commerciali emesse in tutti gli altri Paesi comunitari e stabilisce le regole per determinare il giudice competente
• Regolamento CE 805/2004 che istituisce il titolo esecutivo europeo e che consente di eseguire sentenze e altri atti riguardanti crediti non contestati in un altro Paese comunitario senza alcun procedimento di riconoscimento
• Regolamento CE 1896/2006 che istituisce un procedimento europeo d’ingiunzione di pagamento.

Infine si accenna, come ulteriori possibili soluzioni, alle strategie alternative alla causa civile rappresentate dall’arbitrato, che costituisce, in pratica, l’unica strada percorribile per la soluzione delle controversie con partner aventi sede al di fuori dell’Unione europea, e dalla mediazione

Strumento privato, alternativo alla via giudiziaria, per la risoluzione delle controversie è l’arbitrato. Si può ricorrere all'arbitrato se le parti hanno espresso questa scelta al momento della conclusione del contratto, prevedendo un’apposita clausola, oppure, cosa che avviene di rado, sottoscrivendo un compromesso arbitrale dopo che sia insorta la controversia. È consigliabile che l’arbitrato pattuito sia “rituale”, ossia si concluda con un lodo che abbia il valore di una sentenza, e amministrato da un’istituzione arbitrale, che è bene consultare, almeno tramite sito web, prima della relativa pattuizione per valutarne il regolamento, che stabilisce la procedura che seguirà l’arbitro unico o il collegio arbitrale, e i relativi costi. Delle numerose istituzioni arbitrali presenti al mondo, si segnala Camera Arbitrale del Piemonte, espressa dalle Camere di commercio piemontesi, che si occupa anche di mediazione, oltre che di arbitrato https://pie.camcom.it/arbitrato-e-mediazione/arbitrato-camera-arbitrale-del-piemonte. Si segnala che, normalmente, le istituzioni arbitrali pubblicano sul proprio sito web dei modelli di clausola arbitrale che possono essere seguiti, sconsigliabili sono invece le clausole arbitrali troppo elaborate che possono ingenerare equivoci interpretativi. 

Altri tipi di arbitrato non si considerano consigliabili per le controversie delle PMI con controparti straniere: l’arbitrato irrituale, che conduce ad un lodo che un mero valore negoziale (e non di sentenza), e l’arbitrato “ad hoc”, che non è amministrato da un’istituzione arbitrale e quindi non consente di beneficiare dell’organizzazione di quest’ultima e del suo regolamento, così rischiando di presentare tempi e costi imprevisti.

L’arbitrato rituale e amministrato è particolarmente consigliabile per controversie con le controparti aventi sede fuori dall’Unione Europea, in Paesi che abbiano ratificato la Convenzione per il riconoscimento e l'esecuzione delle sentenze arbitrali straniere (New York, 1958 www.uncitral.org), tra cui l’Italia (1969), impegnandosi al reciproco riconoscimento ed esecuzione dei lodi arbitrali. Diversamente, ad eccezione di pochi Paesi con cui l’Italia ha stipulato appositi trattati bilaterali, l’esecuzione delle sentenze italiane fuori dall’Unione Europea non è una via praticamente percorribile.

Come la giustizia statale, l’arbitrato è volto ad una soluzione autoritativa della controversia, mentre la mediazione, che ha natura stragiudiziale, è gestita da un soggetto terzo, mediatore imparziale, privo del potere di rendere giudizi o decisioni vincolanti per le parti, che assiste le parti nella ricerca di un accordo per la composizione del conflitto tra esse insorto. Il mediatore tenta, innanzitutto, di ripristinare la comunicazione tra di esse, di modo da consentire loro di spostare l’attenzione, dalle contrapposte posizioni, cioè dal passato, al futuro, ossia ai rispettivi reali interessi (che non potrebbero essere presi in considerazione nell’ambito di un giudizio, ove si tratta, invece, di stabilire torto e ragione unicamente alla luce del diritto). L’obiettivo è quello della ricerca di una soluzione conciliativa del problema, che non si limiti a reciproche concessioni sulle originarie posizioni (come nella transazione), ma possa risultare anche imprevista e creativa e comunque certamente specifica per il caso concreto e personalizzata rispetto agli interessi alle parti, con maggior potenziale di stabilità nel tempo dell’accordo raggiunto.

Se nel nostro ordinamento la mediazione è obbligatoria per diverse controversie civili e commerciali (Decreto legislativo n. 28/2010), il ricorso ad essa può essere liberamente pattuito dalle parti del contratto internazionale, sia in esso sia dopo l’insorgenza della controversia, trattandosi, in effetti, uno strumento particolarmente adatto ai rapporti commerciali, che potrebbe consentire di conservare, contrariamente allo scontro giudiziale, alla condizione, però, che le parti vi partecipino con spirito collaborativo e, in generale, in buona fede. Diversamente, la mediazione potrebbe tradursi in un, talvolta dannoso, differimento del ricorso alla giustizia, è pertanto opportuno che le clausole contrattuali che prevedono il previo tentativo di mediazione siano redatte attentamente, tenendo presente questo rischio e quindi approntando tutele preventive contro comportamenti dilatori o comunque di malafede, ad esempio stabilendo la durata massimo di questo tentativo, che potrà essere prorogata per accordo delle parti qualora entrambe lo considerino conveniente.

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19/07/2023 - 12:14

Aggiornato il: 19/07/2023 - 12:14

5.2.1 - La determinazione del giudice competente


In base al Regolamento (UE) n. 1215/2012, la parti di un contratto internazionale sono libere di scegliere quale giudice deve essere competente per la risoluzione delle eventuali controversie, incluso il recupero dei crediti (articolo 23). La scelta deve essere espressa validamente e questo implica che l’impresa ponga particolare attenzione al processo di negoziazione e al conseguente momento conclusivo dell’accordo, che spesso è rappresentato da uno scambio di documenti (offerta, ordine, conferma d’ordine) nel quale si rischiano incertezze su quali siano le condizioni effettivamente concordate dalle parti.
Spesso le parti hanno, sulla scelta del giudice competente italiano o straniero, interessi contrapposti, in quanto, in linea generale, ogni impresa ha interesse a standardizzare al massimo le proprie procedure, inclusi i recuperi crediti: in questo senso potersi rivolgere al proprio tribunale comporta in genere costi minori e un maggior grado di prevedibilità dell’impegno e dell’esito.

Qualora le parti non abbiano (validamente) concordato quale giudice, se quello italiano o quello straniero, debba essere competente per la risoluzione delle controversie derivanti dal contratto, incluso il recupero crediti, l’imprenditore italiano si trova di fronte alle seguenti alternative:
• può rivolgersi al giudice straniero competente per la sede della parte contro cui si agisce in giudizio, quindi, nel caso di recupero del credito, il compratore/debitore (articolo 4)
• può rivolgersi al giudice del luogo (situato in uno Stato membro) in cui è avvenuta o sarebbe dovuta avvenire la consegna delle merci in base al contratto di vendita oppure, nel caso di prestazione di servizi, il luogo (situato in uno Stato membro) dove è avvenuta o sarebbe dovuta avvenire la prestazione dei servizi (articolo 7.1.b).

Si intende che il primo criterio esposto può portare alla competenza del giudice italiano qualora l’azione legale prenda le mosse dal compratore straniero insoddisfatto per i difetti della merce, per il ritardo nella consegna o altro.

Il secondo criterio, invece, come già esposto, si basa sul criterio del luogo di consegna, per il quale si rinvia al paragrafo 4.1.1.

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07/09/2018 - 16:21

Aggiornato il: 07/09/2018 - 16:21

5.2.2 - Il titolo esecutivo europeo


L’Unione europea è ulteriormente intervenuta con il Regolamento CE 805/2004 per agevolare la soluzione delle controversie in materia civile e commerciale e, in particolare, il recupero dei crediti.

In base a detta norma, possono diventare titolo esecutivo europeo:
le decisioni giudiziarie emesse da un giudice di uno Stato membro
le transazioni giudiziarie
gli atti pubblici (la cui autenticità sia attestata da autorità pubblica dello Stato membro da cui proviene) che abbiano ad oggetto crediti non contestati (articolo 3).

Un credito si considera non contestato se:
• il debitore l’ha espressamente riconosciuto nell’ambito di un procedimento giudiziario (articolo 3.1.a)
• il debitore l’ha espressamente riconosciuto in un atto pubblico (articolo 3.1.d, forma con la quale può essere stipulata anche una transazione stragiudiziale)
• il debitore non l’ha mai contestato nel corso del procedimento giudiziario (articolo 3.1.b, quale è da considerarsi il decreto ingiuntivo non opposto entro il termine)
• il debitore, pur avendo contestato inizialmente il credito stesso nel corso del procedimento, non è comparso, nemmeno tramite rappresentante, ad un’udienza, sempre che tale comportamento equivalga a un’ammissione tacita del credito o dei fatti sostenuti dal creditore (articolo 3.1.c).

Con l’applicazione del Regolamento CE 805/2004 è quindi possibile ottenere con un semplice modulo, se ricorrono le condizioni di cui sopra, il titolo esecutivo europeo sia per le decisioni giudiziarie (inclusi decreti ingiuntivi non opposti), sia per le transazioni giudiziarie e gli atti pubblici, così evitando gli adempimenti normalmente necessari
per l’esecuzione di una sentenza in un altro Stato dell’Unione europea.

N. B.  Non è da dimenticare però che, per potersi avvalere del titolo esecutivo europeo, è necessario rispettare, in caso di mancata scelta del giudice competente, le regole sulla competenza giurisdizionale stabilite dal Regolamento (UE) n. 1215/2012 (si veda paragrafo precedente), con la già ricordata rilevanza dell’INCOTERM prescelto.

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01/10/2018 - 17:18

Aggiornato il: 01/10/2018 - 17:18

5.2.3 - L'ingiunzione di pagamento europea


Sempre sulla via della semplificazione e dell’accelerazione del recupero dei crediti in materia in materia civile e commerciale in altri Stati membri, l’Unione europea ha emanato il Regolamento CE 1896/2006, che istituisce una procedura ingiuntiva detta ingiunzione di pagamento europea.

Questo strumento è caratterizzato da sostanziali novità volte ad agevolare il percorso di recupero del credito, specie da parte delle imprese che avranno modo di organizzare internamente le relative attività, dato che:
non è necessariamente richiesta l’assistenza di un avvocato
• la procedura si svolge tramite moduli prestampati
• il termine per il pagamento o per l’opposizione è più breve di quello del decreto ingiuntivo ordinario (di norma 30 giorni anziché 50)
• è possibile rinunciare preventivamente al giudizio in caso di contestazioni promosse in via di opposizione da parte del debitore.

Per utilizzare questo strumento, supplementare e alternativo (non sostitutivo) rispetto al procedimento ingiuntivo ordinario, deve trattarsi di crediti di denaro, determinati e scaduti.
La domanda di ingiunzione può essere richiesta dall’impresa direttamente al giudice competente (determinato in base al Regolamento (UE) n. 1215/2012) compilando un modulo allegato al Regolamento e fornendo alcune informazioni, principalmente relative al creditore e al debitore (nome, indirizzo) ed al credito (importo, fatture, interessi, rapporto e circostanze da cui il credito deriva).
La procedura prosegue tramite moduli: il giudice può chiedere integrazioni o rettifiche della domanda e emettere l’ingiunzione che il debitore può contestare, instaurando un giudizio di opposizione ordinario, entro 30 giorni. Tuttavia, novità molto interessante, l’impresa creditrice può dichiarare di essere contraria al passaggio al procedimento ordinario in caso di opposizione da parte del debitore. La domanda può sempre essere riproposta, anche in via ordinaria.

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07/09/2018 - 16:27

Aggiornato il: 07/09/2018 - 16:27

5.2.4 - Le strade alternative alla giurisdizione ordinaria: arbitrato e mediazione


L’arbitrato e la mediazione sono strumenti con cui si possono risolvere le controversie commerciali, che si pongono come alternativi rispetto alla via giudiziaria.

Si tratta infatti di procedure gestite da soggetti diversi dal giudice, che presentano significativi vantaggi rispetto al processo civile, tra cui i tempi più brevi e la maggior riservatezza, ma che differiscono profondamente tra loro per il carattere e l’efficacia.

L’arbitrato e la Camera Arbitrale del Piemonte
Si può ricorrere all’arbitrato se le parti hanno espresso questa scelta al momento della conclusione del contratto, prevedendo un’apposita clausola. La clausola per arbitrato amministrato prevista da un’apposita istituzione è del tipo “Qualsiasi controversia derivante dal presente contratto sarà sottoposta ad arbitrato rituale secondo il Regolamento della Camera Arbitrale di …... L’arbitrato si svolgerà secondo la procedura di arbitrato ordinario di diritto o di arbitrato rapido di equità a seconda del valore, così come determinato ai sensi del Regolamento.” e porta ad una decisione (lodo) che ha lo stesso valore della sentenza del Tribunale ed è eseguibile all’estero.

N.B, Per la soluzione delle controversie delle PMI, un valido strumento è infatti rappresentato dall’arbitrato rituale ed amministrato, ossia gestito da un’istituzione, in base ad un regolamento da essa predisposto. Questo tipo di arbitrato conduce ad una decisione, il lodo rituale, che ha efficacia di sentenza, e dunque, pur con altre forme, ha la medesima funzione del giudizio statale.

Altri tipi di arbitrato, che si ritengono meno consigliabili per le controversie delle PMI all’estero, sono invece:
• l’arbitrato irrituale, che conduce ad un lodo che ha un mero valore negoziale (e non di sentenza)
• l’arbitrato che non è amministrato da un’istituzione arbitrale (arbitrato ad hoc) che non consente di beneficiare dell’organizzazione dell’istituzione arbitrale, del suo regolamento (che ne disciplina i tempi) e del suo tariffario (che ne disciplina i costi).

Oltre ai motivi sopra accennati che possono condurre l’impresa italiana a preferire l’arbitrato rituale amministrato alla giustizia statale per la soluzione delle proprie controversie commerciali, anche internazionali, non si dimentichi che esso rappresenta una scelta fortemente consigliabile nei rapporti con i partner aventi sede fuori dall’Unione europea.

Infatti, ad eccezione di pochi Paesi con i quali l’Italia ha stipulato accordi bilaterali sul reciproco riconoscimento delle sentenze, al di fuori dell’Unione europea le sentenze italiane non sono facilmente eseguibili a causa dei complessi e incerti procedimenti (detti exequatur) previsti, nei vari Paesi stranieri, per il vaglio delle sentenze estere.

I lodi arbitrali possono invece trovare esecuzione grazie ad una convenzione internazionale di ampio consenso mondiale: quasi 200 Paesi hanno ratificato la Convenzione di New York del 1958 impegnandosi al reciproco riconoscimento ed esecuzione dei lodi arbitrali.

Una delle maggiori criticità che l’Italia presenta agli occhi degli imprenditori (italiani e soprattutto stranieri) è costituita dalle tempistiche processuali che non sempre offrono sufficienti garanzie di celerità agli imprenditori che vogliano portare la propria produzione sul nostro territorio.
Proprio per ovviare a questo tipo di problema il sistema delle Camere di commercio piemontesi ha costituito, diciassette anni fa, la Camera Arbitrale del Piemonte.
Obiettivo principale dell’organismo è quello di aiutare le imprese a trovare una definizione delle controversie commerciali attraverso il servizio di arbitrato amministrato che prevede la nomina di un arbitro e il controllo di costi e tempi della procedura attraverso apposito Regolamento. Il sistema camerale infatti, è inserito attivamente, alla luce della sua posizione di terzietà, nel circuito della giustizia, con l’amministrazione delle procedure di risoluzione alternativa delle controversie. Tale funzione istituzionale è riconosciuta dalla Legge 580/1993 (articolo 2, lettera g) come modificata dal D.lgs. 23/2010. In tale contesto, la Camera Arbitrale del Piemonte si occupa, a seguito della riforma della Mediazione, esclusivamente della gestione delle procedure di Arbitrato Amministrato.

La decisione resa dall’ arbitro (unico o collegiale, ferma restando la riserva di nomina da parte delle aziende in lite) ha infatti lo stesso valore di una sentenza di Tribunale.

I servizi della Camera Arbitrale del Piemonte


I vantaggi nello scegliere di affidarsi alla Camera Arbitrale del Piemonte sono molteplici. Vengono infatti garantiti:
• nomina di professionisti (avvocati, notai, commercialisti ed esperti contabili) competenti e imparziali
• costi contenuti e predefiniti in un apposito tariffario pubblico
• decisione rapida (4 mesi nel caso dell’arbitrato rapido, 6 mesi nel caso dell’arbitrato ordinario), salvo proroghe nei casi più complessi, che portano la durata in un anno)
• procedura predefinita a partire dal Regolamento
• segreteria di riferimento in Torino per deposito e scambio atti
• scelta della sede istruttoria fissata dall’arbitro in luogo ritenuto opportuno nell’interesse delle parti
• servizio di consulenza gratuito fornito dagli esperti della Camera Arbitrale nella redazione della clausola compromissoria per la quale viene predisposto un apposito modello
• servizio di assistenza gratuito nella redazione e nel deposito della domanda e della risposta di arbitrato rapido, ferma sempre la possibilità di farsi assistere da un legale di parte
• servizio di ricezione e scambio di atti, verbalizzazione delle udienze, comunicazioni tempestive e funzionali a garantire il rispetto delle corrette tempistiche delle procedure
• riservatezza della procedura
• controllo sulla regolarità della procedura e dei requisiti formali del lodo




Collaborazione con gli Ordini Professionali Piemontesi

Dal 2004 la Camera Arbitrale del Piemonte può avvalersi della preziosa collaborazione istituzionale degli Ordini Professionali degli Avvocati, dei Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili e dei Notai: i rappresentanti di tali Ordini, infatti, siedono nella Giunta Esecutiva della Camera Arbitrale del Piemonte. La collaborazione con gli Ordini è particolarmente strategica per la promozione delle procedure di arbitrato amministrato, poiché proprio i professionisti ne rappresentano i principali diffusori ed utilizzatori, alla luce della loro competenza tecnica. Nel 2014 è stata sottoscritta una Convenzione con tutti gli Ordini Professionali Piemontesi delle tre categorie di riferimento (Avvocati, Notai e Dottori Commercialisti ed Esperti Contabili) con la quale si è formalizzato il coinvolgimento degli Ordini nella designazione di potenziali arbitri idonei ad assumere l’incarico di Arbitro in casi concreti (nei quali la nomina, di competenza della Camera Arbitrale del Piemonte, è effettuata all’interno dei nominativi designati dagli Ordini di volta in volta).

Nel caso dell’arbitrato amministrato rapido come già accennato, l’emissione del lodo avviene entro un massimo di 4 mesi dal deposito della domanda e il dibattimento si svolge tendenzialmente in una sola udienza durante la quale ciascuna delle parti può chiarire la propria posizione (fermo il deposito dei rispettivi atti difensivi iniziali – domanda e risposta). I tempi di definizione della lite risultano pertanto estremamente favorevoli all’impresa specie se confrontati con i diversi anni che costituiscono la durata media di una causa civile in Italia.  Nel delicato ambito del recupero del credito in particolare, l’arbitrato rapido può rappresentare una valida soluzione ai problemi di liquidità delle aziende.
Le imprese possono infatti inserire la clausola arbitrale nei propri contratti, o negli ordini di fornitura/servizi per usufruire dell’arbitrato amministrato in luogo del tribunale per tutti i casi di recupero del proprio credito commerciale (per somme a partire dai 10.000,00 euro). Qualora si voglia inserire la clausola compromissoria per arbitrato commerciale su un ordine di fornitura, questa andrà apposta sul frontespizio dell’ordine con duplice firma e data.
La clausola arbitrale può essere inoltre inclusa negli statuti societari come strumento di soluzione di tutte quelle controversie che possono incorrere tra soci, tra soci e società, o nei confronti di amministratori, sindaci e liquidatori.

I tempi di definizione di un arbitrato amministrato ordinario sono invece di circa sei mesi dalla prima udienza salvo proroghe nei casi più complessi, che portano la durata in un anno.
In entrambe le procedure arbitrali amministrate è comunque previsto un tentativo di transazione per cercare di risolvere la lite con un accordo tra le parti dinnanzi all’arbitro o fuori udienza.

Normalmente le udienze di arbitrato amministrato sono state svolte presso le sedi delle Camere di commercio garantendo un servizio capillare su tutto il territorio piemontese, ma sono molte anche le imprese operanti fuori dalla nostra regione che hanno scelto di avvalersi dei servizi della Camera Arbitrale.
Per quanto riguarda invece la tipologia di contenziosi per cui gli imprenditori hanno scelto l’arbitrato amministrato quale strumento di giustizia alternativa, troviamo gli appalti e le materie commerciali (cessioni d’azienda, compravendite franchising) e la materia societaria (liti fra soci o tra soci e società e/o verso amministratori).

In alcuni casi le liti arbitrali hanno carattere internazionale e coinvolgono almeno un’azienda straniera.

Per maggiori informazioni, modelli di clausola, costi:
http://www.pie.camcom.it/cameraarbitralepiemonte


Collaborazione con la Camera Arbitrale francese di Lione e di Madrid



Proprio per potenziare il servizio di arbitrato amministrato trans-frontaliero è stata definita nel 2012 una stabile collaborazione con la Camera Arbitrale francese di Lione, il CIMA. L’organismo francese, al pari di quello piemontese coinvolge nella gestione dei propri servizi i tre Ordini Professionali (Avvocati, Commercialisti ed Esperti contabili e Notai) oltre al sistema delle Camere di commercio.
Tale accordo è volto a favorire le negoziazioni con le controparti francesi: nelle fasi di accordo contrattuale è possibile inserire la clausola di arbitrato amministrato della Camera Arbitrale del Piemonte nei contratti italo-francesi. All’insorgere dell’eventuale controversia, la Camera Arbitrale del Piemonte e il CIMA si comunicano reciprocamente tutte le informazioni relative alle procedure arbitrali che coinvolgano un’impresa dei rispettivi Paesi. Le Camere nominano un arbitro unico, italiano o francese, o un collegio condiviso e costituito da professionisti scelti alla luce dei criteri di competenza linguistica, professionale e di indipendenza.

Analoga convenzione è stata stipulata nel maggio del 2016 con la Camera Arbitrale di Madrid (Corte de Arbitraje de Madrid).Sempre nell’ottica di fornire un servizio trasparente e puntuale, è stato pubblicato il Regolamento tradotto in inglese e francese con modelli di clausola arbitrale tradotti in tali lingue.

 


La mediazione
La mediazione è una procedura di risoluzione alternativa delle controversie che permette a due o più parti, attraverso l’intervento di un mediatore, di raggiungere in maniera del tutto autonoma la soluzione che esse ritengono la più appropriata e reciprocamente vantaggiosa per porre fine al conflitto che le riguarda.
La mediazione è informale, riservata e la conclusione dell’accordo è rimessa alla volontà delle parti: in qualsiasi momento le parti sono libere di ritirarsi dal tentativo o di non concludere alcun accordo; non è esclusa la possibilità di rivolgersi comunque al giudice ordinario, o all’arbitrato, in caso di insuccesso del tentativo.

Il D.lgs. 28/2010 ha normato in modo organico la mediazione ed ha previsto, tra l’altro, che al verbale di accordo, a seguito dell’omologazione da parte del Presidente del Tribunale, possa essere attribuita efficacia di titolo esecutivo.

La novità più dirompente di tale normativa è senza dubbio la previsione dell’obbligatorietà della mediazione per una serie di materie, per le quali l’esperimento del tentativo di mediazione costituisce condizione di procedibilità in relazione al giudizio ordinario. Tali materie sono:

  •  condominio
  •  diritti reali
  •  divisione
  •  successioni ereditarie
  •  patti di famiglia
  •  locazione
  •  comodato
  •  affitto di azienda
  •  risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti
  •  risarcimento da responsabilità medica
  •  risarcimento da diffamazione con il mezzo della stampa o con altro mezzo di pubblicità
  •  contratti assicurativi
  •  contratti bancari
  •  contratti finanziari

Alla procedura si può accedere prima di iniziare un procedimento, giudiziario o arbitrale; durante lo stesso per verificare se vi siano spazi per sanare il conflitto in tempi brevi e a costi ridotti, o quando sia prevista da una clausola nel contratto e nello statuto.

La procedura di mediazione si conclude entro 3 mesi dal deposito dell’istanza presso un Organismo accreditato, secondo quanto previsto dall’art. 6 del D.lgs. 28/2010, ma può anche essere sufficiente un solo incontro.
Il costo varia a secondo del valore della controversia in base ad uno specifico tariffario e viene sostenuto in misura uguale da entrambe le parti.

Oltre al risparmio dei tempi e dei costi di un processo ordinario, altri vantaggi sono riconosciuti dalla legge per chi conclude un accordo di mediazione:
• l’efficacia di titolo esecutivo dell’accordo;
• un credito d’imposta fino a € 500;
• un’esenzione dall’imposta di registro entro il valore di 50.000,00 euro.

La procedura mediazione si attiva presentando domanda presso un Organismo di Mediazione iscritto presso un apposito Registro ministeriale


ADR Piemonte (Alternative Dispute Resolution)


Le Camere di commercio del Piemonte svolgono servizi di mediazione su tutto il territorio regionale attraverso il loro Organismo associato ADR Piemonte, istituito all’interno dell’Unioncamere Piemonte con sedi a Torino e presso le Camere di commercio di Alessandria, Asti, Biell-Vercelli, Cuneo, Novara e Verbania.

Dall’entrata in vigore dell’obbligatorietà della mediazione, avvenuta il 21 marzo 2011, ad oggi, l’ADR Piemonte ha gestito più di 6.000 procedure su tutto il territorio regionale.
.

Oltre ad essere un organismo di Mediazione (Iscritto al num. 30 dell’Elenco tenuto dal Ministero di Giustizia), ADR Piemonte è anche Ente di Formazione accreditato al Ministero di Giustizia ed organizza corsi di formazione per mediatori per tutte le Camere di commercio piemontesi.
Dall’entrata in vigore della normativa sulla mediazione obbligatoria la domanda formativa è molto aumentata e ad oggi ADR Piemonte ha formato oltre 550 nuovi mediatori.
Per ulteriori informazioni si invita a consultare il sito:
http://www.adrpiemonte.it

 

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02/10/2018 - 09:08

Aggiornato il: 02/10/2018 - 09:08

6 - Regole settoriali


Nel presente capitolo si fornisce qualche cenno alle principali regole per l’import-export di prodotti soggetti a specifiche formalità o requisiti quali, ad esempio, i prodotti alimentari, cosmetici ed i prodotti tessili. Si consiglia comunque di approfondire tali tematiche in base alle singole evenienze.

Prima di affrontare i settori specifici, è utile ricordare anche alcune regole di base collegate al commercio all’interno dell’Unione europea oltre agli aspetti fiscali e doganali oggetto del Capitolo 3.

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25/10/2018 - 09:09

Aggiornato il: 25/10/2018 - 09:09

6.1 - Regole di base commercio comunitario


 

Per la commercializzazione dei prodotti sul mercato comunitario occorre tenere in considerazione i seguenti aspetti:

• le regole sulla sicurezza del prodotto, per esempio la normativa che regolamenta la marcatura CE nell’ambito del settore non alimentare
• l’etichettatura

La marcatura CE è un logo che attesta la conformità di un prodotto ai requisiti di sicurezza previsti dalla legislazione comunitaria. Non si tratta quindi né di un marchio di qualità, né di un marchio di origine.

La marcatura CE deve obbligatoriamente essere apposta su un prodotto quando una direttiva o regolamento comunitario lo preveda; se correttamente apposta, conferisce al prodotto il diritto alla libera circolazione in tutto il territorio UE. Negli altri casi, non potrà essere apposta. Occorre quindi verificare quale normativa si applica ai fini della sicurezza del prodotto.

In merito al ruolo della marcatura CE si ricorda la guida realizzata sempre nell’ambito della collana Unione europea. Istruzioni per l’uso, in particolare i seguenti capitoli generali 3 e 4 che illustrano i compiti dei vari soggetti coinvolti (dal fabbricante all’importatore) ed il relativo iter:  https://www.to.camcom.it/marcaturaCE


L’etichettatura
A seconda della categoria merceologica del prodotto trattato occorre verificare l’esistenza della specifica normativa comunitaria e applicazione nello Stato membro di interesse.
L’esistenza di una legislazione di partenza comune a tutti gli Stati membri rappresenta comunque un vantaggio ai fini della commercializzazione.

Di particolare rilevanza è però l’obbligo di tradurre al consumatore, nella lingua di destinazione del prodotto, le indicazioni obbligatorie apposte sull’etichetta ai fini della trasparenza delle informazioni.

Per quanto riguarda invece la commercializzazione nei paesi extra-UE, occorre valutare ogni singola legislazione nazionale che può prevedere requisiti specifici in termini di contenuto dell’etichetta, oltre ad altri aspetti da valutare caso per caso.

E’ utile sottolineare l’importanza della figura dell’importatore nella verifica della sicurezza del prodotto ai fini della sua commercializzazione nel mercato comunitario, delle informazioni da fornire ai clienti finali e di eventuali formalità di iscrizione come nel caso dei registri.


Altre aspetti specifici della normativa comunitaria
Sempre a titolo d’esempio, nell’ambito del commercio comunitario, per i prodotti elettrici ed elettronici e per i prodotti chimici si deve far riferimento anche agli obblighi di registrazione presso i rispettivi Registri previsti dalla legislazione comunitaria per questa tipologia di prodotti:

• Registro AEE (Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche): https://www.registroaee.it/   e siti delle singole Camere di commercio
• Regolamento Reach (prodotti chimici): sito dell’Helpdesk nazionale REACH http://reach.sviluppoeconomico.gov.it/

 

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25/10/2018 - 09:35

Aggiornato il: 25/10/2018 - 09:35

6.2 - Alimenti e bevande


Il commercio dei prodotti alimentari e i certificati per l’importazione e l’esportazione

Come tutte le merci, i prodotti alimentari sono soggetti all’applicazione dei dazi doganali al momento dell’introduzione nel Paese di destinazione, nonché alla presentazione in dogana di tutti i principali documenti di trasporto. Esistono, tuttavia, ulteriori norme che, a seconda della merce trattata e della tipologia di operazione (importazione o esportazione), disciplinano gli scambi internazionali, sia dal punto di vista amministrativo, sia sanitario.

Le operazioni doganali di importazione e di esportazione di determinati prodotti alimentari con alcuni Paesi possono essere subordinate al rilascio di un certificato (o titolo) di importazione o di esportazione emesso dal Ministero dello Sviluppo Economico, secondo le modalità stabilite nel Regolamento delegato UE 2016/1237 della Commissione e nel Regolamento di esecuzione 2016/1239.

Per approfondire questo tema si consiglia di consultare la sezione dedicata del sito del Ministero dello Sviluppo Economico:
http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/commercio-internazionale/import-export/agroalimentare

Per un supporto nella vendita in UE ed esportazione extra UE dei prodotti alimentari (indicazioni riguardo alle fonti istituzionali da consultare per vendere ed esportare nei diversi Paesi, orientamento sui requisiti cogenti nei singoli Paesi extra UE) è a disposizione delle imprese agroalimentari lo Sportello Etichettatura e Sicurezza Alimentare, gestito operativamente dal Laboratorio Chimico Camera di commercio di Torino:  http://www.lab-to.camcom.it/Page/t15/view_html?idp=1088

Lo Sportello fornisce un servizio di primo orientamento in materia di sicurezza alimentare, etichettatura e vendita in Ue ed extra-Ue.

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25/10/2018 - 09:43

Aggiornato il: 25/10/2018 - 09:43

6.2.1 - I certificati e i controlli sanitari


Oltre a quanto detto in precedenza, il commercio internazionale deve rispondere all’esigenza di garantire la sicurezza degli alimenti in rapporto alla tutela della salute delle persone, nel tentativo di prevenire la diffusione di malattie di animali e piante da un Paese all’altro.

Per prevenire la diffusione delle malattie trasmissibili è necessario conoscere le condizioni sanitarie dei luoghi di produzione e dei processi di trasformazione, conservazione e trasporto degli alimenti, limitando la spedizione di prodotti a rischio o provenienti da aree geografiche che possono presentare dei rischi per la salute umana, animale e vegetale.

Pertanto, oltre ai documenti citati in precedenza, è necessario presentare ai punti di ispezione frontaliera presenti in tutti gli spazi doganali del mondo, dei certificati sanitari che possono variare a seconda della tipologia di prodotto e del Paese destinatario, riportanti tutte le informazioni necessarie a stabilirne la provenienza e le caratteristiche.

All’interno del sito internet del Ministero della Salute è possibile trovare un’intera sezione dedicata al commercio dei prodotti alimentari (in importazione e in esportazione). Tuttavia si raccomanda un’attenta lettura di tutti i contenuti pubblicati, poiché in altre sezioni sono riportate informazioni di particolare rilevanza per coloro che intendono avviare e svolgere un’attività economica nel comparto alimentare (si veda ad esempio l’etichettatura, l’igiene e la sicurezza degli alimenti, ecc.).

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25/10/2018 - 09:45

Aggiornato il: 25/10/2018 - 09:45

6.2.2 - L'importazione e lo scambio


Tutti i prodotti alimentari di origine animale e vegetale, indipendentemente dalla quantità e dal fatto che siano in ingresso o in transito sul territorio dell’Unione europea, devono essere sottoposti a specifici controlli sanitari. Le merci, quindi, devono essere sempre accompagnate, oltre che dai principali documenti di trasporto, anche da certificati sanitari specificatamente indicati che devono essere segnalati dall’importatore italiano al suo fornitore straniero.

In particolare:

Si parla di importazione quando le merci (animali vivi o prodotti) che entrano in uno Stato membro dell’UE, provengono da un Paese Terzo cioè non facente parte dei 28 Stati membri dell’Unione europea.

Si parla di scambio quando invece le merci che entrano in uno Stato membro dell’UE provengono da un altro Stato membro UE o da Paesi europei che hanno aderito con specifici accordi al Mercato Unico Europeo (Islanda, Liechtenstein, Norvegia, Svizzera, Isole Faroe, San Marino). Nel sito della Direzione generale della Commissione europea per la Tutela della Salute e dei Consumatori (DGSANCO) sono pubblicati gli elenchi degli stabilimenti riconosciuti per gli scambi ai sensi dei Regolamenti CE 853/2004, 854/2004 e 882/2004:    http://ec.europa.eu/food/food/biosafety/establishments/list_en.htm

Il Paese UE che riceve animali o prodotti di origine animale provenienti da un altro Paese UE può effettuare controlli a sondaggio oppure deve effettuare controlli rinforzati o per sospetto in casi particolari di rischio per la tutela della salute pubblica o animale secondo quanto stabilito dalla Commissione europea con la Direttiva 90/425/CEE per gli animali e la Direttiva 89/662/CEE per i prodotti di origine animale. Per effettuare tali controlli a destino, in Italia si è provveduto ad istituire gli Uffici Veterinari per gli Adempimenti Comunitari (UVAC), dipendenti dal Ministero della Salute.

A livello italiano le imprese che ricevono questi prodotti o animali hanno l’obbligo di registrarsi presso l’UVAC territorialmente competente e quindi pre-notificare nei tempi previsti dalla legge l’arrivo delle merci comunitarie sul territorio nazionale con apposita segnalazione agli uffici UVAC. La procedura è descritta sul sito del Ministero

Le partite di animali e di prodotti di origine animale provenienti da Paesi extra-UE devono invece superare il controllo veterinario e doganale in frontiera, prima di essere ammessi nel territorio dell’Unione. In Italia i controlli sanitari su tali prodotti sono attribuiti al Ministero della Salute e vengono effettuati presso i Posti di Ispezione Frontaliera (PIF).  Informazioni sul sito del Ministero

Le condizioni previste dalla Commissione europea per l’importazione di animali vivi (sanitarie e di benessere degli animali durante il trasporto) e per l’importazione di prodotti di origine animale, sono consultabili al seguente link:
http://ec.europa.eu/food/international/trade/index_en.htm
Sul seguente sito della DGSANCO della Commissione Europea, è inoltre consultabile l’elenco degli stabilimenti extra-UE che trattano questi prodotti e che sono autorizzati e riconosciuti dall’Unione europea:  https://ec.europa.eu/food/safety/international_affairs/trade/non-eu-countries_en

Anche i controlli relativi alla sicurezza dei prodotti vegetali provenienti da Paesi extra-UE sono attribuiti, in Italia, al Ministero della Salute e vengono effettuati dagli Uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera (USMAF). Tali controlli sono eseguiti su tutte le partite di prodotti vegetali destinati all’alimentazione umana, nonché sugli additivi, sugli aromi e sui materiali destinati a venire a contatto con gli alimenti.

Per approfondire questo tema si consiglia di consultare la sezione dedicata sul sito del Ministero della Salute nella sezione Temi e Professioni/Alimenti selezionando Sicurezza Alimentare - Controlli alla frontiere:  http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_3_alimenti.html

Per consultare gli elenchi aggiornati e le attività di tutti gli uffici periferici del Ministero della Salute (PIF-UVAC-USMAF) accedere al seguente link: http://www.salute.gov.it/portale/uvacpif/homeUvacPif.jsp

 

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25/10/2018 - 10:18

Aggiornato il: 25/10/2018 - 10:18

6.2.3 - L'esportazione


Similmente a quanto descritto nel paragrafo precedente, i Paesi extra-UE destinatari di prodotti alimentari provenienti da un Paese UE possono richiedere che questi siano accompagnati da opportune certificazioni sanitarie.

Le certificazioni necessarie sono stabilite dal Paese extra-UE destinatario e devono essere segnalate dall’importatore straniero all’esportatore italiano, affinché quest’ultimo possa contattare la propria autorità sanitaria per attivare i controlli previsti e sottoscrivere le certificazioni richieste.

In Italia il controllo ufficiale sui prodotti alimentari ai sensi dei Regolamenti CE 854/2004 e 882/2004 è svolto, principalmente, dai Servizi di igiene degli alimenti e della nutrizione (SIAN) e dai Servizi veterinari delle Aziende Sanitarie Locali (ASL), presenti su tutto il territorio nazionale. L’elenco delle ASL piemontesi è disponibile on line sul sito della Regione Piemonte alla pagina:  http://www.regione.piemonte.it/sanita/cms2/organizzazione/aziende-sanitarie

A seconda delle necessità, contattando il SIAN o il Servizio veterinario dell’ASL competente per la zona in cui ha o avrà sede la propria impresa, sarà possibile ottenere ulteriori informazioni sul tema. Il SIAN si occupa del controllo in generale dei prodotti destinati all’alimentazione e dei requisiti strutturali e funzionali che devono possedere i laboratori e gli esercizi di produzione, confezionamento, trasporto, vendita e somministrazione degli alimenti.

Il Servizio veterinario svolge una specifica attività di ispezione, vigilanza e controllo degli alimenti di origine animale (ad esempio latte, uova, carne, pesce, prodotti derivati) in tutte le fasi del ciclo di vita del prodotto (macellazione, conservazione, trasformazione, lavorazione, deposito, trasporto e vendita), con l’obiettivo di promuovere il costante e continuo miglioramento delle condizioni di sicurezza alimentare.  Il Servizio, inoltre, rilascia pareri tecnici per la registrazione e il riconoscimento degli stabilimenti e degli esercizi, nonché certificazioni per l’esportazione di alimenti di origine animale.

Le certificazioni sanitarie richieste dai Paesi extra-UE possono essere sottoscritte dal medico/veterinario della ASL competente, solo qualora gli elementi richiesti dalle autorità del Paese siano effettivamente documentabili e certificabili. In caso di dubbio, il medico/veterinario può richiedere un parere al Ministero della Salute.

Per alcuni Paesi extra-UE e relativamente a prodotti specifici esistono modelli di certificati sanitari concordati tra le autorità del Paese destinatario e l’Italia (o l’Unione europea). In tal caso il medico/veterinario dovrà fare riferimento a tali modelli per le certificazioni dei prodotti destinati all’esportazione.

Per approfondire questo tema si consiglia di consultare la sezione dedicata alla Esportazione degli alimenti, nell’area tematica del Ministero della Salute dedicata agli Alimenti selezionado Sicurezza alimentare/ Esportazione degli Alimenti:
http://www.salute.gov.it/portale/temi/p2_3_alimenti.html

Da questa sezione è possibile consultare la sottosezione dedicata ai Certificati per l’esportazione in base al prodotto ed al paese.

Nell’ambito dei prodotti alimentari gli integratori, gli alimenti per alimentazione particolare e novel food rappresentano categorie particolari.
Per approfondimenti si veda il sito del Ministero della Salute

Contatti

Ministero della Salute
Direzione generale per l’igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione
Viale Giorgio Ribotta 5 - 00144 Roma
Tel. 06 59946616
E-mail: segreteriadgsan@sanita.it

In merito all’esportazione dei prodotti alimentari nei Paesi extra-UE è possibile consultare la guida dedicata a questo argomento, realizzata nell’ambito della collana Unione europea. Istruzioni per l’uso con il supporto del Laboratorio Chimico Camera di commercio Torino e disponibile on-line all’indirizzo: https://www.to.camcom.it/n-22013-lesportazione-degli-alimenti-nei-paesi-extra-ue

 

 

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25/10/2018 - 10:25

Aggiornato il: 25/10/2018 - 10:25

6.3 - Cosmetici


Per prodotti cosmetici si intendono “qualsiasi sostanza o miscela destinate ad essere applicate sulle superfici esterne del corpo umano (epidermide, sistema pilifero e capelli, unghie, labbra, organi genitali esterni) oppure sui denti e sulle mucose della bocca allo scopo, esclusivo o prevalente, di pulirli, profumarli, modificarne l’aspetto, proteggerli, mantenerli in buono stato o correggere gli odori corporei” così come recita la definizione riportata sul già citato sito del Ministero della Salute.

In Italia i prodotti cosmetici sono disciplinati dal Regolamento CE 1223/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio del 30 novembre 2009 sui prodotti cosmetici.

Il Regolamento, in particolare, fornisce indicazioni in merito ad aspetti relativi alla composizione dei prodotti cosmetici, alla presentazione (ossia l’etichettatura, il confezionamento ed ogni altra forma di presentazione esterna del prodotto), alla valutazione della sicurezza, alla sperimentazione animale, agli adempimenti necessari per l’immissione sul mercato di prodotti cosmetici e alle informazioni sugli effetti indesiderabili gravi.

In merito al commercio intracomunitario, il Regolamento CE 1223/2009 ha introdotto la notifica europea di commercializzazione. In particolare l’art. 13 del Regolamento descrive la nuova procedura di notifica centralizzata di commercializzazione dei prodotti cosmetici che viene effettuata a livello europeo. La notifica avviene in formato elettronico per via telematica, compilando il modulo di notifica on line attraverso il sistema denominato Cosmetic Product Notification Portal (CPNP), portale istituito e gestito dalla Commissione Europea. La notifica permette quindi una commercializzazione nei vari Stati membri, fermo restando l’obbligo di traduzione delle informazioni destinate al consumatore finale.

Per esportare in Paesi extra-UE prodotti cosmetici, le aziende possono richiedere al Ministero della Salute di rilasciare un documento chiamato “Certificato di libera vendita” nel quale si dichiara, considerando sia le dichiarazioni rese dall’impresa sia le procedute regolatorie dell’Autorità competente che i prodotti, in tali circostanze, possono essere venduti liberamente in Italia.

Anche le Camere di commercio possono rilasciare “attestati di libera vendita” che non sostituiscono però i certificati rilasciati dai Ministeri laddove richiesti.

N.B. In ogni caso per la commercializzazione nei Paesi extra-UE, occorre informarsi su ulteriori specifici requisiti previsti dalla legislazione del paese di destino.

Per approfondire questo tema, per consultare un elenco completo dei riferimenti normativi e per scaricare i formulari necessari per trasmettere le comunicazioni sopra indicate, si consiglia di consultare la sezione dedicata ai Cosmetici, a cui si accede dal sito del Ministero della Salute selezionando l’area tematica Dispositivi medici e altri prodotti

Il sito è strutturato in varie sottosezioni che comprendono informazioni sull’etichettatura, sulla vigilanza, sulla commercializzazione con indicazioni sulla notifica europea di commercializzazione.

Contatti

Ministero della Salute
Direzione generale dei dispositivi medici e del servizio farmaceutico
Viale Giorgio Ribotta, 5 - 00144 – Roma
Tel. 06 5994 3199 / 3207
E-mail: segr.dgfdm@sanita.it
 

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25/10/2018 - 10:32

Aggiornato il: 25/10/2018 - 10:32

6.4 - Prodotti tessili


Nel caso di importazione di prodotti tessili è possibile consultare la “Guida all'importazione di prodotti tessili” del Ministero dello Sviluppo Economico.

Nella guida, oltre all’indicazione dei Paesi Terzi d’origine e delle relative merci, la cui immissione in libera pratica è subordinata alla esibizione di una autorizzazione d’importazione, sono riportate le procedure per la presentazione delle domande e per il rilascio delle licenze: http://www.sviluppoeconomico.gov.it/index.php/it/commercio-internazionale/import-export/tessile-import

Per approfondire questo tema si consiglia di fare riferimento agli uffici del Ministero dello Sviluppo Economico che hanno pubblicato la guida sopracitata.

Contatti

Ministero dello Sviluppo Economico
Direzione generale per la politica commerciale internazionale
Divisione III - Accesso dei beni italiani nei mercati esteri e difesa commerciale delle imprese
Viale Boston 25 - 00144 Roma
tel.  06 5993 2289 – 2404 – 2333 - 2403
E-mail: dgpci.div3@mise.gov.it 

Etichettatura

A livello di commercio nell’Unione Europea, l'etichettatura  e la presentazione dei prodotti tessili è disciplinata, a partire dall' 8 maggio 2012 dal Regolamento UE 1007/2011 relativo alle denominazioni delle fibre tessili e all'etichettatura e al contrassegno della composizione fibrosa dei prodotti tessili, integrata dalla legislazione trasversale sulla sicurezza generale dei prodotti (Direttiva 2001/95/CE) di cui per l’Italia il riferimento è il Codice del Consumo, ovvero il Decreto legislativo 6 Settembre 2005 n. 206.
Per ulteriori informazioni: https://www.to.camcom.it/etichettatura-prodotti-tessili


Si ricorda la necessità di traduzione dell’etichetta nella lingua del paese del consumatore (quindi se si tratta di prodotti importati per essere venduti in Italia l’etichetta deve essere in italiano).

Nel caso di esportazione verso Paesi extra-UE, occorre verificare i requisiti previsti dalla legislazione del singolo Paese di destino, ovvero possono esserci ulteriori indicazioni da fornire in etichetta e non è quindi sufficiente solo tradurre il contenuto.

 

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25/10/2018 - 10:34

Aggiornato il: 25/10/2018 - 10:34

Scheda 1 - Glossario Termini Doganali


La presente scheda contiene un glossario dei principali termini usati nelle operazioni doganali.

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20/09/2023 - 11:13

Aggiornato il: 20/09/2023 - 11:13

Scheda 2 - Focus sull'origine delle merci


Il presente approfondimento è composto da una prima parte, in cui, dopo una premessa introduttiva sul concetto di origine non preferenziale e preferenziale, sono illustrati le regole da seguire al fine della determinazione dell’origine ed una seconda parte che ne illustra i relativi documenti comprovanti.

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20/09/2023 - 11:13

Aggiornato il: 20/09/2023 - 11:13

Scheda 3 - panoramica delle normative nazionali sul contratto di agenzia in alcuni paesi


La presente scheda si propone di fornire a titolo di esempio un confronto tra alcune normative nazionali sia in paesi Ue che extra-Ue.

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20/09/2023 - 11:12

Aggiornato il: 20/09/2023 - 11:12