1.1 - Avviare un'attività autonoma o diventare imprenditore


Non sempre è chiaro il significato di espressioni quali «mettersi in proprio», «avviare un’attività autonoma» o «diventare imprenditore».
«Mettersi in proprio» è un’espressione generica che si riferisce a tutte le attività di lavoro non dipendente: si può dire, quindi, che chiunque avvia un’attività lavorativa in forma non subordinata «si mette in proprio».
Più difficile è distinguere l’«attività di lavoro autonomo» dall’«attività imprenditoriale»: in genere, tuttavia, si attribuiscono al lavoro autonomo delle caratteristiche diverse da quelle dell’impresa.

Tutte le attività di lavoro indipendente si possono perciò classificare, secondo le norme civilistiche e fiscali 1, in due categorie principali:
attività di impresa;
attività di lavoro autonomo

Secondo un altro punto di vista, a partire dall’istituzione del Registro delle imprese presso le Camere di commercio, tutte le attività di lavoro indipendente possono essere «rilette» secondo la seguente ripartizione:

• Impresa commerciale e Impresa agricola;
• Piccola impresa;
• Lavoro autonomo.

Tale ripartizione tiene meno conto della differenza tra «attività economica di impresa» e «attività economica non di impresa», ed è legata piuttosto alla dimensione e tipologia dell’«azienda» (cioè – come vedremo più avanti – la combinazione di capitale e lavoro utilizzata dall’imprenditore nell’esercizio della propria attività):

quando l’azienda è grande si ha l’imprenditore in senso stretto, che può essere commerciale (da non confondersi con il «commerciante» – v. più avanti) o agricolo a seconda dell’ambito in cui l’azienda opera;
quando l’azienda è piccola si ha il piccolo imprenditore, figura ibrida in cui confluiscono alcuni piccoli imprenditori commerciali (i piccoli commercianti), i piccoli imprenditori agricoli, gli artigiani e tutti coloro che svolgono attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei familiari);
quando l’azienda non esiste si ha il lavoro autonomo.


Naturalmente esistono infiniti dibattiti in dottrina e giurisprudenza per chiarire i confini tra questi istituti, ma è chiaro che la soluzione di questi problemi non rientra nei compiti della nostra pubblicazione. In ogni caso, ciò che conta per chi legge è che rientrare in uno piuttosto che in un altro di questi quattro tipi di attività, è rilevante a diversi fini: fallimento, tenuta dei libri contabili, regime della pubblicità verso terzi degli atti costitutivi e dei bilanci, regime previdenziale e fiscale ed accesso al credito.


1 Quando si parla di normativa civilistica, si fa riferimento soprattutto al codice civile (c.c.); quando si parla di normativa fiscale si fa riferimento ad alcune leggi fondamentali, tra cui il Testo Unico Imposte sui Redditi (T.U.I.R.), le leggi IVA, ecc.

Attività d'impresa

Attività di lavoro autonomo

Condividi su:
Stampa:
Stampa capitolo in un file PDF:
09/11/2015 - 10:47

Aggiornato il: 09/11/2015 - 10:47

1.1.1 - Cosa si intende per "attività di impresa"


Il Codice Civile non fornisce la definizione di «impresa», ma quella di «imprenditore» (art. 2082 c.c.). 

È imprenditore chi esercita professionalmente una attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e di servizi.

È evidente che l’attività citata dal codice (economica, organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni e di servizi, esercitata professionalmente) non è altro che l’impresa. Quest’ultima può essere perciò definita come l’«attività dell’imprenditore».

In base a questa definizione risulta chiaro che, affinché vi sia impresa, devono ricorrere le seguenti condizioni:
• l’esercizio di una attività economica diretta alla produzione o allo scambio di beni e di servizi;
• l’organizzazione dell’attività;
• la professionalità.

Esaminiamole brevemente.

Per non fare confusione: impresa, azienda, ditta

Nel linguaggio comune, «impresa», «azienda» e «ditta» sono usati come sinonimi. Giuridicamente tali termini definiscono, invece, tre concetti diversi:
• l’impresa è l’attività svolta dall’imprenditore;
• l’azienda è lo strumento necessario per svolgere tale attività: locali, mobili, macchinari, attrezzature, ecc.;
• la ditta è la denominazione commerciale dell’imprenditore, (art. 2563 c.c.), cioè il nome con cui egli esercita l’impresa distinguendola dalle imprese concorrenti: così come le persone devono avere un nome e un cognome, anche l’impresa deve avere una «ditta».1


1 Vedi più avanti, «I segni distintivi dell’impresa».

Condividi su:
Stampa:
Stampa capitolo in un file PDF:
09/11/2015 - 10:48

Aggiornato il: 09/11/2015 - 10:48

1.1.2 - Caratteristiche dell'impresa


Esercizio di un’attività economica diretta alla produzione o allo scambio di beni e di servizi

L’«attività economica» è un’attività diretta alla creazione di nuova ricchezza, non solo attraverso la produzione di nuovi beni, ma anche aumentando il valore di quelli esistenti (per esempio trasformandoli o mettendoli in commercio). Non rientrano in questa definizione le attività culturali, intellettuali o sportive: ad esempio lo scrittore, lo scienziato, il calciatore non sono considerati imprenditori.

Organizzazione dell'attività

L’attività economica si considera «organizzata» – e può assumere quindi caratteristiche d’impresa – quando è svolta attraverso un’«azienda».
In proposito il codice civile (art. 2555) definisce l’azienda come il «complesso dei beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa»: macchinari, impianti, attrezzature, locali, arredi, ecc., o più genericamente capitali. Tuttavia oltre che di capitali l’azienda è fatta anche di lavoro, cioè di risorse umane, ognuna con una propria funzione, coordinate e dirette dall’imprenditore.

L’organizzazione deve avere un’importanza apprezzabile nell’esercizio dell’attività: se questa è esercitata con strumenti modesti e senza ricorrere al lavoro altrui, non è attività organizzata (e non può quindi, in questo senso, considerarsi impresa). Per esempio un grafico web che lavori da solo e con l’utilizzo di mezzi ridotti (studio in casa, telefono, computer, ecc.) non è considerato in genere imprenditore ma lavoratore autonomo, come vedremo trattando di questo argomento.

Non è richiesto che l’imprenditore sia anche proprietario dei beni organizzati: è sufficiente che egli ne abbia la disponibilità a qualsiasi titolo (affitto di un’azienda, uso gratuito di un capannone industriale, ecc.).

Quando l’imprenditore non è proprietario di azienda
Proprietario di azienda non vuol dire necessariamente imprenditore. Ad esempio, se Mario Bianchi acquista un negozio di frutta e verdura e lo gestisce personalmente, è imprenditore e proprietario insieme; ma se decide di darlo in locazione, cessa di essere imprenditore, e quindi non ne ha più gli obblighi né i diritti. In questo caso, imprenditore diventa il «conduttore», cioè chi ha preso l’azienda in affitto, con tutte le conseguenze che ne derivano ai fini fiscali, contributivi e delle responsabilità verso terzi.

Professionalità

La professione è l’esercizio abituale e prevalente di un’attività: per «professionalità» s’intende quindi la sistematicità, la non sporadicità dell’attività esercitata.
Ad esempio, uno studente universitario che occasionalmente faccia interviste per una società di indagini demoscopiche non svolge attività professionale, quindi non è considerato imprenditore.
Non è necessario, invece, che l’attività sia svolta ininterrottamente: una attività stagionale, quando sia esercitata in forma organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni e servizi (per esempio la gestione di uno stabilimento balneare), costituisce attività d’impresa.
In genere, il requisito della professionalità implica anche lo «scopo di lucro», che in senso stretto è l’intento di ottenere dei ricavi superiori ai costi e conseguire quindi un utile. Tuttavia, le imprese pubbliche e alcuni tipi di imprese private (ad esempio le cooperative) non hanno scopo di lucro in questo senso. Per esse, dunque, tale concetto è inteso in senso più ampio, come «scopo genericamente egoistico» o quantomeno come «criterio di economicità di gestione» (in modo da coprire i costi).

Quando l’attività non è «impresa»

Se si vuole avviare un’attività:
• con un fine non economico (ad esempio un circolo ricreativo o culturale);
non organizzata tramite un’azienda (ad esempio un fotografo ambulante con un’attrezzatura modesta);
• esercitata non in forma professionale (ad esempio delle ripetizioni private a tempo perso),
è facile dedurre che non si tratta di impresa.
Gli enti che hanno un obiettivo non economico quale quello morale, ricreativo, culturale, sportivo, scientifico, ecc., sono inquadrati in apposite figure giuridiche («Associazioni», «Fondazioni», ecc.).1


1 Su questo argomento si rimanda al capitolo sugli aspetti giuridici

Condividi su:
Stampa:
Stampa capitolo in un file PDF:
09/11/2015 - 10:50

Aggiornato il: 09/11/2015 - 10:50