4 - La consegna e la qualità della merce


Per tutelare il buon fine dell’operazione commerciale è necessario che l’imprenditore italiano che vende all’estero presti particolare attenzione alla definizione contrattuale delle sue principali obbligazioni:
• la consegna della merce
• la qualità della merce.

In caso contrario, il venditore italiano va incontro a maggiori probabilità di contestazioni della fornitura, più o meno fondate, magari derivanti da semplici malintesi o addirittura pretestuose, che spesso mettono a rischio il pagamento del prezzo convenuto, oltre a determinare pericolose responsabilità per danni.

Anche l’imprenditore italiano che compra dall’estero deve curare gli aspetti contrattuali della consegna della merce e della sua qualità, altrimenti rischia di ricevere merce non conforme o danneggiata dal trasporto oppure in ritardo, senza potersi rivalere sul fornitore per i danni subiti e senza nemmeno poter ottenere la restituzione del prezzo o liberarsi dall’obbligo di pagare.

Quindi, l’accorta organizzazione degli aspetti relativi alla consegna e alla qualità della merce è essenziale sia per chi vende all’estero sia per chi compra dall’estero.
Il connesso aspetto del pagamento, anche sotto il profilo della gestione dell’eventuale fase di recupero del credito, è trattato nel capitolo 5.

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19/07/2023 - 11:16

Aggiornato il: 19/07/2023 - 11:16

4.1 - La consegna della merce


La vendita internazionale implica normalmente il trasporto delle merci lungo percorsi estesi che richiedono in genere la movimentazione delle merci con mezzi di diverso tipo e l’intervento di vari soggetti. Si tratta quindi di un’operazione complessa che comporta elevati rischi per la merce nonché per le operazioni commerciali e produttive nell’ambito delle quali si colloca la vendita. La merce rischia, infatti, di subire danni a causa del trasporto, furti o di arrivare a destinazione in ritardo, il che può causare seri pregiudizi al compratore, che necessita della merce per rivenderla o per impiegarla nel proprio processo produttivo. Su chi ricadono questi rischi? Qual è il punto oltre il quale l’imprenditore italiano non è responsabile di questi problemi e, se vende, pretendere comunque il pagamento o, se compra, farsi indennizzare dal venditore straniero?
Al fine di limitare questi rischi è importante che l’imprenditore italiano si preoccupi di organizzare contrattualmente i più rilevanti aspetti relativi al trasporto della merce, suddivisi secondo le due variabili, tra loro connesse, dello spazio e del tempo, ossia:

• il luogo della consegna
• il tempo della consegna.

Prima di trattare il rapporto contrattuale tra venditore e compratore in relazione alle obbligazioni di consegna della merce ed alle relative responsabilità, è utile fare riferimento a due soggetti, terzi rispetto al contratto di vendita, ma che entrano in rapporti contrattuali con il venditore o con il compratore, a seconda dei casi, e che rivestono un ruolo centrale nella consegna: il vettore e lo spedizioniere.

Al fine della consegna della merce all’estero, infatti, l’imprenditore italiano può trovarsi a concludere:

• un contratto di trasporto
• un contratto di spedizione.

In base al contratto di trasporto (articoli 1678 e seguenti del codice civile), il vettore si obbliga a trasferire (con mezzi propri o altrui) le merci a destinazione, assumendo responsabilità per gli eventuali danni derivanti da suoi inadempimenti, quali, ad esempio, il ritardo rispetto al termine di riconsegna pattuito oppure la perdita o danneggiamento della merce, a meno che tali eventi non gli siano imputabili, come quando l’avaria della merce sia da attribuirsi al caso fortuito o a vizi dell’imballaggio.

In certi casi sarà anche importante prendere in considerazione le norme che regolano le varie tipologie di trasporto. Ad esempio si consideri che la responsabilità del vettore stradale per perdita o avaria della merce è limitata per legge, salvi i casi di dolo o colpa grave, nei quali i limiti di risarcibilità (1 euro per kg ai sensi del D.lgs. 286/2005) non si applicano.

Diversamente dal contratto di trasporto, nel contratto di spedizione (articolo 1737 e seguenti del codice civile), lo spedizioniere assume esclusivamente l’obbligo di concludere con soggetti terzi, in nome proprio ma per conto dell’imprenditore che l’ha incaricato, il contratto di trasporto e di compiere le operazioni accessorie (ad esempio il pagamento dei dazi doganali).

Lo spedizioniere non assume, quindi, il rischio del trasporto, pertanto non è responsabile del ritardo, dell’avaria o della perdita delle merci trasportate e neppure è tenuto a vigilare sull’operato del vettore.

Lo spedizioniere risponde dell’operato del vettore e degli altri soggetti di cui si avvale nell’esecuzione dell’incarico solo nel caso in cui sia reso responsabile per una scelta colposa di tali soggetti (che siano da considerarsi assolutamente inidonei) o per propri comportamenti colposi nel trasmettere loro le istruzioni.

Avendo incaricato uno spedizioniere e non un vettore di occuparsi della consegna della merce, quindi, non si potrà configurare, salvo i casi di responsabilità per colpa sopra descritti, una responsabilità dello spedizioniere, ma, semmai, solo del vettore da quest’ultimo incaricato, che molte volte è un’impresa straniera, magari sita in un Paese che offre all’impresa italiana scarse prospettive di un’effettiva tutela dei diritti.

Occorre, quindi, prestare molta attenzione a questi profili, anche perché sovente accade che la qualificazione del rapporto come contratto di trasporto o come contratto di spedizione non sia semplice, in quanto la maggior parte degli imprenditori del settore svolge entrambe le attività ed i contratti sono spesso poco chiari.
 

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19/07/2023 - 11:55

Aggiornato il: 19/07/2023 - 11:55

4.1.1 - Il luogo di consegna


L’accordo delle parti di una fornitura internazionale sul luogo di consegna viene determinato, nella maggior parte dei casi, tenendo conto dei costi del trasporto, i quali, a loro volta, influiscono sulla determinazione del prezzo di vendita.

Non si deve tuttavia dimenticare che, data la complessità delle operazioni connesse alla consegna della merce nella vendita internazionale, ci sono altri profili rilevanti da tenere in considerazione.

Primo fra tutti, in ordine di importanza, il rischio di perdita della merce, per furto o per altre circostanze che ne determinino la distruzione oppure di danneggiamento. È da chiedersi su quale delle due parti della vendita internazionale ricada questo rischio, il che dipende dagli accordi contrattuali.

Primi invece, in ordine temporale, dato che implicano attività immediate per le imprese coinvolte, sono gli aspetti relativi agli oneri connessi alla consegna nella vendita internazionale: a quale parte, venditore o compratore, spetti porre in essere tutte le varie attività necessarie, quali la negoziazione e la stipulazione dei vari contratti (trasporto o spedizione, assicurazione) o l’espletamento delle pratiche doganali.

La pratica del commercio internazionale ha fornito da tempo una valida risposta al problema della regolamentazione dei complessi aspetti sopra citati elaborando, dapprima in via consuetudinaria, dei termini di resa che hanno poi costituito l’oggetto di codificazione, quale quella pubblicata, sin dal 1936, della Camera di commercio internazionale di Parigi (CCI), dal titolo INCOTERMS®, molto conosciuta e utilizzata a livello mondiale e giunta oggi all’edizione 2020 (https://www.iccitalia.org/incoterms/). Tale pubblicazione, disponibile in numerose versioni linguistiche (si segnala l’edizione bilingue italiano-inglese), è costituita da undici diversi termini di resa (ciascuno contrassegnato da un proprio acronimo costituito da tre lettere maiuscole, univoco in tutte le lingue), che servono a determinare il luogo di consegna e a suddividere con precisione tra le parti di un contratto internazionale di vendita i più rilevanti aspetti inerenti alla consegna della merce, ossia:

oneri (chi deve fare cosa: stipulare contratti, espletare formalità)

costi (chi deve pagare il prezzo dei contratti, i dazi doganali)

rischi (su chi ricadono le conseguenze della perdita o del danneggiamento della merce).

Per facilitarne la comprensione gli INCOTERMS® 2020 sono raggruppati in 2 categorie: 
7 sono adatti ad ogni tipo di trasporto e anche nel caso in cui si utilizzi più di un modo di trasporto (EXW, FCA, CPT, CIP, DPU, DAP, DDP) e 4 che possono essere utilizzati esclusivamente in caso di trasporto marittimo o per vie d’acqua interne (FAS, FOB, CFR, CIF). 
Gli 11 INCOTERMS® 2020 possono anche essere classificati in base all’entità di obbligazioni in capo al venditore: gruppo E (EXW) comporta minori obbligazioni in capo al venditore), il gruppo F (FCA, FAS, FOB) prevede che il trasporto principale sia a carico del compratore, il gruppo C (CPT, CIP, CFR, CIF) prevede che il venditore paghi il trasporto, ma il rischio sia del compratore e il gruppo D (DAP, DPU, DDP) prevede che il venditore consegni a destino, con trasporto e rischi a suo carico. 



Novità introdotte dagli INCOTERMS® 2020 

Interessante osservare cos’è cambiato negli INCOTERMS® 2020 rispetto alla precedente edizione 2010:
1) FCA e Bill of Lading 
Nelle vendite FCA con trasporto via mare, il venditore, magari beneficiario di un credito documentario, talvolta vorrebbe ottenere una Bill of Lading (polizza di carico marittima) con una on board notation (attestazione che la merce è stata effettivamente caricata a bordo nave). Tuttavia, nel termine FCA, la consegna della merce si perfeziona prima che la stessa venga caricata a bordo della nave.
Per risolvere tale criticità, nel termine FCA INCOTERMS® 2020 è prevista la possibilità di concordare che il compratore istruisca il suo vettore ad emettere e consegnare una on board Bill of Lading al venditore, dopo il carico della merce a bordo nave, che il venditore inoltrerà al compratore utilizzando (di solito) il canale bancario.
Con tale indicazione, la ICC ha riconosciuto una esigenza del mercato pur rilevando un’incongruenza tra il punto di consegna previsto dal termine FCA e la richiesta di una on board Bill of Lading.
La ICC sottolinea, infine, l'opportunità di utilizzare il termine FCA per la vendita di merce containerizzata (manufactured cargoes), evitando il FOB, in quanto tale termine, dovrebbe essere utilizzato esclusivamente per le vendite di merce non containerizzata, come ad esempio le commodities (es. granaglie, petrolio ecc.).

2) Costi
Negli INCOTERMS® 2020, i costi appaiono negli articoli A9/B9 (sezione A The Seller's Obligation, sezione B The Buyer's Obligation - A9/B9 Allocation of costs). In questo modo, l'identificazione dei costi a carico di ciascuna controparte è decisamente più immediata rispetto all'edizione precedente. Si segnala, comunque, che i riferimenti ai c.d. costi, sono anche riportati nei rispettivi articoli: ad esempio i costi relativi all'ottenimento dei documenti nella resa FOB appaiono sia negli articoli A9/B9 sia negli articoli A6/B6. 

3) Differenti livelli di copertura assicurativa nel CIP 
Negli INCOTERMS® 2010 CIP o CIF, il venditore era obbligato a "obtain at its own expense cargo insurance complying at least with the minimum cover as provided by Clauses (C) of the Institute Cargo Clauses (Lloyd's Market Association/International Underwriting Association ‘LMA/IUA') or any similar clauses".
Si ricorda che le Institute Cargo Clauses (C) coprono un numero definito di rischi mentre le Institute Cargo Clauses (A) coprono tutti i rischi ("all risks") ma in entrambe sono previste alcune esclusioni.
Nei nuovi INCOTERMS®, nel CIF rimane l'obbligo, in capo al venditore, salvi diversi accordi, di "obtain, at its own cost, cargo insurance complying with the cover provided by Clauses (C) of the Institute Cargo Clauses (LMA/IUA) or any similar clauses". Nel CIP, invece, l'obbligo, in capo al venditore è quello, salvi diversi accordi, di "obtain, at its own cost, cargo insurance complying with the cover provided by Clauses (A) of the Institute Cargo Clauses (LMA/IUA) or any similar clauses as appropriate to the means of transport used". 

4) Organizzazione del trasporto con mezzi propri nel FCA, DAP, DPU e DDP 
Negli INCOTERMS® 2020 è prevista la possibilità, a differenza della precedente edizione, che il trasporto nelle rese FC, DAP, DPU e DDP venga effettuato utilizzando mezzi di trasporto propri del compratore (nel termine FCA) e del venditore (nei termini D).

5) Modifica sigla DAT in DPU 
Negli INCOTERMS® 2010, nel termine DAT il venditore consegnava la merce "once unloaded from the arriving means of transport into a terminal". Negli INCOTERMS® 2020 è stato modificato il nome del termine da DAT (Delivered at Terminal) a DPU (Delivered at Place Unloaded). Con tale modifica si intende indicare che il luogo di destinazione può essere un qualsiasi posto e non necessariamente un terminal. Ovviamente, se il luogo di destino non è un terminal, il venditore deve assicurarsi che vi sia la possibilità tecnica di scaricare la merce. 

6) Inserimento dei "security-related requirements"
Le "security-related obligations" sono state aggiunte alle sezioni A4 e A7 di ogni Incoterms®. Inoltre, i costi relativi a tali "requirements" sono meglio evidenziati nelle sezioni dei costi A9/B9.

7) Explanatory Notes for Users 
Le "Guidance Notes" riportate all'inizio di ogni INCOTERMS® nell'edizione 2010, ora sono indicate come "Explanatory Notes for Users". Tali note riportano le principali norme di ogni Incoterms® 2020, indicando quando il termine può essere utilizzato, quando si trasferiscono i rischi e come sono ripartiti i costi fra le parti. L'obiettivo dichiarato è quello di aiutare gli operatori ad utilizzare correttamente gli INCOTERMS® 2020.   

Gli INCOTERMS® 2020 forniscono, dunque, alternative diversificate alla ripartizione tra le parti degli oneri, dei costi e dei rischi relativi alla consegna nella vendita internazionale ed hanno l’ulteriore funzione di svincolare la determinazione di tali aspetti dalle norme in tema di passaggio della proprietà previste dalla legge applicabile al contratto internazionale di vendita. Tale aspetto è infatti disciplinato in maniera differente nelle varie leggi nazionali, senza contare che la determinazione della legge applicabile al contratto potrebbe non essere di immediata determinazione.


Suggerimenti per un utilizzo corretto degli INCOTERMS 
Per utilizzare correttamente gli INCOTERMS è necessario scegliere quello che si addice alle esigenze del caso e alla trattativa col partner commerciale, richiamarlo espressamente in contratto: 
ad esempio consegna EXW (Ex Works che equivale a franco fabbrica) Moncalieri INCOTERMS® 2020, indicando quindi il luogo ove è sita la sede del venditore, presso la quale avverrà la consegna, oppure FOB Genova INCOTERMS® 2020, precisando il porto di imbarco. Questo richiamo contrattuale ha l’effetto di recepire nello specifico contratto di vendita tutte le norme che compongono INCOTERM® 2020 EXW oppure FOB (secondo i nostri esempi).
È anche possibile, nei contratti più complessi, pattuire alcune specifiche deroghe alle clausole che compongono INCOTERM® prescelto, qualora nel singolo caso sia necessaria qualche variante. È importante tuttavia non intervenire in modo tale da snaturare l’INCOTERM in questione, in quanto, così facendo, si perderebbe il vantaggio di certezza e prevedibilità che si vuole ottenere con il loro utilizzo.

È inoltre da tenere presente che gli obblighi delle parti che derivano dall’INCOTERM prescelto hanno un’importante influenza su altri aspetti del contratto, innanzitutto sulla modalità di pagamento (si veda il capitolo 5). Ad esempio è del tutto sconsigliabile concordare un pagamento COD (Cash on Delivery) quando il termine di resa sia EXW o un altro termine nel quale il vettore non sia incaricato dal venditore. Anche in caso di pagamento tramite lettera di credito, è da tenere presente quale parte controlla (in quanto suoi incaricati) i soggetti che devono emettere i documenti da presentarsi in utilizzo del credito documentario.

Anche la determinazione del giudice competente si è di recente stabilito possa dipendere dall’INCOTERM® pattuito:.
E’ opportuna a questo punto una precisazione sul concetto di consegna rilevante ai fini dell’individuazione del giudice competente per la risoluzione delle controversie derivanti dal contratto internazionale di vendita. Infatti, ai sensi del Regolamento (UE) n. 1215/2012, che ha sostituito il Regolamento CE n. 44/2001 in tema di competenza giurisdizionale in materia civile e commerciale, in assenza di scelta contrattuale del giudice competente per la risoluzione delle controversie derivanti dal contratto stesso, è, per esse, competente in via generale il giudice del paese comunitario in cui la parte chiamata in giudizio è domiciliata (art. 4.1) oppure, in alternativa, il giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o deve essere eseguita, quale è da intendersi, nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati (art. 7.1.b).

Quindi il luogo della consegna della merce rileva per la determinazione del giudice competente, a prescindere dal fatto che a costituire oggetto del giudizio, in quanto non (esattamente) adempiuta, sia, ad esempio, l'obbligazione del compratore di pagamento del prezzo o qualsiasi altra obbligazione (Cass. Sezioni Unite, n. 20887/2006). Si tratta dunque di determinare il concetto di consegna rilevante ai fini della individuazione del giudice competente. 

Se, in precedenza, la giurisprudenza italiana distingueva tra il “criterio giuridico di consegna”, identificante il luogo in cui il rischio di danneggiamento o perimento della merce si trasferisce dal venditore al compratore (ossia quello stabilito dagli INCOTERMS®), dal “criterio di consegna materiale”, tale dovendosi intendere il luogo di prevista e pattuita consegna dei beni, da identificarsi nel luogo della consegna materiale dei beni, mediante la quale l’acquirente ha conseguito o avrebbe dovuto conseguire il potere di disporre effettivamente dei beni stessi alla destinazione finale dell’operazione di vendita (Cassazione civile Sez. Un., ordinanza 13/12/2018 n. 32362; Cassazione civile Sez. Un., Sent. n. 11381 del 2016), è di recente intervenuta una pronuncia di segno opposto (Cass. civ., Sez. Unite, ordinanza, 02/05/2023, n. 11346), la quale, richiamando il principio già affermato dalla Corte di Giustizia Europea (nella sentenza Electrosteel Europe SA c. Edil Centro s.p.a., C-87/10), ha stabilito che, in caso di compravendita internazionale di merci, l’INCOTERM® richiamato dalle parti può essere sufficiente per individuare il luogo di consegna della merce anche ai fini della determinazione del giudice competente ai
ai sensi del Regolamento (UE) n. 1215/2012 (cfr. infra paragrafo 5.2.1).

Dove acquistare gli INCOTERMS? 
Per acquistare le pubblicazioni della Camera di commercio Internazionale (CCI), compreso il volume INCOTERMS2020, occorre contattare la sede italiana a Roma della Camera di commercio internazionale.Ulteriori informazioni sono disponibili sul sito della CCI: https://www.iccitalia.org/incoterms/


 

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05/09/2023 - 14:47

Aggiornato il: 05/09/2023 - 14:47

4.1.2 - Il tempo di consegna


In tema di termine di consegna, gli obiettivi dell’impresa italiana, se vende all’estero o se compra dall’estero, possono rivelarsi sostanzialmente opposti.

Al venditore italiano conviene concordare con il proprio cliente straniero che il termine di consegna non sia vincolante e comunque pattuire che, in caso di ritardo, la sua responsabilità rimanga limitata ad un ammontare non elevato e soprattutto predeterminato, escludendo il rischio che il compratore possa, in conseguenza del ritardo del venditore, ritardare il pagamento, chiedere il risarcimento dei danni subiti o addirittura chiedere la risoluzione del contratto.

Tale obiettivo può essere raggiunto pattuendo una clausola penale (articolo 1382 del codice civile) per il ritardo, la quale può essere variamente modulata. Al venditore conviene che la penale, in genere formulata in termini percentuali:
• non sia elevata e comunque si computi in base a intervalli più lunghi possibile (ad esempio a settimane anziché a giorni)
• inizi a decorrere dopo un primo periodo determinato di ritardo consentito
• preveda un tetto massimo.

Oltre a quanto così stabilito e salvo quanto sotto sui limiti all’esclusione contrattuale di responsabilità, per effetto della pattuizione di una clausola penale, nulla sarà più dovuto dal venditore, anche in caso di ulteriore ritardo o nel caso in cui il compratore abbia subito ulteriori danni.

Per esonerare il venditore da responsabilità in caso di ritardo nella consegna è anche possibile agire sulla clausola di forza maggiore. Tali clausole, un tempo previste nei contratti più accurati, ma diventate di grande attualità a causa degli eventi pandemici e bellici che hanno avuto un notevole impatto sul commercio estero (per approfondimenti su queste clausole si rimanda al Focus La gestione dei contratti in situazioni di crisi, disponibile alla fine del presente paragrafo), escludono la responsabilità delle parti nel caso in cui l’adempimento agli obblighi contrattuali sia reso impossibile da eventi imprevedibili. Nell’interesse del venditore è possibile elaborare queste clausole attenuando i criteri dell’imprevedibilità dell’evento o dell’impossibilità della prestazione.

È bene tuttavia ricordare che, secondo la legislazione della maggior parte dei Paesi del mondo, non è possibile escludere la responsabilità in caso di dolo della parte inadempiente e, di frequente, nemmeno in caso di colpa grave. La legge italiana infatti stabilisce che sia nullo qualsiasi patto che esclude o limita la responsabilità per dolo o colpa grave (articolo 1229 del codice civile). È opportuno quindi, per garantirsi la validità ed efficacia della clausola pattuita, accertare quale legislazione nazionale sia applicabile al contratto. Attualmente la legge applicabile alle obbligazioni contrattuali si determina in base alla Convenzione di Roma (80/934/CEE, ratificata dall’Italia con la legge 975/1984) e, per i contratti conclusi dopo il 17 dicembre 2009, in base al Regolamento CE 593/2008, cosiddetto Roma I.

Diversi sono invece gli obiettivi dell’impresa italiana che compra dall’estero. Il compratore italiano può infatti pattuire che il termine di consegna sia tassativo e prevedere, anche a scopo deterrente, una sanzione immediata per l’inadempimento del venditore straniero, oltre a garantirsi il diritto di essere indennizzato di tutti i danni effettivamente subiti o addirittura chiedere la risoluzione del contratto.

È interessante osservare come lo strumento della clausola penale (articolo 1382 del codice civile) si riveli uno strumento utile anche per conseguire la maggior parte di tali obiettivi. In tal caso la penale dovrà essere formulata diversamente. Al compratore conviene che la penale, in genere concepita in termini percentuali:
• sia di adeguata entità e comunque si computi in base a intervalli più brevi possibile (ad esempio a giorni anziché settimane)
• inizi a decorrere immediatamente, dal primo giorno di ritardo, senza prevedere periodi di tolleranza
• non preveda tetti massimi
• preveda espressamente che, qualora il danno effettivamente subito dal compratore superi l’importo dovuto dal venditore a titolo di penale, il compratore abbia diritto di richiedere risarcimento del maggior danno.

A tal proposito è bene sapere che la penale è dovuta per il solo fatto che la consegna è stata effettuata dal venditore in ritardo rispetto al termine concordato, anche se il compratore non ha subito danni dovuti al ritardo, e può essere richiesta anche con strumenti giudiziari più rapidi e semplici (come i procedimenti ingiuntivi) e addirittura essere riscossa tramite compensazione (in genere parziale) con prezzo di vendita.

Per ottenere il risarcimento dei danni, invece, l’onere della prova a carico del compratore è molto più gravoso: egli deve infatti provare di aver effettivamente subito i danni (costi o mancato guadagno) e la loro entità nonchè dimostrare il nesso causale tra i danni e il ritardo nella consegna. Specie la prova del danno rappresentato dal mancato guadagno è spesso complessa, come anche la prova del nesso di causalità tra inadempimento e danno. Queste difficoltà lasciano ampio spazio alle eccezioni avversarie e il venditore straniero può anche sostenere che il risarcimento non sia dovuto o sia dovuto in misura inferiore, in quanto l’impresa italiana non si è comportata in maniera diligente (articolo 1227 del codice civile). Il venditore può anche sostenere che il risarcimento sia dovuto in maniera più limitata, poiché supera l’entità del danno prevedibile al momento della conclusione del contratto (articolo 74 della Convenzione di Vienna).

Inoltre si consideri che il compratore italiano può ottenere il risarcimento dei danni, salvo adempimento spontaneo del venditore, solo tramite un procedimento giudiziario più complesso e di maggior durata (causa di merito), implicante in genere anche l’attività di periti, i cui costi si assommano alle altre spese legali.

La clausola penale, quindi, è uno strumento utile non solo per il venditore, che può così limitare la propria responsabilità, ma anche per il compratore, che si garantisce un indennizzo, seppure potenzialmente parziale, di più facile accesso, oltre ad uno strumento sanzionatorio e deterrente, tale da indurre il venditore all’adempimento.

Tuttavia è da ricordare, a proposito dell’ammontare della penale, che esso può essere diminuito equamente dal giudice, se l'obbligazione è stata eseguita o se manifestamente eccessivo, avuto riguardo, all'interesse che l’altra parte aveva all'adempimento, nel nostro caso, all’interesse del compratore alla consegna tempestiva (articolo 1384 del codice civile).
 

La clausola penale: il caso degli USA e del Regno Unito

Vista la clausola penale come regolata dal diritto italiano, con le sue finalità, da un lato, risarcitoria e, dall’altro, sanzionatoria e deterrente, è da considerare che alcune legislazioni straniere, quali quelle di common law, come gli Stati Uniti d’America e il Regno Unito di Gran Bretagna, ritengono ammissibile la funzione risarcitoria ma illegittima quella punitiva.
Alla luce di questa sostanziale differenza tra le varie legislazioni nazionali (che peraltro non è chiaramente l’unica), occorre prestare attenzione alla traduzione in lingua inglese dei contratti internazionali, specialmente considerato che non è infrequente che la legge applicabile venga stabilita dalle parti dopo le altre condizioni contrattuali. Succede infatti talvolta che un contratto, redatto dall’impresa italiana per essere sottoposto alla legge italiana, finisca poi, a seguito di pressioni dell’altra parte, ad essere firmato con la previsione che la legge che lo regola sia, ad esempio, quella di uno degli Stati Uniti d’America.
Purtroppo infatti, quando il contratto viene negoziato da soggetti privi di competenze legali, l’aspetto della legge applicabile viene considerato secondario. Invece il caso della clausola penale ci dimostra come non lo sia. Infatti, nel nostro esempio di un contratto sottoposto ad una legislazione USA, una ‘penalty clause’ sarebbe invalida, in tal caso sarebbe invece valida una clausola definita ‘liquidated damages’ che quantifichi l’importo dovuto in caso di inadempimento in misura equa e commisurata al danno, che sia, per dirla secondo la giurisprudenza inglese, “a genuine pre-estimate of damage”. Attenzione quindi alla redazione delle clausole penali in contratti internazionali sottoposti a legislazioni straniere di common law, sia per terminologia inglese sia per il contenuto. 

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08/11/2023 - 08:39

Aggiornato il: 08/11/2023 - 08:39

4.2 - La qualità della merce


La merce consegnata dal venditore deve essere conforme per qualità e tipo, oltre che per quantità, a quanto previsto nel contratto internazionale di vendita e deve essere confezionata e imballata secondo le modalità stabilite nel contratto (articolo 35 della Convenzione delle Nazioni Unite sulla vendita internazionale di beni mobili, Convenzione di Vienna, ratificata dall’Italia con la legge 765/1985).
Le parti del contratto internazionale hanno, quindi, la possibilità di concordare con esattezza le caratteristiche tecniche delle merci vendute e del loro confezionamento e imballaggio.

In assenza di diversi accordi fra le parti, si considera non conforme (articolo 35 della Convenzione di Vienna) la merce che:
• non sia idonea all’uso cui viene destinata normalmente la merce dello stesso tipo
• non sia idonea all’uso particolare che sia eventualmente stato, espressamente o implicitamente, portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto
• sia difforme da eventuali campioni o modelli
• non sia imballata o confezionata secondo i criteri usuali per la merce dello stesso tipo (oppure, in assenza di tali criteri, in maniera adatta a conservarla e proteggerla).

Quindi, quando le parti del contratto internazionale di vendita non si sono accordate sulle caratteristiche tecniche delle merci vendute e sul loro confezionamento e imballaggio, suppliscono i criteri previsti dalla legge applicabile, che in molti casi sarà la norma sopra esposta. Come si vede si tratta di criteri necessariamente generali (come determinare l’uso normale di un tipo di prodotto? Come stabilire se il compratore ha, anche implicitamente, portato a conoscenza del venditore un uso particolare?), che comportano notevoli margini di incertezza e, necessitano, per la loro determinazione, di onerose attività giudiziarie (di frequente anche implicanti l’attività di periti, i cui costi si sommano alle altre spese legali).

Per questi motivi è di estrema importanza, nell’interesse di entrambe le parti, che il contratto internazionale di vendita precisi, in specifici allegati tecnici, le caratteristiche tecniche del prodotto venduto. Tali allegati saranno più o meno articolati, a seconda della complessità del prodotto (in certi casi si tratterà di una semplice scheda tecnica) e dovranno essere sottoscritti, o altrimenti validamente concordati, insieme al contratto.

A questo proposito, è utile fare riferimento al fatto che, negli ultimi anni, specie in determinati settori industriali, in cui operano grandi imprese multinazionali con numerose risorse interne organizzate per gestire i vari aspetti dei rapporti contrattuali, i documenti che compongono l’accodo contrattuale si sono significativamente moltiplicati, rendendo molto complicata l’interpretazione del contratto. Solo teoricamente, infatti, per fare un esempio, un “quality agreement” contiene disposizioni distinte da quelle sulla conformità e sulla garanzia dei prodotti che si trovano nelle condizioni generali di vendita e nell’allegato tecnico. Per ricavare la regola contrattuale su un punto specifico, è quindi necessaria la faticosa ricostruzione di un quadro frammentato e spesso non coordinato, cui, solo talvolta, giova la clausola che stabilisce l’ordine di prevalenza dei documenti, in quanto spesso l’efficacia di tale clausola è affievolita dalla previsione di una previa verifica della natura della questione (ad esempio, stabilisce che in casi di conflitto tra norme contenute in documenti diversi, se trattasi di questione relativa alla qualità della merce, prevalga il quality agreement, se relativa a questioni commerciali, prevalgano le condizioni generali di vendita), dato che, di fatto, le questioni sono spesso di natura composita.

Le caratteristiche delle merci vendute, che sono state così pattuite, dovranno sussistere al momento della consegna e in genere permanere per un certo tempo successivo.

Quanto dura la garanzia?
Che diritti ha il compratore e che obblighi ha il venditore in caso di merci difettose?
Cosa deve fare il compratore e cosa deve fare il venditore in caso di merci difettose?

Le condizioni della garanzia possono essere liberamente concordate tra le parti, almeno tra venditori e compratori professionisti (gli imprenditori che vendono ai consumatori, invece, devono osservare, nei rapporti con questi ultimi, alcune norme di legge inderogabili).

In assenza di diverse pattuizioni contrattuali, si applica spesso la Convenzione di Vienna (articolo 39), che stabilisce l’obbligo del compratore di denunciare il difetto di conformità al venditore, precisandone la natura, entro un termine ragionevole dal momento in cui l’ha scoperto o avrebbe dovuto scoprirlo. Si ricorda che il compratore è tenuto ad esaminare o far esaminare la merce nel termine più breve possibile, al più tardi all’arrivo delle merci a destinazione (articolo 38). ll venditore non è, tuttavia, responsabile solo per i difetti già evidenti al momento della consegna, ma anche per i difetti occulti, ossia che si manifestino solamente in un momento successivo (articolo 36).
A meno che le parti non si siano diversamente accordate, la Convenzione di Vienna fissa la durata della garanzia a due anni dalla consegna (articolo 39).

I diritti del compratore previsti dalla Convenzione di Vienna

Sempre in assenza di diverse previsioni contrattuali, la Convenzione di Vienna stabilisce che, in caso di difetti della merce venduta, il compratore ha i seguenti diritti (articolo 46):
• chiedere al venditore la consegna di merce sostitutiva, a condizione che il difetto di conformità costituisca ‘inadempimento essenziale’ (ossia cagioni al compratore un pregiudizio tale da privarlo sostanzialmente di ciò che egli aveva diritto di attendersi dal contratto, articolo 25)
• chiedere al venditore la riparazione delle merci difettose, sempre che ciò non sia irragionevole, tenuto conto di tutte le circostanze
• far valere il diritto al risarcimento del danno (articolo 47).
Si precisa che la richiesta di sostituzione o di riparazione deve essere effettuata insieme alla denuncia dei difetti oppure entro un termine ragionevole da essa.   
• dichiarare risolto il contratto, se l’inadempimento del venditore costituisca inadempimento essenziale (articolo 49)
• ottenere, nel caso in cui la non conformità della merce non costituisca inadempimento essenziale, una riduzione di prezzo proporzionale alla differenza tra il valore della merce consegnata e quello della merce conforme (articolo 50)

Per evitare un quadro di riferimento, da un lato, scarsamente definito (es. come determinare se una denuncia di difetti è tardiva, alla luce del termine “ragionevole” previsto per la denuncia dalla Convenzione di Vienna?) e, d’altro lato, che lascia discrezionalità al compratore nella scelta dei rimedi, oltre all’obbligo di risarcire tutti i danni, è opportuno prevedere nel contratto una dettagliata clausola di garanzia.

Oltre a limitare le responsabilità del venditore e a ostacolare le denunce di difetti pretestuose, tale clausola ha l’importante funzione, per il venditore e per il compratore, di rendere le condizioni di garanzia adeguate al prodotto specifico e compatibili con l’organizzazione dell’impresa che vende e compra e che deve impiegare il prodotto acquistato nella propria attività produttiva o commerciale.

In considerazione delle differenze di disciplina che possono esserci tra le varie legislazioni nazionali, è consigliabile inserire nel contratto delle clausole di garanzia che prevedano i rimedi per un’eventuale non conformità dei beni venduti rispetto a quanto promesso nel contratto.
Tali rimedi possono essere rappresentati dalla riparazione del bene venduto o dalla sua sostituzione oppure dalla riduzione del prezzo.  

 



La clausola di garanzia: principali aspetti

La clausola di garanzia può avere vari contenuti, a seconda dei casi, tuttavia si suggeriscono alcuni aspetti che può essere utile regolare:
• limitazione delle tipologie di difetti garantiti (tra cui progettazione, materiali, fabbricazione);
• specificazione del termine per la denuncia dei difetti (ad esempio 15 giorni) e relative modalità (ad esempio dettagliata e per iscritto);
• specificazione del termine di durata della garanzia (ad esempio 1 anno);
• limitazione dei rimedi cui si obbliga il venditore in caso di difettosità (ad esempio sostituzione o riparazione, a discrezione del venditore) e imputazione, ad una parte o all’altra, degli oneri per il trasporto del prodotto difettoso e di quello riparato o sostituito; 
• esonero di responsabilità del venditore se non ricorrono determinate condizioni (ad esempio la conservazione della merce in determinate condizioni di temperature o umidità, l’osservanza di determinate condizioni di uso e manutenzione delle quali è anche possibile far ricadere sul compratore l’onere della prova);
• limitazione della responsabilità tramite previsione di un plafond e tramite previsione di una franchigia;
• limitazione della garanzia a cascata, ossia alla garanzia concessa dal soggetto che ha venduto la merce al venditore oppure addirittura cessione di tale garanzia, con parallelo esonero del venditore.   


Dato il carattere derogabile della Convenzione di Vienna, in tale ambito applicativo, le parti sono libere nella regolamentazione contrattuale delle condizioni di garanzia, salvo il già ricordato limite inderogabile del dolo o colpa grave del venditore (articolo 1229 del codice civile).
 

Il concetto di clausola vessatoria

A proposito di limitazione contrattuale delle obbligazioni di garanzia assunte dal venditore, non è poi da dimenticare che, se contenuta in un testo di condizioni generali di vendita (predisposte dal venditore), essa è efficace nei confronti del compratore innanzitutto se, al momento della conclusione del contratto, quest’ultimo conosceva tali condizioni generali di vendita o avrebbe dovuto conoscerle qualora si fosse comportato con ordinaria diligenza (art. 1341, c.1 Codice civile).
Inoltre una tale clausola è da considerarsi ‘vessatoria’ quindi priva di effetto, se non sono specificamente approvata per iscritto (art. 1341, c. 2 Codice civile), requisito tradizionalmente assolto dalla tipica seconda firma in calce al relativo richiamo. Gran parte della giurisprudenza italiana considera, infatti, vessatoria, richiedendone quindi la specifica approvazione scritta (c.d. ‘doppia firma’) per la sua validità, la clausola che esclude o limita la garanzia per i vizi di cui all’articolo 1490 codice civile (Cass. 12759/1993; Cass. 4474/1988; v. anche Cass. 3418/1993, sentenza che si è pronunciata su di una clausola di rinuncia dell'azione di risoluzione da parte dell'acquirente) e così anche in caso di clausole che limitino la garanzia per vizi stabilita dall'art. 1490 c.c. a quella contrattuale di buon funzionamento (Cass. 4474/1988). Si rileva tuttavia anche un diverso orientamento, secondo cui sarebbe valida la clausola di esclusione della garanzia per vizi del bene compravenduto, anche se non specificamente sottoscritta ai sensi dell'art. 1341 c.c. (App. Firenze 26 gennaio 2011, in Obbl. e Contr., 2011, 5, 387).La giurisprudenza prevalente ha comunque precisato che tali clausole devono formare oggetto di una approvazione separata, specifica, autonoma e distinta dalla sottoscrizione delle altre condizioni del contratto, dato che l’obiettivo della norma è che venga richiamata l'attenzione del contraente sul significato di una determinata e specifica clausola a lui sfavorevole. Pertanto il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali di contratto o di gran parte di esse, comprese quelle prive di carattere vessatorio, e la sottoscrizione indiscriminata di esse, sia pure sotto l'elencazione delle stesse secondo il numero d'ordine (c.d. ‘richiamo cumulativo’), non è ritenuta utile dalla giurisprudenza per determinare validità ed efficacia di quelle vessatorie, dovendosi ritenere non garantita l'attenzione del contraente che subisce il contratto verso la clausola a lui sfavorevole, compresa fra le altre richiamate e quindi resa non facilmente conoscibile proprio perché confusa tra quelle (da ultimo Cass. 9492/2012).
Per approfondimenti in merito alle altre condizioni vessatorie e alla trasposizione delle predette regole al contratto telematico, incluso e-commerce, si veda la pubblicazione “Imprese e e-commerce” https://www.to.camcom.it/guida-imprese-ed-e-commerce-marketing-aspetti-legali-e-fiscali).    


Oltre a quanto qui esposto in merito alle obbligazioni contrattuali inerenti la qualità dei prodotti, non sono da dimenticare le norme di carattere extracontrattuale relative alla responsabilità per danni causati da prodotti difettosi (articolo 114 e seguenti del Codice del Consumo), che consentono al danneggiato di by-passare l’eventuale catena distributiva e di rivolgersi direttamente al responsabile, salve eventuali successive rivalse.

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03/11/2023 - 21:12

Aggiornato il: 03/11/2023 - 21:12