5.1 - Come costruire il preventivo economico


La redazione del preventivo economico avviene sostanzialmente in due fasi:1

1) prima si stima il reddito operativo (cioè quello prodotto dalla «gestione caratteristica»),2 contrapponendo ai ricavi di vendita previsti i costi operativi (strettamente legati al processo produttivo);
2) poi si individua il reddito netto di esercizio, considerando i costi e ricavi derivanti dalle altre operazioni di gestione.3

Vediamo in concreto come si fa.


1 Soprattutto per chi non ha molta dimestichezza con gli strumenti contabili, è opportuno leggere preventivamente i capitoli sul «Il bilancio» e sulla «La gestione aziendale», nella terza parte di questo volume.
2 Relativa all’attività tipica dell’azienda (vedi capitolo sul bilancio)
3 Essenzialmente i ricavi ed i costi pertinenti alla gestione finanziaria, straordinaria e tributaria (cioè le imposte a carico dell’esercizio): vedi capitolo sul bilancio

La stima del reddito operativo

Per quanto riguarda il calcolo del reddito operativo, il punto di partenza è rappresentato dalla stima dei ricavi di vendita (cioè del fatturato previsto).

In base alle vendite previste si procede poi alla stima dei costi di produzione.

Per stimare i ricavi di vendita occorre ipotizzare:

• la quantità dei prodotti1 che potremo vendere in un dato periodo;
• il prezzo unitario degli stessi.

La quantità venduta deve corrispondere alla quantità prodotta: quindi in base alla quantità di prodotto collocabile sul mercato, possiamo stimare il volume di produzione nel periodo considerato.2 Ciò ci servirà per stimare i costi operativi di produzione.

► Per prima cosa bisogna stimare i «costi diretti di produzione». A tal fine occorre:

• calcolare il costo unitario delle materie prime (necessarie per ogni unità di prodotto);
• in base al volume di produzione stimato, calcolare il costo complessivo delle materie prime da utilizzare nella produzione.3

Lo stesso procedimento viene ripetuto per il costo del personale, considerando le ore di lavoro richieste ed il costo orario della manodopera.

► Vanno poi considerati i «costi indiretti di produzione», cioè i costi generali, commerciali e amministrativi.4 Alcuni esempi di costi indiretti sono quelli relativi alla manodopera indiretta, al personale impiegatizio, agli affitti dei locali, alla cancelleria, ecc.5

La differenza tra i ricavi di vendita ipotizzati e i costi operativi di produzione previsti darà infine la stima del reddito operativo.


1Come già più volte accennato in precedenza, quando si parla di «prodotti» si intendono implicitamente anche i «servizi». Sia in questo capitolo che in appendice al volume, tuttavia, parliamo di «prodotto» in senso stretto in quanto proponiamo un esempio di progetto d’impresa nel settore manifatturiero.
2 Per l’esattezza occorre anche fissare il livello delle scorte di prodotti finiti da mantenere in magazzino alla fine del periodo considerato, per assicurare una certa continuità nella fornitura.
3 Anche nel determinare il costo complessivo per l’acquisto delle materie prime occorre tener conto del livello di scorte che si vuole mantenere alla fine del periodo.
4Tali costi sono relativi all’attività operativa, ma non sono imputabili alle singole produzioni se non in base a imputazioni soggettive.
5 Rientrano in questa categoria anche gli ammortamenti delle immobilizzazioni tecniche.

Costi fissi e variabili

Non possiamo, però, accontentarci di conoscere l’entità dei costi, dobbiamo anche capire la loro natura. Per valutare bene la convenienza ad effettuare una certa produzione bisogna distinguere i costi in fissi e variabili.

►Sono costi fissi quelli che non variano all’aumentare del volume di produzione (ad es. le retribuzioni degli impiegati, l’ammortamento dei macchinari, l’affitto del capannone industriale).

►Sono costi variabili quelli che variano al variare della produzione stessa (ad es. i costi relativi alle materie prime, ai materiali di consumo ecc.).

Conoscere la struttura dei costi consente di accogliere tutti gli elementi di ricavo e di costo in uno schema che fornisca una rappresentazione significativa dell’economia di impresa, consentendo di evidenziare il processo di formazione del reddito operativo.

Il punto di pareggio

Il principale strumento utilizzabile in questo senso è costituito dall’analisi costi/volumi/profitti o «analisi del punto di pareggio» («break-even analysis»). Essa permette di individuare, in via grafica e analitica, il volume di produzione e di vendita che permette il raggiungimento dell’equilibrio economico.

Questa analisi parte da un’uguaglianza elementare, quella per la quale siamo in equilibrio economico (ovvero non abbiamo né utile né perdita) quando i ricavi sono pari ai costi (fissi e variabili):

equilibrio economico:

ricavi = costi fissi + costi variabili

Si può dimostrare che il punto di pareggio è dato da un volume di produzione e di vendita (quantità) pari al rapporto tra costi fissi e «margine lordo di contribuzione» (prezzo unitario medio meno costo variabile unitario):

quantità = costi fissi prezzo unitario – costo variabile unitario

La quantità che risulta rappresenta quindi il «punto di pareggio», cioè il volume di produzione e vendita oltre il quale l’azienda genera profitto: se produciamo di meno saremo in perdita (vedi figura di seguito).

L’analisi del punto di equilibrio rappresenta sempre un’approssimazione della realtà, in quanto si basa su una serie di ipotesi semplificatrici, legate soprattutto alla difficoltà di una rigida distinzione dei costi in fissi e variabili (esistono infatti costi semi-variabili, aventi cioè natura «ibrida»).1 Tali limiti, pur evidenti, non tolgono tuttavia utilità a questa analisi. Essa, infatti, è uno strumento semplice ed immediato per valutare l’impatto, sul reddito operativo, di ogni scelta concernente costi, volumi di produzione e vendita, prezzi.

Mappa

PUNTO PAREGGIO.JPG

Dal reddito operativo al reddito netto

Abbiamo fin qui determinato i costi di produzione, distinguendoli in fissi e variabili. Ora per completare il preventivo economico occorre considerare essenzialmente1 altri due tipi di costi:

• gli oneri finanziari: dipendono soprattutto dal grado di indebitamento e dal costo medio del denaro. Una loro quantificazione sarà quindi possibile solo dopo aver costruito il preventivo finanziario;
• gli oneri tributari, cioè le imposte sul reddito d’esercizio: in merito, data la grande complessità della normativa fiscale,2 è impossibile fornire qui indicazioni sintetiche. L’unico consiglio per chi si accinge a predisporre un piano d’impresa, è quello di svilupparlo fino al livello di reddito ante-imposte, per poi affidarsi ad un professionista di fiducia per le relative simulazioni fiscali.

A questo punto, dopo aver determinato il reddito operativo, abbiamo tutti gli elementi per stimare il reddito netto di esercizio.

L’inizio è sempre in perdita

Come abbiamo accennato nel capitolo precedente, sono poche le imprese che iniziano a dare profitti fin dai primi mesi.

All’inizio, l’impresa con molta probabilità sarà in perdita.

Per rendersene conto, è sufficiente osservare la dinamica economica della gestione nelle prime fasi di lancio dell’iniziativa. Esse sono sostanzialmente due:

• la fase di impianto della struttura produttiva: in essa si concentrano soprattutto gli investimenti relativi all’acquisizione delle attrezzature e, nel caso di imprese manifatturiere, alla realizzazione della prima produzione pilota;
• la fase di penetrazione del mercato: in essa si intensificano gli investimenti di carattere promozionale e commerciale.

La fase di impianto è caratterizzata dalla realizzazione di diversi e consistenti investimenti. Tali investimenti sono rappresentati in particolare da:

• immobilizzazioni immateriali (es. marchi, brevetti, ecc.), realizzate, spesso, ancora prima dell’avvio dell’impresa;3
• immobilizzazioni materiali di tipo tecnico (es. impianti, macchinari, computer, ecc.).

Il cosiddetto «ciclo di ritorno» di tali investimenti è piuttosto lento: infatti il tempo intercorrente tra il sostenimento dei costi di impianto e dei primi costi operativi ed il conseguimento dei primi ricavi di vendita risulta abbastanza lungo. Per questo,

nei primi tempi un disequilibrio economico è assolutamente fisiologico, considerato anche che il fatturato iniziale non potrà essere molto elevato.


1 Come spiegato più diffusamente nel capitolo sul bilancio, per la precisione occorre considerare anche gli oneri derivanti dalla gestione «accessorio-patrimoniale» e da quella «straordinaria».
2 Vedi in proposito su «Gli aspetti fiscali».
3 Si pensi poi, soprattutto nel caso di nuove imprese manifatturiere, ai costi di realizzazione di eventuali prototipi del prodotto, all’effettuazione di test di laboratorio o di mercato, ecc.

Alcuni consigli: molta prudenza ed attenzione ai costi

Uno degli errori più comuni del neo-imprenditore è proprio quello di sovrastimare il fatturato del primo anno e di sottostimare i fabbisogni finanziari. Per questo, nell’impossibilità di eseguire delle stime esatte, è molto meglio essere «superprudenti» e fare l’errore opposto.

Occorre poi considerare che il neo-imprenditore ha tre sole strade per migliorare la redditività dell’iniziativa (cioè per aumentare il fatturato):

• promuovere le vendite;
• abbassare i prezzi;
• contenere i costi.

Qualunque tentativo di aumentare troppo presto il fatturato agendo sui volumi di vendita e sui prezzi si rivela, oltre che poco praticabile, pericoloso. E questo per due fondamentali motivi.

1) Promuovere le vendite fin dall’inizio – ammesso che il mercato sia disposto ad assorbire maggiori quantità di prodotto – forzandone il tasso «naturale» di crescita, può rivelarsi un errore. In genere uno sviluppo forzato delle vendite presuppone uno sforzo promozionale che costa, comporta maggiori debiti e può avere conseguenze negative sul reddito netto.
2) Diminuire i prezzi si rivela altrettanto rischioso. Per una piccola impresa, il prezzo è generalmente «subìto», cioè imposto dal mercato. Soprattutto all’inizio della vita dell’impresa, qualunque movimento nei prezzi (al ribasso, per aumentare la quantità venduta; al rialzo, per ottenere maggiori margini unitari) può scatenare reazioni concorrenziali non desiderabili.

Per questo il neo-imprenditore non può fare molto per aumentare il fatturato, se non contenere i costi: sia quelli di impianto (gli investimenti iniziali), sia quelli di gestione (soprattutto i costi fissi: personale, affitto locali di produzione, ecc.).

A tal fine è possibile:

• acquistare attrezzature usate anziché nuove (o prenderle in leasing);
• ridurre al minimo le spese per il personale (per esempio ricorrendo a lavoratori parasubordinati o assumendo dipendenti part-time);
• offrire ai lavoratori forme di compartecipazione agli utili, ecc.

Abbiamo detto che nel breve termine una situazione di squilibrio economico va messa in conto, ed è quindi accettabile. Quello che è molto meno ammissibile è una situazione di squilibrio finanziario, che può portare alle cosiddette «crisi di liquidità» o di «cash-flow».1

Una micro o piccola impresa può sopravvivere per un po’ anche senza conseguire profitti; però rischia di chiudere il giorno in cui non è in grado di far fronte ai pagamenti.

Per evitare problemi di questo tipo – che possono essere estremamente pericolosi – è indispensabile redigere il preventivo finanziario e patrimoniale.


1 Il cash-flow o «flusso di cassa» è la differenza tra entrate e uscite monetarie registrate in un determinato periodo. La crisi di cash-flow si verifica ad esempio quando un’impresa in un dato momento – a fronte di un fatturato di 100.000 euro non ancora incassato – deve pagare fornitori per 80.000 euro ma ha in cassa (o in banca) solo 10.000 euro.
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09/11/2015 - 12:28

Aggiornato il: 09/11/2015 - 12:28